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"Atlante" spende il 30% dei suoi solo 4,2 mld in BPVi: rimarrà poco per altri istituti e NPL

Di Rassegna Stampa Sabato 30 Aprile 2016 alle 11:18 | 0 commenti

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"Atlante" spende il 30% dei suoi soldi in Popolare Vicenza. 1,3 miliardi sui 4,2 totali del fondo salva-banche. Va quasi deserto l'aumento di capitale per evitare il crac: ora c'è veneto banca, agli altri (da MPS in giù) resta poco

di Marco Palombi, da Il Fatto Quotidiano

Il Fondo Atlante forse dovevano chiamarlo Nino: invece delle spalle larghe del gigante reggitore, infatti, sembra avere quelle strette del calciatore di Francesco De Gregori. I numeri ufficiali sono stati diffusi ieri da presidente e ad del gestore, Quaestio capital management, Alessandro Penati e Paolo Petrignani, giusto poche ore prima che si scoprisse che per l'aumento di capitale di Popolare di Vicenza "l'inoptato" - le azioni che nessuno ha sottoscritto - superava il 90%. Quelle se le prende Atlante: per le regole di ingaggio non poteva salire oltre il 75%, se non in caso di estrema necessità e qui, ha spiegato Penati, "c'era il rischio di bail in".

QUASI NULLA

I fondi per comprare le sofferenze bancarie sono solo 1,27 miliardi: un pannicello tiepido
Riassumendo: Atlante nasce - invece che coi 7 miliardi di cui si parlava - con un capitale di 4,25 miliardi, investito da 67 soggetti diversi, di cui nessuno sopra il 20% (tradotto: Intesa e Unicredit hanno messo 850 milioni). Insomma, i soldi sono pochini e Pop Vicenza col suo 90% di inoptato s'è già bevuta 1,3 miliardi.

Al centro della questione oggi dovrebbe esserci la perdita dei 119mila soci dell'istituto veneto , che hanno visto azzerato il loro investimento, ma in realtà la telenovela del salvataggio non è finita: Vicenza, infatti, deve quotarsi in Borsa, ma così non raggiunge la quota di "flottante" considerata minima (un 25% di azioni non in mano alla società controllante). L'escamotage è dietro l'angolo: Borsa Italiana dovrebbe considerare flottante tutta la quota di Atlante. Un po' bizzarro, ma in materia bancaria ormai vale tutto.

La notizia comporta vari corollari: il primo è che Atlante possiede di fatto la banca (pagata 0,1 euro ad azione contro i 63 euro di qualche tempo fa) e dovrà valorizzarla e rivenderla entro 18 mesi, due anni al massimo ("prima usciamo e meglio è", dice Penati). Vaste programme, soprattutto se si considera il segnale arrivato dal mercato: capitali nelle banche in crisi non ce li vuole mettere nessuno. Non fosse chiaro, il comparto del credito ieri in Borsa ha preso l'ennesima batosta (Unicredit peggio di tutti con -5%).

E qui si torna ad Atlante, alla sua limitata possibilità di azione e ai rischi che corre il comparto bancario. Negli aumenti di capitale il Fondo intende mettere il 70% delle sue disponibilità (circa 3 miliardi) indicativamente fino al 30 giugno 2017, il restante 30% (1,25 miliardi) è destinato al mercato dei Non performing loan (Npl), cioè le "sofferenze", quei crediti che le banche contano di non recuperare: da luglio 2017, la quota degli Npl potrà salire. Difficile che ci sia ancora qualcosa.

Un po' di conti della serva aiutano a capire cosa può fare davvero Atlante, il colpo di genio che doveva sorreggere tutto il sistema bancario. Come detto con Vicenza vanno via 1,3 miliardi su un aumento di capitale da 1,5 totali: se percentuali simili (90% di inoptato) valessero per la prossima in lista - la "gemella" Veneto Banca (1 miliardo di aumento richiesto) - significherebbe sborsare altri 900 milioni. I soldi disponibili per partecipare ad altre operazioni di salvataggio, insomma, sarebbero 600-700 milioni in tutto. Il problema è che la lista degli istituti alla ricerca di trasfusioni di soldi è parecchio lunga: Banco Popolare (a cui serve 1 miliardo) e Carige (che ieri ha rifiutato ufficialmente la proposta del Fondo americano Apollo) sono i casi conclamati; Ubi e Monte dei Paschi quelli che potrebbero a venire. Quest'ultima, in particolare, è troppo grande perché il Fondo Atlante/Nino possa anche solo pensare di avvicinarsi.

Infine c'è il tema delle sofferenze. Ad oggi il Fondo può spendere in questo settore 1,3 miliardi scarsi. Un po' poco per fare "l'elettroshock al mercato e facilitare la vendita degli Npl e il risanamento del sistema", come ha spiegato ieri l'ad Petrignani. Penati, invece, ha escluso che comprerà sofferenze "a prezzi di carico", cioè quelli a cui le banche hanno a bilancio gli Npl (circa al 40% del loro valore: ogni 100 euro di crediti contano di recuperarne 40). Strano perché alcuni azionisti di Atlante - a partire dall'ad di Intesa Carlo Messina - avevano lasciato intendere questo. Non si può fare, però, perché Atlante deve far guadagnare i suoi investitori (promette un succulento 6%): così non fosse, ha spiegato Penati, "le agenzie di rating potrebbero penalizzare i partecipanti e la Bce aumentare i coefficienti patrimoniali. Invece di un circolo virtuoso diverrebbe vizioso".

Insomma, anche con Atlante le perdite per le banche con molte sofferenze si prospettano pesanti. In ogni caso, i soldi sono assai meno di quelli attesi dal mercato: un analista citato da Reuters sostiene che un investimento in sofferenze di bassa qualità (dette junior) da 3 miliardi - il doppio dei soldi oggi disponibili - "si può puntare a 10-15 miliardi di sofferenze nette, 30-35 miliardi lorde" e cioè la metà dei 50-60 miliardi attesi dagli investitori. Matteo Renzi sostiene che "avendo Atlante più di 4 miliardi e avendone speso uno è operativo, non ha finito i soldi". Il ballo del gigante dalle spalle strette è appena cominciato e noi, come si vede, siamo in ottime mani.


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