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Il contagio veneto, Il Fatto: BPVi e Veneto Banca in crisi fanno tremare l'Italia. Le due ex popolari esposte per 14 mld col sistema

Di Rassegna Stampa Mercoledi 24 Maggio 2017 alle 09:22 | 0 commenti

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Dopo sei mesi il governo non è ancora riuscito a sbloccare l'intervento per MPS. Se ci vorrà lo stesso tempo per Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca, si rischia un disastro per tutto il sistema

Lo spettro del contagio incombe sul sistema bancario italiano. Il possibile fallimento (o risoluzione, o bail in) della Popolare di Vicenza e di Veneto Banca è confermato dai silenzi del governo italiano e delle autorità europee. E con esso comincia a farsi strada il suo corollario: il contagio sul sistema economico e sulle altre banche. Corollario del corollario è il toto-contagiati. Quali banche colpite per prime?

La gravità della situazione delle due ex popolari venete si evince dalle parole della commissaria europea alla Concorrenza Margrethe Vestager che una settimana fa, dopo aver descritto la difficile trattativa con il governo italiano per consentire il salvataggio statale del Monte dei Paschi di Siena, sulle discussioni parallele a proposito delle due venete ha detto: "Non siamo così avanti, ma abbiamo predisposto dei piani di lavoro che sono condivisi con tutte le parti del tavolo". Tradotto: campa cavallo. Il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan, intervistato dal Financial Times, ha significativamente parlato solo di Mps, spiegando perché da cinque mesi si gira intorno alla questione: "Non stiamo perdendo tempo, stiamo lavorando 24 ore al giorno".
Se, come dicono, la questione Mps potrebbe essere risolta tra giugno e luglio, il discorso si chiuderebbe dopo sei mesi per un istituto come quello di Siena che sta molto meglio delle due venete. I due istituti controllati dal Fondo Atlante hanno chiesto la "ricapitalizzazione precauzionale" il 17 marzo. Se occorressero anche per loro sei mesi di trattativa con Bruxelles e con la Bce di Francoforte si arriverebbe a metà settembre: troppo tardi. Il deflusso di depositi è lento ma costante. La Popolare di Vicenza ha già dovuto far fronte alla mancanza di liquidità a febbraio con due emissioni di obbligazioni per totali 5,2 miliardi di euro. A far crescere il pessimismo si aggiunge la convinzione che Commissione europea e Bce si preparino a far pagare il sì su Mps con il no sulle due venete. Siccome le due banche venete hanno le settimane contate, ai signori di Bruxelles e Francoforte basta tirare le cose in lungo. Già due mesi fa i vertici di Vicenza (il presidente Gianni Mion, il vicepresidente Salvatore Bragantini e gli altri consiglieri) hanno minacciato di dimettersi e sono stati convinti a restare solo dalla moral suasion del governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco. Adesso gli uomini di Vestager subordinano il loro sì alla ricapitalizzazione statale a un contributo di privati (ma chi?) per 1,5 miliardi. Le altre banche, uniche donatrici possibili, non ne vogliono sapere. Ma rischiano danni ben superiori a 1,5 miliardi: basti pensare che le due venete hanno debiti verso le altre banche per 14 miliardi.
Se saltano Popolare di Vicenza e Veneto Banca, il primo atto della procedura di risoluzione è chiedere il rientro immediato a tutte le famiglie e le aziende in bonis: significherebbe risucchiare, prevalentemente dall'economia veneta, circa 30 miliardi di finanziamenti. E sarebbe solo l'inizio.
Il tema del contagio è come la storia dei vaccini per i bambini. I medici (Bce e Bankitalia) prescrivono una profilassi anti-crisi fatta di svalutazioni dei crediti deteriorati compensate da aumenti di capitale. È ciò che ha fatto all'inizio dell'anno Unicredit, chiedendo agli azionisti 13 miliardi. Ci sono però genitori (leggi azionisti e manager) che ritengono il vaccino più pericoloso che utile per creature giudicate sanissime. Le loro creature non vaccinate costituiscono una minaccia prima di tutto per se stesse.
A parte la Carige, autocontagiata da anni e oggi in terapia intensiva, le due principali indiziate nel toto-contagio sono, nell'ordine, Banco Popolare-Bpm e Ubi Banca. Per più di un banchiere i conti di queste due banche sono autentici misteri. Il Banco Popolare è stato ispezionato dalla Bce fino al 4 novembre scorso, prima della fusione con Banca Popolare di Milano. Obiettivo della verifica "i rischi di credito" e "l'accuratezza delle modalità di calcolo della posizione patrimoniale". Dell'esito dell'ispezione non si è ancora saputo niente. Ma nel bilancio al 31 dicembre 2016 il Banco Popolare espone 19,7 miliardi di crediti deteriorati, coperti con appositi accantonamenti per il 36 per cento: un dato ottimistico o fondato su una qualità degli attivi molto superiore a quella delle altre banche? Non sappiamo che cosa ne pensi la Bce. Ma i confronti accendono qualche curiosità: Unicredit ha accantonato il 55 per cento, Intesa Sanpaolo il 49 per cento, lo stesso Mps è al 56 per cento. La media delle banche italiane è al 50,6 per cento.
Banco Popolare si è fuso l'1 gennaio scorso con la nettamente più sana Bpm. Sommando crediti deteriorati e relativi accantonamenti si arriva a un tasso di copertura poco superiore al 41 per cento. Se Banco Popolare si dovesse allineare alla media nazionale dovrebbe iscrivere nel suo bilancio svalutazioni per oltre due miliardi di euro.
Stesso discorso per Ubi. Anche qui crediti deteriorati con copertura bassa, forse ottimistica (35,7 per cento), anche qui un'ispezione Bce iniziata il 17 novembre scorso e non ancora terminata. Argomento: "Capital position calculation accuracy", cioè gli ispettori Bce stanno cercando di capire se il patrimonio di Ubi è calcolato bene in rapporto ai rischi di credito. I crediti deteriorati di Ubi sono 12,5 miliardi di euro, se la copertura dovesse passare dal 35,7 al 50,6 per cento si presenterebbe un fabbisogno di nuovo capitale per almeno 2 miliardi. Vedremo.
di  Giorgio Meletti, da Il Fatto Quotidiano


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