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Crac BPVi, sul CorVeneto la controffensiva nella causa "civile" di Zonin: eccezione contro azione di responsabilità, «nella banca una struttura occulta», colpe di Iorio e Atlante

Di Rassegna Stampa Sabato 23 Settembre 2017 alle 11:18 | 0 commenti

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"Il dg Samuele Sorato, il suo vice Emanuele Giustini, il capo dell'Audit, Massimo Bozeglav, che non aveva riportato i segnali di allarme al cda. Sono i presunti responsabili del crac di Banca Popolare di Vicenza secondo l'ex presidente Gianni Zonin. Nella memoria che ha presentato al Tribunale delle imprese nella causa civile che aveva aperto un anno fa, in opposizione all'azione di responsabilità presentata dalla banca. Che secondo Zonin la banca non può sostenere, una volta finita in liquidazione. In più, sostiene l'ex presidente, a determinare il crac della banca sono state le scelte dell'ex ad Francesco Iorio e della gestione targata Atlante": è questo il lancio in prima pagina dell'articolo di Antonio Spadaccino su Il Corriere del Veneto che pubblichiamo di seguito.

VICENZA. L'appuntamento è per il 18 ottobre prossimo per la causa civile presso il Tribunale delle imprese di Venezia. Ma a metà di questa settimana l'ex presidente della Banca Popolare di Vicenza, l'imprenditore Gianni Zonin, ha depositato la sua memoria difensiva, con tanto di domanda riconvenzionale, ovvero un'azione autonoma attraverso la quale chiede un pronunciamento a sé favorevole e sfavorevole alla controparte (in questo caso Bpvi). In 215 pagine sono riassunti 19 anni di presidenza Zonin. E in premessa, sotto la voce «istanze ed eccezioni in via pregiudiziale e preliminare», la richiesta dell'interruzione del processo a causa della messa in liquidazione coatta amministrativa di BPVi, con tanto di citazione di quanto affermato in materia dalla Suprema Corte di Cassazione quando ha osservato che «la messa in liquidazione coatta amministrativa di una società configura l'evento della perdita di capacità di stare in giudizio».

Se questo può essere interpretato come un auspicio (e ci sono recenti precedenti al Tribunale di Venezia su casi simili - anche se non di eco paragonabile a quello della causa di Banca Popolare di Vicenza contro i suoi ex amministratori - conclusi con un nulla di fatto), nella memoria depositata dai difensori di Zonin balzano agli occhi tre aspetti fondamentali.

Il primo verte sull'assenza del nesso di causalità tra il comportamento dell'ex presidente e il danno arrecato alla banca stimato in 2 miliardi di euro (a breve pubblicheremo su questo mezzo in esclusiva i dettagli, ndr). Il secondo riguarda la denuncia di una sorta di struttura occulta all'interno della stessa Bpvi creata dall'ex dg Samuele Sorato e dal suo vice Emanuele Giustini. Il terzo punto chiama invece in causa Massimo Bozeglav, ex responsabile dell'Internal Audit di Bpvi (l'organo interno di vigilanza sulle procedure della società), per aver deliberatamente occultato all'organo amministrativo e a quello di controllo il rilievo delle operazioni anomale perpetrate dai vertici dirigenziali.

Il nesso dì causalità

Gianni Zonin è stato presidente della Bpvi dal 1996 al novembre 2015. Nella memoria si ricorda che durante questi anni sono stati distribuiti ai soci i consistenti utili conseguenti alla gestione profittevole della banca. Nel periodo successivo alle dimissioni di Zonin si rimarca invece che i due cda che si sono susseguiti hanno ridotto il valore di un'azione della Bpvi da 48 euro dapprima a 6,30 e, successivamente, a 10 centesimi. Zonin - viene sottolineato - ha condiviso e condivide la situazione dei risparmiatori e dei soci Bpvi che in due anni si sono visti azzerare il valore delle proprie azioni. L'ex presidente possiede in prima persona 51.920 azioni, mentre altre 319.839 azioni sono di proprietà di suoi familiari. Ciò premesso, la memoria difensiva si concentra sull'assenza di nesso di causalità tra l'operato del suo ex presidente e il danno arrecato alla Banca. L'infondatezza delle contestazioni sono confermate - secondo la difesa - dal fatto che solo l'esercizio dei poteri di indagine speciali di Bce e Consob hanno consentito di scoprire la scorrettezza del comportamento della direzione (comunicazione a Zonin il 7 maggio 2015 a Milano da parte della Bce con ottenimento, da parte dello stesso Zonin, delle dimissioni in giornata del dg Sorato). Segue, poi, un resoconto cronologico delle comunicazioni ufficiali sull'andamento di Bpvi da parte degli amministratori che sono succeduti a Zonin: si parte dalla comunicazione del 2 febbraio 2016 dell'ad Iorio alla Bce, nella quale si dice che la banca era gestita, ed era stata gestita, correttamente. Per la difesa questa è la prima interruzione del nesso di causalità. Ma la definitiva interruzione sta nel fatto che le scelte operate dalla gestione Iorio e da quella successiva hanno portato al definitivo default della Banca. Tra queste scelte viene ricordato il tentativo di quotazione in Borsa, definito lo spartiacque tra la gestione ordinaria precedente e il progressivo e irreversibile decadimento nel periodo successivo sino ad arrivare alla liquidazione coatta amministrativa.

La struttura occulta

La tesi difensiva di Zonin si concentra ora sull'accusa di omissione dell'esercizio dei poteri ispettivi. E la premessa fa subito capire dove si andrà a parare: l'ex presidente e gli altri ex amministratori non hanno mai colto segnali di allarme perché ciò è stato loro concretamente impedito. Da chi? Da Sorato e Giustini, come si desume dalla relazione della Bce del settembre 2015, con gli ispettori che hanno potuto avere piena contezza dei comportamenti illeciti occultati dai veri responsabili a tal punto da non rendere possibile l'emersione del fenomeno prima dell'acquisizione di alcune email dal server aziendale di Bpvi. La realtà - concludono i legali di Zonin - è che gli illeciti sono ascrivibili solo ad alcuni tra i soggetti incolpati, colpevoli di aver creato all'interno della Banca Popolare di Vicenza una struttura occulta che ha operato nell'ombra a dispetto, all'insaputa e contro gli stessi organi sociali (cda e collegio sindacale) senza che essi potessero accorgersene. In pratica, questa è la risposta alla tesi sostenuta dalla Banca, ovvero che l'ex presidente e gli ex amministratori «non potevano non sapere». Con la precisazione che se il flusso informativo si interrompeva già prima dell'accesso al cda, che non poteva esercitare il suo controllo, a maggior ragione tale controllo era impossibile per il presidente.

L'Internal Audit

Un ampio capitolo della memoria difensiva di Zonin è dedicato all'Intemal Audit, l'organo di controllo interno. Il suo responsabile, Massimo Bozeglav, pur avendo scoperto alcune anomalie, non le ha mai riferite direttamente al Consiglio di amministrazione, di cui era gerarchicamente alle dipendenze, né tantomeno al Collegio sindacale della Bpvi. Il passaggio più significativo racconta di una verifica e dell'identificazione di numerose fattispecie di finanziamenti correlati datata 2014, senza che Bozeglav informasse i vertici della Banca. Anzi - rimarcano i difensori di Zonin - il capo dell'Audit aveva sciaguratamente informato i principali indiziati dei comportamenti irregolari, ovvero il dg Sorato e il vice direttore Giustini. I quali, con un atteggiamento dilatorio, avevano determinato la sospensione dell'indagine avviata. Di fatto, l'attività ispettiva dell'Internal Audit era ripresa solo con l'avvio dell'ispezione Bce nel febbraio 2015. A fronte di tutto questo, le conclusioni sottolineano che se un danno è stato arrecato alla Banca e se una responsabilità può essere contestata ad alcuni, costoro non potranno che essere Sorato e Giustini oltre appunto a Bozeglav. I primi due sono stati gli dei ex machina delle operazioni contestate e dell'occultamento delle stesse agli organi amministrativi e di controllo della Banca, mentre il terzo ha deliberatamente occultato agli organi di controllo il rilievo delle operazioni anomale che erano state perpetrate dai due vertici dirigenziali.


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