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"Avvisai Visco su Etruria, non mi rispose": ecco perché Paolo Savona non è diventato ministro dell'Economia da cui “dipende” Bankitalia, o viceversa...

Di Rassegna Stampa Martedi 25 Dicembre 2018 alle 19:02 | 0 commenti

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Un'istituzione "sorda" e "autoreferenziale", afflitta da "ignavia", che ha "coperto le lacune e conseguenti responsabilità della Vigilanza sulle banche" fino ad accettare "supinamente" le nuove regole sul bail-in. Poi la bomba: "Informai il governatore Ignazio Visco per iscritto di una grave violazione compiuta dal consiglio di Banca Etruria ed egli neanche mi rispose". Sono solo alcuni dei giudizi di fuoco che Paolo Savona dedica alla Banca d'Italia e al suo vertice nell'ultimo libro "Come un incubo e come un sogno"(Rubettino) ora in uscita (articolo su Il Fatto Quotidiano del 27 maggio 2018).

Giudizi che spiegano lo stallo sulla nomina a via XX Settembre. Non ci sono (stati, ndr) solo i veti di Bruxelles sull'economista per le sue critiche all'Eurozona. Ci sono (state, ndr) anche, e soprattutto, i malumori di Via Nazionale, ostile a Savona, a spiegare la riluttanza di Sergio Mattarella. A cui Visco deve la riconferma osteggiata da Matteo Renzi, che l'ha incolpato, non senza ragione, dei guai bancari del suo governo.

Nel suo libro Savona elenca quelli visti all'opera nella discussione europea sul bail-in, la norma Ue che impone sacrifici ai risparmiatori nelle crisi bancarie, disastrosamente applicato in Italia su Etruria & C.. Ricorda gli allarmi lanciati invano nel 2013 da presidente del Fondo di garanzia dei depositi bancari (Fidt). Governo e Parlamento, spiega, non capivano la partita e il Tesoro, impegnato a elemosinare flessibilità sul deficit, "seguiva pedissequamente Bankitalia", diventata "centro che pretendeva di essere obbedito per dimostrare il suo potere". "Nell'Abi, (la Confindustria delle banche, ndr) alcuni banchieri capivano, ma ponevano come condizione che non creassi problemi perché, mi fu detto, altrimenti la Vigilanza sarebbe diventata severa con loro. Erano coscienti che gli associati avessero cose da nascondere, come poi emerse".

Savona dà anche un giudizio sconsolato della vigilanza, in "conflitto d'interessi" nel sorvegliare le banche e gestirne le crisi, roba "non da Paese civile". Savona, dice, si batté per evitare il bail-in, "passivamente accolto dalle autorità italiane", con Bankitalia che ne ha pure "permesso l'applicazione anticipata". "Dopo, - scrive - Visco e il presidente della Consob, Vegas, hanno dichiarato che essi non condividevano la decisione, senza presentare le dimissioni, come avrebbero avuto il dovere di fare, per non aver avvertito il Parlamento, contribuendo a causare maggiori danni rispetto a quelli creati con il loro silenzio ‘preventivo' e loquacità ‘successiva'". Giudizio negativo traspare anche su Mario Draghi che non ha "mai criticato la normativa". Bankitalia, spiega dopo, considerava il Fitd come un "cassetto da aprire a piacimento per salvare le banche, coprendo le responsabilità della Vigilanza". L'esempio è il crac di Banca Tercas. I commissari di Bankitalia "ci chiesero 300 milioni rifiutando di darci la documentazione", cioè i bilanci. Savona si oppose e, spiega, Bankitalia lo fece rimuovere con l'assenso del presidente Abi Antonio Patuelli. Due anni dopo la Commissione ha bocciato il tutto come aiuto di Stato, dando ragione all'economista. Che, uscito di scena, informò Visco delle "gravi irregolarità" in Etruria, senza ottenere risposta. "Le vicende che sono seguite - nota amareggiato - mi hanno dato in larga parte ragione".

di Carlo Di Foggia, da Il Fatto Quotidiano di domenica 27/05/2018


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