Oggi un giovane su dieci vive in uno stato di povertà assoluta: le responsabilità dei sindacati confederali
Giovedi 23 Novembre 2017 alle 09:35 | 0 commenti
				
		Oggi un giovane su dieci vive in uno stato di povertà assoluta (nel 2007 si trattava di appena uno su 50). In soli dieci anni l'incidenza della povertà tra le persone tra i 18 e i 34 anni è passata dall'1,9% al 10,4 per cento. È diminuita al contrario tra gli over 65 (dal 4,8% al 3,9%). A partire per l'estero ormai non sono solo giovani, ma anche famiglie intere e pensionati. È la fotografia scattata dal Rapporto della Fondazione Migrantes. La ricerca rivela come nel 2016 le iscrizioni all'Aire (Anagrafe italiani residenti all'estero) siano state 124.076 con un aumento di oltre 16mila unità rispetto all'anno precedente (+15,4%). Ad oggi i nostri connazionali iscritti sono quasi 5 milioni, l'8% del totale della popolazione italiana.
"L'emigrazione italiana è tutt'altro che un capitolo chiuso della nostra  storia, è una realtà attualissima e in continuo mutamento", afferma   per Migrantes don Gianni De Robertis. Oltre il 39% di chi ha lasciato  l'Italia nell'ultimo anno ha un'età compresa tra i 18 e i 34 anni (oltre  9mila in più rispetto all'anno precedente, +23,3%); un quarto tra i 35 e  i 49 anni (quasi +3.500 in un anno, +12,5%). Una mobilità complessiva  che dal 2006 al 2017 è aumentata del 60.1% passando da poco più di 3  milioni ai 4.973.942 di iscritti all'Aire al 1° gennaio di quest'anno,  l'8,2% degli oltre 60,5 milioni della popolazione nazionale, "pari ai  cinque milioni di immigrati residenti", osserva Licata. A livello  continentale, oltre la metà dei cittadini italiani emigrati (2.684.325  milioni) risiede in Europa. A seguire America, Oceania, Africa e Asia. I  primi tre Paesi con le comunità più numerose sono Argentina (804.260),  Germania (723.846) e Svizzera (606.578), mentre il Regno Unito, in  valore assoluto, si distingue per avere la variazione più consistente  (+27.602 iscrizioni nell'ultimo anno). La Lombardia, con quasi 23mila  partenze, si conferma la prima regione da cui gli italiani hanno  lasciato l'Italia alla volta dell'estero, seguita da Veneto, Sicilia,  Lazio e Piemonte. 
Il Credit Suisse ha pubblicato il Global Wealth  Report 2017, l'ultimo resoconto annuale sulla ricchezza del pianeta. Un  mondo in cui la metà inferiore della piramide possiede meno dell'1%  della ricchezza totale a fronte della metà posseduta dall'1% superiore.  All'interno di un'Europa in crescita, l'Italia si colloca al sesto posto  nella classifica dei Paesi nei quali la ricchezza è cresciuta  maggiormente. Nel 2017, rispetto all'anno precedente, ci sono 138mila  milionari italiani in più, per un totale di 1,3 milioni di milionari,  previsti in ulteriore crescita fino a toccare la soglia del milione e  450 mila individui nel 2022. L'Italia si colloca stabilmente all'interno  dei paesi ad economia capitalistica matura e, a dispetto della  narrazione dominante, questo tipo di crescita economica non riesce a  dare una risposta ai bisogni di milioni di disoccupati e lavoratori,  ma risponde benissimo ai bisogni della borghesia italiana che con la  scusa della crisi, dei salvataggi bancari, dello spread e del continuo  bisogno di competitività, continua ad attaccare i diritti e i salari di  un'intera generazione di lavoratori, per profitto personale. Secondo un  rapporto della Caritas, in Italia prima della crisi erano poveri 2  giovani su 100. Oggi, a dieci anni di distanza, la percentuale è salita  oltre il 10%. Dai dati emerge un'immagine chiara del mondo in cui  viviamo, dove la questione crescita/recessione diventa secondaria e per  certi aspetti inutile: vediamo infatti che se nei periodi di crisi  vengono scaricate tutte le perdite finanziarie sulla classe lavoratrice,  la tendenza non cambia in situazioni favorevoli di mercato, dove la  disuguaglianza assume proporzioni gigantesche. Inoltre appare netta la  continuità di politica economica tra il periodo precedente e il periodo  successivo alla crisi, durante il quale i lavoratori hanno pagato  duramente, e continuano a farlo, la ristrutturazione del sistema al fine  di garantire la continuità di profitto ai pochissimi milionari, sulle  spalle del proletariato mondiale.
«Ora la piazza», tuona Susanna  Camusso dopo la rottura col governo nella trattativa sull'adeguamento  dell'età pensionabile alla speranza di vita. E alzi la mano chi aveva  dei dubbi, sulla volontà della Cgil di "rompere", nonostante avesse di  fronte un governo che tutto quel che poteva concedere l'avrebbe  concesso. Concede una deroga all'innalzamento dell'età pensionabile a  quindici categorie di lavoratori che svolgono mansioni particolarmente  usuranti, aprendo a un tavolo tecnico che valuti nei prossimi nove mesi  se aprire questa finestra ad altre categorie di lavoratori. Si inventa  un nuovo metodo di calcolo della speranza di vita, acconsentendo di  prenderne in considerazione anche la diminuzione e blocca gli aumenti a  un massimo di tre mesi ogni biennio, anche se l'aspettativa dovesse  crescere di cinque mesi, com'è accaduto a questo giro. Non bastasse,  offre anche in dono la decontribuzione delle pensioni integrative dei  dipendenti pubblici. E se volete un ritratto di cosa sia la Cgil, beh,  eccovela qua!
 Un sindacato che sacrifica un miglioramento delle  condizioni dei suoi pensionati iscritti per poter scendere in piazza  prima delle elezioni per tirare la volata a uno schieramento politico  amico e marcare la propria distanza col Partito Democratico. E che tira  in ballo i giovani, in modo del tutto strumentale, dopo decenni passati a  ignorarli, nel contesto di una vicenda che con loro non c'entra nulla,  preoccupandosi di loro come futuri pensionati indigenti, quando come  minimo dovrebbe far di tutto per evitare lo diventino. Difficile fare  peggio!
Un governo che ha già stanziato 20 miliardi a favore delle  banche destina altri miliardi a favore dei capitalisti sotto forma di  decontribuzioni, superammortamenti, iperammortamenti... 
I fatti  dimostrano che la pioggia di miliardi già regalati ai padroni col Jobs  Act non ha moltiplicato i posti di lavoro, ma il precariato e la  ricattabilità dei nuovi assunti. L'unico risultato delle regalie ai  capitalisti è stato il gonfiamento dei loro profitti. La nuova  finanziaria Gentiloni prevede non a caso che dal 2019 scatti una imposta  sul reddito d'impresa, calcolata separatamente, equiparata all'IRES  (24%) e dunque ulteriormente ribassata. Nuovi miliardi ai padroni.  Mentre ogni anno si continua a pagare 70 miliardi di soli interessi sul  debito pubblico alle banche rapinatrici che lo comprano! 

Chi paga il  conto di tutto questo bengodi? I lavoratori, i precari, i disoccupati.  Innanzitutto con l'aumento progressivo e scandaloso dell'età  pensionabile. Poi con la polverizzazione dei contratti dei lavoratori  pubblici. Poi col taglio dei trasferimenti pubblici ai comuni. Poi col  definanziamento progressivo della sanità pubblica, che vede calare di un  miliardo l'anno il fondo sanitario nazionale rispetto al suo  fabbisogno, mentre undici milioni di persone non sono più in grado di  curarsi. Per di più i capitalisti fanno del taglio al welfare pubblico  un'ulteriore occasione di lucro grazie al business del nuovo "welfare  aziendale": meno salario in busta paga, meno tasse. Una partita di giro  senza fine in cui vince solo il profitto a spese del lavoro. 
La  controriforma Fornero delle pensioni ("contestata" da 3 ore di  sciopero1) ha rappresentato uno dei più violenti attacchi alle  condizioni di vita delle persone che lavorano, delle donne, dei giovani,  degli ultimi decenni. Aumentare fino a oltre 6 anni l'età pensionabile  significa per molte e molti non riuscire a sopportare la fatica  quotidiana di un lavoro che si prolunga fino a 67 ed anche fino a 70  anni, oppure significa non sapere come vivere se il lavoro si perde e la  pensione è sempre più lontana. Le donne stanno pagando il prezzo più  alto per la cosiddetta "equiparazione" a tappe forzate mentre continua a  gravare su di loro il doppio lavoro produttivo e riproduttivo e mentre  si taglia il welfare. I giovani vengono tenuti fuori dal mondo del  lavoro perché la controriforma ha bloccato il ricambio generazionale:  negati nella possibilità di costruirsi una vita e un futuro.
Ci stiamo  prendendo in giro! I sindacati propongono di andare in pensione a 66  anni e alcuni mesi... da "discutere" quando Tito Boeri dichiara che la  generazione dal 1980 andrà in pensione a 75 anni!!! 
BASTA! Cari  Confederali andate a sbafo con gli enti bilateriali, andate a "trattare"  sulla nostra pelle. Padroni e capitalisti continuate a fare i vostri  profitti, con i morti sul lavoro, con le vostre opere faraoniche che non  servono a nulla, oltre a riempire le vostre tasche, (basta pensare al  Mose, alla Pedemontana, ai F-35).....
Noi non siamo nella "stessa barca" come voi, è ora di tornare in piazza, e ora di alzare la testa!
Luc Thibault RSU/USB Alto Vicentino Ambiente
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