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"Consob non informata" da Barbagallo che dice: "su Zonin facevamo solo brevi sintesi". Il Fatto: La Caporetto di Bankitalia

Di Rassegna Stampa Venerdi 10 Novembre 2017 alle 10:14 | 0 commenti

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La confessione - Barbagallo si arrende: "su Zonin facevamo solo brevi sintesi". Casini: "il confronto con Apponi non serve più". L'uomo di Vegas: "non ci davano le ispezioni". La difesa: "per agevolarli"

A cento anni dall'originale la Banca d'Italia ha avuto ieri la sua Caporetto e il capo della Vigilanza Carmelo Barbagallo è stato il suo Cadorna (qui il video e la cronaca dell'audizione-testimoninza di ieri, 9 novembre, ndr). Dopo mesi di sprezzante rivendicazione dell'infallibilità della Banca d'Italia, di ostinata derubricazione a "polemica giornalistica" di ogni critica, di assimilazione di qualsiasi dubbio ad aggressione in malafede alla sacra indipendenza di Palazzo Koch, la verità è emersa oltre ogni ragionevole dubbio. Il governatore Ignazio Visco ha ripetuto per anni il mantra "daremo conto nelle sedi opportune".

La sede opportuna è arrivata e adesso sappiamo che nei dieci anni di crisi bancaria la vigilanza, sia di Bankitalia che di Consob, ha fatto acqua. I risparmi di molti italiani sono stati affidati a banchieri delinquenti, ma anche alla tutela di burocrati più attenti alla propria carriera che all'interesse generale.

Barbagallo è andato ko nel faccia a faccia con il direttore generale della Consob Angelo Apponi. Il presidente della commissione d'inchiesta sulle banche Pier Ferdinando Casini ha chiuso le sei ore di seduta con un verdetto impietoso: niente confronto all'americana. "Dall'esame testimoniale non sono emerse discordanze, quindi non ritengo tecnicamente possibile attivare questo strumento". Nell'audizione del 2 novembre scorso Apponi aveva accusato la Banca d'Italia di non avergli girato le sue informazioni sul prezzo gonfiato delle azioni della Popolare di Vicenza e di Veneto Banca. Barbagallo sosteneva il contrario. Ieri i due sono stati riascoltati come testimoni sotto giuramento. L'uomo del governatore Ignazio Visco ha confessato. E fin qui si parla solo delle due banche venete. Il timore è che quando si scoperchieranno le fogne di Monte dei Paschi e Banca Etruria i muri di Palazzo Koch tremeranno davvero.

Come la Caporetto vera, anche quella di Bankitalia è un impasto di farsa e tragedia. Dovendo indagare su crac bancari che hanno provocato anche alcuni suicidi, i 40 deputati e senatori della commissione scoprono che mentre, il presidente della Popolare di Vicenza Gianni Zonin distruggeva risparmi dei veneti per miliardi, le autorità di vigilanza erano più che altro intente a disegnare arabeschi di burocratese. Lo hanno fatto anche ieri. Quando Barbagallo, in pieno panico, ha spiegato tutto serio che "la formalizzazione di un processo decisionale è un fatto procedurale" è stato chiaro che non c'è più confine tra dramma e commedia all'italiana. È il momento del si salvi chi può. Incalzato sull'ispettore Giampaolo Scardone - che nel 2012 non vede le "baciate" di Zonin (azioni comprate con soldi della banca, l'anticamera del crac) anche se i dirigenti della banca gliele mostrano - Barbagallo lo scarica: "Che volete che vi dica? Chiedete agli ispettori come hanno lavorato. Io non c'ero".

In sei ore di interrogatorio ai due superburocrati la commissione ha appurato che nel 2013 e nel 2014 la Popolare di Vicenza e Veneto Banca hanno collocato indisturbate azioni e obbligazioni mentre Bankitalia, che controlla lo stato di salute delle banche, non passava le informazioni in suo possesso alla Consob, che vigila sui collocamenti.

Non solo. Le due venete sono esplose all'unisono nel 2015-2016, ma su Veneto Banca gli ispettori di Visco avevano acceso un faro severamente critico nel 2013, mentre su Vicenza non si sono accorti di niente (o hanno finto) fino al 2015. L'ennesima conferma che Bankitalia stava facendo di tutto per costringere Veneto Banca a farsi "salvare" dall'amico Zonin. Resta la domanda: perché Vicenza, così più sana di Montebelluna - come ha ripetuto ieri Barbagallo - ha fatto la stessa fine di Veneto Banca?

Le diagnosi di Palazzo Koch erano forse troppo misteriose, protette non solo dal segreto d'ufficio ma anche da un oscuro burocratese. Il prezzo delle azioni di Veneto Banca non era eccessivo, era "incoerente". Barbagallo suscita l'ilarità della commissione protestando: "Incoerente non è un aggettivo criptico". È il momento del surreale, che però non fa ridere perché illumina il modo in cui Bankitalia ha lasciato che le banche si sfasciassero. Il senatore Andrea Augello chiede perché Bankitalia non mandava semplicemente alla Consob i verbali ispettivi sulle due venete, decine di pagine, ma una stitica sintesi di due paginette. Barbagallo risponde senza ridere: "Questo è il nostro modo di comunicare, lo facciamo per non appesantire la Consob. Se scrivevamo 30 pagine avremmo messo in difficoltà i colleghi". Gli oltre 500 dipendenti della Consob non sanno leggere o sono dei fannulloni?

I commissari sono increduli. Rifanno la domanda. Lui conferma: "I rapporti integrali non li mandiamo mai, facciamo sintesi per agevolarli. Ogni anno facciamo 200-250 ispezioni, se inondassimo la Consob con tutti i rapporti la metteremmo in grave difficoltà". Commissari esterrefatti. Barbagallo insiste: "Nel mare magnum di una relazione ispettiva ci possono essere cose gravi che l'altra autorità non è in grado di discernere".

A fine 2013 Bankitalia scrive a Consob che il prezzo delle azioni di Veneto Banca è "incoerente", ma quando nel 2014 la popolare di Montebelluna lancia un nuovo aumento di capitale, Palazzo Koch lo autorizza. Carla Ruocco (M5S) chiede: "Perché?". Barbagallo: "Se non l'avessimo autorizzato per gli stessi azionisti sarebbe stato un disastro". E così, per il loro bene, furono lasciati all'oscuro. Renato Brunetta (Forza Italia) scolpisce il finale: "La vigilanza in questi dieci anni ha miseramente fallito. Abbiamo già capito, chiudiamola qui".

di Giorgio Meletti, da Il Fatto Quotidiano


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