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Veneto Banca, Banca Popolare di Vicenza e MPS finanziate per 150 mln da Finlombarda, finanziaria della Regione Lombardia nata per sostenere le imprese: lo denuncia l'Espresso

Di Rassegna Stampa Domenica 23 Ottobre 2016 alle 20:53 | 0 commenti

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La finanziaria della regione Lombardia, nata per aiutare le piccole aziende, presta più soldi agli istituti di credito che alle ditte. E finisce nell'inchiesta su Veneto Banca. Con un'intercettazione 
dai contorni poco chiari
di Vittorio Malagutti, da l'Espresso n. 42 del 16 ottobre ripreso anche su l'Espresso online
Una montagna di soldi. Soldi pubblici: almeno 200 milioni di euro amministrati da Finlombarda, la società che fa da cassaforte alla Regione Lombardia (nella foto la sua sede, ndr). Si parte da questo tesoretto, per ricostruire un capitolo fin qui inedito della storiaccia di Veneto Banca, la grande Popolare che ha prosciugato i risparmi di decine di migliaia di piccoli azionisti in un falò di affari sballati, prestiti ad alto rischio e complicate operazioni finanziarie finite nel mirino della magistratura. Ebbene, seguendo le tracce del denaro, si scopre che Finlombarda era diventata un affezionato cliente di Veneto Banca (oltre che di Banca Popolare di Vicenza e MPS, ndr).

Fin qui niente di illegale, ovviamente. Se non fosse che a sollevare sospetti sulla natura dei rapporti tra la finanziaria regionale e l'istituto di Montebelluna sono gli investigatori della Guardia di Finanza.

Negli atti dell'indagine che a fine luglio ha portato all'arresto (ai domiciliari) di Vincenzo Consoli, per quasi vent'anni dominus incontrastato di Veneto Banca, viene segnalata una conversazione intercettata dalle Fiamme Gialle il 27 febbraio del 2015. Marco Maffei, un manager della Popolare, parla al telefono con Francesco Acerbi, all'epoca direttore finanziario di Finlombarda e, in seguito, promosso direttore generale. La coppia discute di acquisti di titoli e di tassi d'interesse su depositi bancari. Il sospetto è che la società pubblica abbia negoziato un trattamento di favore promettendo di destinare capitali ingenti verso l'istituto con sede a Montebelluna. Al momento, comunque, né Acerbi né il suo interlocutore risultano indagati.

Per capire meglio il senso di quella conversazione ne va spiegato il contesto. I manager guidati da Consoli erano da mesi sulla graticola. Dopo anni di controlli indolore, alla fine del 2013 la Vigilanza di Bankitalia aveva finalmente portato alla luce pesanti irregolarità nella gestione della Popolare. E il 17 febbraio, quindi solo pochi giorni prima dell'intercettazione, le indagini della procura di Roma erano diventate di dominio pubblico per effetto di una spettacolare perquisizione del quartier generale di Veneto Banca. In quelle settimane concitate di inizio 2015, diventava quindi sempre più difficile far fronte alle richieste dei correntisti che, allarmati da tante notizie negative, volevano alleggerire o chiudere del tutto il loro conto. Senza contare che intanto proseguiva anche l'assedio dei soci: migliaia di piccoli azionisti dell'istituto trevigiano desiderosi di disfarsi dei loro titoli.

Tra tanti clienti, la milanese Finlombarda, forte di un bilancio traboccante di liquidità, era un peso massimo in grado di muovere milioni di euro alla volta. Meglio tenersela buona, quindi. Si spiega anche così quella telefonata intercettata dagli investigatori, con Acerbi, il tesoriere della finanziaria regionale, che appare ben deciso a far pesare la sua posizione di forza. Il manager pubblico sembra mirare «a possibili agevolazioni», si legge nell'ordinanza di custodia del luglio scorso.

Ma in cambio di quali contropartite Veneto Banca avrebbe dovuto concedere queste agevolazioni? E queste ultime, di preciso, in che cosa consistono? Le cronache dei mesi scorsi raccontano che migliaia gli investitori, spesso anche piccoli risparmiatori, sono stati convinti a comprare titoli della Popolare di Montebelluna con la promessa di futuri finanziamenti. Salvo trovarsi con un pugno di mosche quando l'istituto è stato travolto dalle perdite e il valore delle azioni praticamente azzerato. Un caso limite è quello della Finpro, un'azienda milanese di elettronica che, secondo quanto lamentano gli amministratori della società, è arrivata al capolinea del fallimento dopo che per anni era stata costretta a investire centinaia di migliaia di euro in azioni Veneto Banca.

Ben diversa era la posizione di Finlombarda, che non aveva bisogno di finanziamenti per sbarcare il lunario, ma, al contrario, poteva mettere somme ingenti a disposizione della controparte. E l'istituto allora guidato da Consoli in quei giorni aveva più che mai bisogno di contante e, in teoria, avrebbe potuto compensare l'eventuale investitore in termini, per esempio, di maggiori rendimenti. Proprio questi potrebbero essere le "agevolazioni" ipotizzate nell'ordinanza. "L'Espresso" ha interpellato Finlombarda per chiarire circostanze e motivi della conversazione finita agli atti dell'inchiesta giudiziaria. Le domande sono però rimaste senza risposta.

Di certo, la finanziaria pubblica viaggia da tempo agganciata al treno dei banchieri. A ben guardare, si scopre infatti che nel 2014 Finlombarda ha cambiato strategia d'investimento per buttarsi a capofitto sulle obbligazioni bancarie. Vengono comprati titoli per milioni, compresi quelli di banche già in difficoltà come Veneto Banca, Popolare Vicenza e Monte dei Paschi di Siena. Nel bilancio 2014 si legge così che le «obbligazioni emesse da primarie banche italiane ammontano a 164 milioni», mentre 12 mesi prima questa voce superava di poco i 25 milioni. La musica non cambia nel 2015: 157 milioni sono ancora investiti in obbligazioni bancarie. In pratica, quasi metà dell'attivo di bilancio dell'anno scorso risulta impegnato in titoli emessi da istituti di credito, mentre i finanziamenti alle piccole e medie imprese del territorio ammontano a 51 milioni di euro. Altri 40 milioni sono invece parcheggiati in conti correnti intestati alla società pubblica, mentre 58 milioni sono andati alle Ferrovie Nord, la società di trasporti della Regione.

Dati alla mano si può quindi concludere che Finlombarda preferisce prestare soldi alle banche invece che dare una mano agli imprenditori. Niente di male, questione di scelte d'investimento. Se non fosse che la finanziaria pubblica viene di solito presentata come uno strumento di sostegno alle aziende del territorio e i vertici politici della Regione, a cominciare dal governatore leghista Roberto Maroni, non perdono occasione per sbandierare la loro solidarietà verso piccole industrie ed artigiani messi all'angolo da banchieri senza scrupoli.

Parole che suonano come vuota retorica se si confrontano con la realtà del bilancio di Finlombarda, che ha puntato oltre 150 milioni sulle banche. Certo, di questi tempi prestare soldi alle imprese può rivelarsi una scelta azzardata. L'economia è ferma e quei crediti potrebbero non tornare indietro. Meglio parcheggiare il denaro altrove, allora.

Anche se poi, in qualche caso, i bilanci di istituti come Veneto Banca riservano sorprese ben peggiori. Senza contare, che in qualche caso, si corre il rischio di spuntare nei brogliacci di un'intercettazione telefonica. Con buona pace dei comizi sui banchieri avidi.

ha collaborato Luigi Franco


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