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Banche e vigilanza, cosa non ha funzionato. Il Sole 24 Ore Plus: Banca Popolare di Vicenza ispezionata sei volte!

Di Rassegna Stampa Sabato 8 Luglio 2017 alle 23:23 | 0 commenti

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Cosa non ha funzionato nei controlli interni ed esterni lungo i tragitti verso i dissesti di Mps, Banca Popolare di Vicenza, Veneto Banca, ma anche Banca Etruria, Banca Marche, CariFerrara e CariChieti? Se oltre mezzo milione di piccoli investitori hanno visto bruciare decine di miliardi di risparmi allocati in azioni e bond subordinati, un problema di vigilanza evidentemente c'è stato. Strumenti giuridici per tutelare i risparmiatori, azionisti in primis, e far valere la responsabilità delle autorità di controllo ci sono. Ma le situazioni variano caso per caso.

Il caso limite della Vicenza
Il caso limite è quello della Vicenza. La banca guidata per quasi un ventennio da Gianni Zonin, negli anni precedenti l'aumento di capitale da 908 milioni deciso a maggio 2014, fu sottoposta a cinque ispezioni della Vigilanza di Banca d'Italia: dal 23 ottobre 2007 al 12 marzo 2008 (con sanzioni irrogate il 31 marzo 2009), dal 16 aprile al 7 agosto 2009 (senza sanzioni), dal 29 novembre 2010 al 16 marzo 2011 (senza sanzioni), dal 28 maggio al 12 ottobre 2012 (senza sanzioni), infine dal 10 marzo 2014 per conto della Banca centrale europea con l'esame della qualità degli attivi. Ma fu solo l'ispezione Bce del settembre 2015 a dimostrare che negli aumenti 2013 e 2014 erano state raccolte azioni per 974 milioni finanziate da prestiti. Eppure la Consob aveva approvato prospetti, documenti informativi, note di sintesi e supplementi (decine di documenti, centinaia di pagine): salvo far apporre sul frontespizio di ogni testo la frase «l'adempimento di pubblicazione non comporta alcun giudizio della Consob sull'opportunità dell'investimento proposto e sul merito dei dati e delle notizie relativi». Tuttavia, nell'atto di citazione contro ex vertici ed ex presidente Zonin, la stessa Vicenza ha ammesso che vi furono riprofilature Mifid "opportunistiche" pari al 65% delle posizioni dell'aumento 2013 e al 79% in quello varato nel 2014 - a 62,5 euro per azione - e chiuso nel 2015. Nel 2016 il valore delle azioni fu azzerato. L'Antitrust ha multato poi l'ex Popolare per 4,5 milioni perché i consumatori «furono costretti nei fatti a diventare soci per ottenere un mutuo agevolato in modo da finanziare le operazioni di aumento di capitale sociale svolte nel 2013 e 2014». In tutto questo, però, alcuni clienti riuscirono a dribblare l'ordine cronologico di vendita dei propri titoli non quotati e illiquidi scavalcando le posizioni di altri. Ora le loro azioni, come quelle di Veneto Banca, sono totalmente azzerate e per quanti non hanno aderito alla doppia offerta pubblica di transazione (la cosiddetta "Opa sulle cause") della primavera scorsa, ben 26mila azionisti della Vicenza e 21mila di Veneto Banca, non è previsto alcun ristoro dei danni e delle truffe subite.
Gli aumenti di capitale di Mps
Allo stesso modo, nessuno ristoro è previsto dai decreti per gli azionisti coinvolti nella «ricapitalizzazione prudenziale» del Monte dei Paschi di Siena approvata da Bruxelles martedì 4 luglio. Eppure in almeno tre degli aumenti di capitale del Monte, quelli del 2011 (2 miliardi), del 2014 (5 miliardi) e 2015 (3 miliardi), Procura e Consob hanno segnato la discrasia dei bilanci civilistici - e dei prospetti informativi - che riportavano BTp al posto dei derivati Alexandria e Santorini. Discrasia per la quale i pubblici ministeri milanesi hanno chiesto il rinvio a giudizio per l'ex ad e l'ex presidente di Mps, Fabrizio Viola e Alessandro Profumo, con le accuse di falso in bilancio e manipolazione di mercato. Un fronte sul quale si può applicare la sentenza della prima Sezione civile della Cassazione n. 23418 del 17 novembre 2016, che ha condannato per omessa vigilanza e colpa grave, cioé la mancanza al dovere di diligenza che ha causato danni a terzi, alcuni funzionari e commissari Consob e ha stabilito il risarcimento dei danni agli investitori.
La lettera delle associazioni
Anche per questi motivi, mercoledì 5 luglio le associazioni di consumatori Acu, Adiconsum, Adoc, Adusbef, Assoconsum, Assoutenti, Cittadinanzattiva, Codacons, Codici, Confconsumatori, Lega Consumatori, Movimento Consumatori, Movimento Difesa del Cittadino e Unione Nazionale Consumatori hanno scritto una lettera aperta al Parlamento, al Governo e a Intesa Sanpaolo. Le associazioni chiedono di modificare il decreto legge 99 del 25 giugno che, nella sua forma attuale, non tutela i risparmiatori cui sono state vendute in maniera fraudolenta le azioni di Veneto Banca e Popolare di Vicenza. Il percorso di conversione in legge del decreto è però accidentato: giovedì 6 luglio, giorno di chiusura di Plus24, il Governo si è visto contestare in commissione Finanze alla Camera un emendamento sulla liquidazione dei due istituti e l'ha ritirato. La modifica prevedeva di concedere a Intesa SanPaolo quattro anni invece di tre per retrocedere alle banche in liquidazione i crediti ad alto rischio non classificati come deteriorati. L'emendamento poi estendeva gli indennizzi ai risparmiatori che hanno acquisito bond subordinati delle due banche venete entro il primo febbraio 2016 anziché il 12 giugno 2014. Nei prossimi giorni il percorso di conversione del decreto riprenderà.
La disparità tra bondisti "sub"
Ma i problemi per i risparmiatori coinvolti nei dissesti erano emersi già prima ancora del decreto del 25 giugno. Il decreto legge 89 del 16 giugno, in nome di una pretesa "parità di trattamento" dei creditori, aveva prorogato il rimborso del bond subordinato codice Isin IT0004241078 di Veneto Banca che sarebbe scaduto il 21 giugno. Il 25 giugno però è stata aperta la liquidazione coatta amministrativa delle due banche e i detentori di quel subordinato, anziché ottenere il rimborso integrale (come sarebbe stato dovuto a un debito scaduto e non revocabile), sono finiti nel calderone di chi dovrà adire il rimborso forfettario o l'arbitrato. Ma il rimborso è aperto solo a chi ha acquistato il bond direttamente da Veneto Banca: a tutti gli altri non resta che insinuarsi nella liquidazione.
Liquidazione e insolvenza
Alcuni commentatori ritengono che azioni e bondisti subordinati potrebbero insinuarsi nella liquidazione coatta amministrativa e chiedere che i commissari dichiarino l'insolvenza delle due banche, facendo così scattare i presupposti per i reati fallimentari in capo agli ex vertici che, nella formulazione attuale del decreto 99, invece sarebbero esclusi. Secondo l'avvocato Letizia Vescovini, «quando lo stato di insolvenza è successivo alla liquidazione coatta amministrativa (Lca), i creditori non sono legittimati ad agire in quanto rappresentati dal commissario giudiziale. L'accertamento dello stato di insolvenza nella Lca può essere anteriore all'apertura della procedura ma anche successivo. Ma dopo l'apertura della Lca ai sensi dell'articolo 202 della legge fallimentare sono legittimati a richiedere l'accertamento dello stato di insolvenza solo il commissario liquidatore e il pubblico ministero, non più i creditori». Però, sottolinea Vescovini, «in questo caso commissario liquidatore è stato nominato Fabrizio Viola, già amministratore delegato della Vicenza e presidente del comitato esecutivo di Veneto Banca. Pare improbabile dunque che Viola faccia accertare lo stato di insolvenza rendendo procedibili i reati fallimentari. Non resta che sperare nel pm». Questa strada non è dunque del tutto chiusa ma pare in salita.

di Nicola Borzi, da Il Sole 24 Ore Plus


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