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BPVi, Gianni Zonin in bancarotta con tutta la classe dirigente. Renzo Mazzaro su Mattino di Padova, Tribuna di Treviso...: "VicenzaPiù", una delle poche voci fuori dal coro a Vicenza

Di Rassegna Stampa Giovedi 27 Luglio 2017 alle 13:56 | 0 commenti

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di Renzo Mazzaro, da Il Mattino di Padova , La Tribuna di Treviso e quotidiani Finegil
Banca Popolare di Vicenza come Veneto Banca, anzi peggio. Storie incrociate di gente facoltosa e di clienti normali, illusi da gestioni acrobatiche e tenuti buoni con versioni di comodo. Prigionieri di un patto leonino che li voleva spolpati e contenti, mentre il loro denaro faceva correre la locomotiva veneta finanziando speculazioni immobiliari, operazioni sui cambi, avventure imprenditoriali coperte dall'amicizia e non da adeguate garanzie. Soldi facili, attinti dalla propensione al risparmio dei veneti. Serviti tra l'altro a pagare stipendi da nababbi a questi sedicenti banchieri, che la decenza prima che la giustizia dovrebbe obbligare oggi a restituire. Finte banche di territorio.

Quando il sipario è calato sulla finzione della banca del territorio, fatta su misura di famiglie e imprese, e il disastro si è materializzato nella sua enormità, il più sorpreso di tutti si è detto l'uomo che guidava la diligenza. Il cavalier Gianni Zonin, una faccia di bronzo come pochi, ha chiesto i danni ai suoi dipendenti. Se non altro Vicenzo Consoli, il "gemello" di Veneto Banca che si vede contestate responsabilità analoghe, ha avuto il buon gusto di non scendere a tanto. L'orgoglio gliel'ha impedito. L'alta considerazione di sé, di cui non ha mai fatto mistero. Ma anche la dignità, perché no. Zonin invece nessuna paura di sfidare il ridicolo. Vent'anni a fare il presidente della Popolare di Vicenza, preceduti da altri 17 a fare il consigliere in Cda. Una vita intera in banca, in posizione di comando. E non sapeva nulla.

Negare l'evidenza. Negare tutto, anche l'evidenza, è sempre stato l'argomento di chi non ha argomenti. Nel ricorso presentato al tribunale di Venezia nel 2016, il cavalier Zonin dà la colpa del disastro alla crisi internazionale, alle normative europee e «alla gestione scorretta e illegittima messa in atto dalla direzione della banca», di cui lui nulla poteva sapere, date le modalità con cui veniva attuata. Presidente a sua insaputa. Ma bisogna leggere le 332 pagine dell'azione di responsabilità avviata dalla banca contro di lui (atto depositato solo il 5 aprile 2017) per rendersi conto che il disastro della Bpvi non può essere addebitato a un uomo solo. Sarebbe una cantonata. Da evitare. Nel Cda della banca sono rimasti seduti per anni fior di professionisti, gente che costituisce l'ossatura della classe dirigente, non solo veneta. Calibri da novanta, come Andrea Monorchio, ragioniere generale dello Stato dal 1989 al 2002, che aveva il ruolo di vicepresidente. C'erano avvocati e giuristi di grido come Marino Breganze e Vittorio Domenichelli, la professoressa Anna Dossena che insegna economia e gestione delle imprese, Giuseppe Zigliotto numero uno fino all'inizio di quest'anno di Confindustria Vicenza, i suoi rinomati colleghi Giovanni Fantoni, Fiorenzo Sbabo, Gianfranco Pavan (peraltro cognato di Zonin), Paolo Tellatin, l'imprenditore Nicola Tognana già vicepresidente di Confindustria nazionale, Paolo Bedoni ex Coldiretti nazionale e oggi numero uno di Cattolica Assicurazioni. Persone che venivano da organizzazioni ramificate nel territorio, «fatto che rende inverosimile l'idea che tutto possa essere avvenuto a insaputa dei consiglieri e, tra di loro, di quelli che guidavano le più rappresentative associazioni economiche, i cui iscritti erano in moltissimi casi anche clienti e soci della banca».

Solo Vittorio Domenichelli, presidente del comitato rischi, ha avuto l'onestà intellettuale di far mettere a verbale che «se in capo al consiglio di amministrazione era concentrata una serie di funzioni, tale organo se ne deve assumere la relativa responsabilità».

Le responsabilità. I due ricorsi, Zonin contro la banca e la banca contro Zonin più altri, dovrebbero essere unificati e discussi il 12 ottobre prossimo davanti al tribunale di Venezia, sezione imprese. Se le responsabilità dovranno essere condivise, resta il fatto che nessuno dei protagonisti di questo dramma viaggia con la sicumera del cavalier Zonin. Dev'essere il frutto delle protezioni di cui ha goduto per decenni. A leggere le cronache (scarse quelle vicentine) il cavaliere di Gambellara intreccia l'ostentazione di un presunto buon operato al piagnisteo che lo vede accodarsi alle vittime del disastro. Sembra quasi che il terremoto che ha distrutto il risparmio di 120.000 famiglie venete abbia sepolto anche lui, che invece appena uscito dalla banca ha messo al riparo i beni intestandoli ai figli. L'azienda di famiglia "Casa Vinicola Zonin" ha chiuso il bilancio 2016 con un fatturato di 151 milioni, contro i 127 del 2014. «Il Veneto piange, Zonin stappa lo champagne», titolano beffardamente i giornali economici. Adesso. Ma nel 2013 l'inviato di un grande quotidiano sosteneva che Zonin aveva avuto dalla banca meno di quello che aveva dato. La protezione è stata a 360 gradi. Gli ispettori degli organi di controllo andavano a finire la carriera stipendiati dalla Popolare di Vicenza. Porte girevoli che assicuravano a Zonin un paracadute in tutte le direzioni. Compresa la magistratura, la cui copertura è ammessa perfino dal procuratore che lo sta indagando, Antonino Cappelleri. Per la verità il magistrato in una intervista dello scorso ottobre usa il termine più edulcorato di «atteggiamento tiepido». Ma chiamalo tiepido: il riferimento, in quell'intervista, è alla vicenda del gip Cecilia Carreri che nel 2003 rifiutò di archiviare un'inchiesta sulla banca, come pretendeva il capo della procura vicentina di allora Antonio Fojadelli, e avviò l'imputazione coatta. A Gianni Zonin, tra le altre cose, veniva contestato l'aver fatto comprare al fratello Silvano un palazzo a Venezia, di proprietà della Bnl, di cui era vicepresidente. E avervi aperto una filiale di Bpvi, pagando con i soldi della Vicentina i costi della ristrutturazione. In totale 1 miliardo e 219 milioni di lire, circa 650.000 euro, corrispondenti a metà del costo sostenuto da Silvano per l'acquisto.

Fuori tempo massimo. Come è andata a finire? La Carreri fu sottoposta a un linciaggio mediatico ed è uscita dalla magistratura. Fojadelli, in pensione nel 2011, è diventato nel 2014 consigliere di amministrazione di una società controllata da Bpvi. Naturalmente Zonin è uscito senza danni dall'inchiesta. Cappelleri ha ricostruito la vicenda l'anno scorso e inviato un esposto al Csm. «Ma siamo fuori tempo massimo», aggiunge candidamente. «Tutti i protagonisti sono in pensione o usciti dalla magistratura».

La tecnica usata. Cooptare per neutralizzare: questa la tecnica di Gianni Zonin per durare così a lungo. E disfarsi dei collaboratori, dei quali oggi dice di ignorare l'attività, quando non gli servivano più. "VicenzaPiù", una delle poche voci fuori dal coro a Vicenza, ha fatto l'elenco dei direttori generali di Bpvi assunti e poi fatti saltare da Zonin: nel 1999 viene congedato Piero Santelli che nel 1996 era stato preferito a Luciano Gentilini, colpevole di remargli contro; nel 2000 viene liquidato uno come Giuseppe Grassano; nel 2001 il traghettatore Mauro Gallea lascia il posto a Divo Gronchi; nel 2005 arriva Luciano Colombini, sembra un matrimonio da tempi lunghi, invece volano coltellate; nel 2007 viene richiamato Gronchi per «rasserenare gli animi»; nel 2008 è il turno di Samuele Sorato che dura più di tutti, fino al disastro. Ma c'era un motivo: gli serviva un uomo fedele, da tenere in pugno perché più informatico che bancario, che facesse il lavoro di collegamento con le migliaia di soci di Bpvi. Le telefonate ai direttori di filiale che autenticano le deleghe prima dell'assemblea annuale, i contatti con singoli gruppi e capipopolo. Orchestrare il consenso per confermare in sella il cavalier Zonin. Sentirsi banca mangiando il risotto e approvare il bilancio senza averlo mai letto, blanditi dalla quotazione delle azioni sempre in salita. Certificata fino al 2015 dal professor Mauro Bini, ordinario di finanza aziendale della Bocconi, che oggi avrà qualche grattacapo. Come Sorato, che si trova scaricate sul groppone da Zonin tutte le responsabilità dell'accaduto. A chi la colpa? Un disastro solo colpa dei veneti, niente da imputare al controllore nazionale? La miglior risposta che abbiamo trovato è un'intervista fulminante di Alessio Mannino su VVox a Massimo Malvestio, l'avvocato emigrato a Malta. Una spietata lucida rassegna di colpevoli e vittime, che non fa sconti a nessuno. Eccettuato Luca Zaia, di cui Malvestio è (stato?) consulente.


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