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Clima, Thibault: conferenza COP21 tanto fumo e niente arrosto

Di Redazione VicenzaPiù Venerdi 18 Dicembre 2015 alle 11:35 | 0 commenti

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Riceviamo da Luc Thibault, USB, e pubblichiamo

 

Lo scopo della conferenza COP21, è sato quello di fornire la parvenza di azioni per il clima... senza fatti! Speranze puntate su "leader" che rappresentano gli interessi economici alla base del loro potere e della loro posizione, sono fuori luogo. Correlato e analogo è il trattamento da parte dei "leader" occidentali dei finanzieri che così recentemente hanno schiantato l'economia globale attraverso il self-dealing (benefici monetari facilmente trasferibili, cioè originati dal trasferimento di risorse economiche dell'azienda, ndt).

Questo self-dealing "locale" che è la quotidianità del capitalismo a livello globale, diventa catastrofica attraverso l'aggregazione dei "non voluto" individuali che portano alle crisi ricorrenti. La relazione tra azioni individuali e istituzionali alla crisi sistemica è socialmente gravosa quando applicata agli affari, ma potenzialmente catastrofica se applicata all'ambiente.

La disuguaglianza in materia di cambiamenti climatici si trova con uno sproporzionato potere sociale grazie a strumenti di coercizione politica e al loro legame storico con la produzione capitalistica. I rapporti Stato-mercato del primo capitalismo britannico sono stati un modello approssimativo per lo sviluppo economico cinese, con la produzione per l'esportazione, distruttiva per l'ambiente, a tenere "su" la catena dell'approvvigionamento globale. Il governo cinese sta cercando attivamente di aumentare i consumi interni, con la premessa che una economia di consumo autosufficiente fornirà stabilità politica. Questo insieme dinamico in movimento è la proverbiale gara-al-ribasso, dove le esigenze di breve termine hanno continuamente la precedenza sullo sviluppo eco-sostenibile. Qualunque siano gli impegni ambientali, le minacce e le crisi ricorrenti li terranno perennemente nel cassetto.

Il passato-presente-futuro dell'ideologia capitalista si muove senza soluzione di continuità da un passato rozzo e distruttivo per l'ambiente a un "migliorato" seppur imperfetto presente, verso un futuro scintillante e prospero. Un futuro che non arriva mai. La produzione sporca non è mai stata lasciata alle spalle e il capitalismo di mercato "emergente" servirà come luogo della distruzione ambientale in outsourcing per tutto il tempo che i popoli lo sopporteranno. Gli impegni ambientali non sono che una crisi del capitalismo guardata alla rovescia per via di una disperazione indotta. L'attenta analisi di queste crisi, viste come incidenti estranei ai normali meccanismi del capitalismo, fornisce una copertura alle macchinazioni imperialiste, facendole passare come fatti naturali. Nelle crisi il discorso politico si sposta su compromessi egoistici mentre gli economisti si sforzano di trovare il modo migliore per ripulire i guai inspiegabili che la natura ha compiuto.

Recenti accordi "commerciali" come il TPP (Partenariato transpacifico) e il TTIP (Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti) rappresentano i tentativi di vincolare le istituzioni statali al sostegno dell'impresa "privata", mentre restano precluse azioni statali nel pubblico interesse che ledano il "potere economico privato". Attraverso i tribunali dell'ISDS (Investor-State Dispute Settlement, vale a dire la "regolamentazione delle controversie tra Stato e investitore") le corporation quantificano l'entropia della produzione capitalistica come loro risarcimento per danni non causati. La strategia del "pagherete o vi bruceremo la casa" è sepolta, è una mitologia sociale e teoria economica poco considerata. Tuttavia, l'estorsione resta estorsione, indipendentemente dalla complessità degli accordi istituzionali che l'accompagnano.

La mitologia dello sviluppo capitalistico mette a confronto regioni come l'Appalachia, distrutta dalle miniere di carbone nel XVIII secolo, al capitalismo "pulito" degli hedge fund quando il confronto più rilevante è quello con regioni della Cina, dell'Africa e delle Filippine distrutte nel presente per produrre le merci da esportare negli Stati Uniti e in Europa. La concezione capitalistica delle conseguenze della produzione economica è più precisamente la contabilità del giocatore d'azzardo, dove solo i crediti vengono segnati. Aria respirabile, acqua potabile e terre coltivabili sono considerati alla stregua di servizi igienici industriali, la componente "gratuita" utilizzata per dare ai prodotti un valore economico. Il "paradosso" di questi beni di prima necessità senza valore opposti al valore dei beni non di prima necessità è una conseguenza imperiale imposta come teoria di vita: sono "gratuiti" solo una volta che le persone che dipendono da loro per la loro esistenza sono state rimosse dalla considerazione.

Il differenziale di potere al lavoro, "la disuguaglianza", contrappone il mito occidentale che "noi tutti" beneficiamo della produzione capitalistica contro il fatto che i ricchi possono mentre la povera gente no. Anche se le conseguenze della distruzione ambientale fossero equamente distribuite, rappresenterebbero ancora una questione economica, perché la loro sorgente è la produzione della "ricchezza" occidentale. Che tali conseguenze cadano in maniera sproporzionata sui popoli che vedono poco o niente del beneficio di tale produzione, definisce una chiara dinamica di classe. Le soluzioni occidentali uniscono giochi delle tre carte come la delocalizzazione della produzione sporca con le promesse perpetue che in futuro saranno intraprese azioni concrete.

Le uniche certezze sono che i capitalisti e i loro apologeti sono in procinto di rendere il pianeta inabitabile e le eventuali soluzioni reali si trovano a dispetto degli incontri "ufficiali" e non per loro merito.

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