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Il Fatto, azione di responsabilità BPVi contro Zonin & c.: se ne vanno 10 mld in 20 anni tra affari opachi e favori ad amici, altro che MPS!

Di Rassegna Stampa Domenica 9 Aprile 2017 alle 10:26 | 0 commenti

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Altro che Monte dei Paschi Paschi di Siena e Banca Etruria. Qualunque metro di paragone scegliate, alla Banca Popolare di Vicenza hanno fatto peggio. Le 350 pagine (e allegati) dell'azione di responsabilità contro 32 ex amministratori e sindaci depositata al Tribunale di Venezia dall'ad Fabrizio Viola sono un viaggio raccapricciante. Viola chiede due miliardi di danni all'ex padre-padrone Gianni Zonin e compagnia la cui disastrata gestione ha scassato l'istituto. È una goccia nel mare: tra perdite e capitalizzazioni in fumo sono evaporati oltre 10 miliardi. Solo la forsennata campagna acquisti partita con Zonin alla presidenza (1996) è costata 1,17 miliardi. "Cercheremo di rifuggire da giudizi sommari", scrivono gli avvocati guidati da Carlo Pavesi, ma si fa fatica.

Gli accertamenti sarebbero stati ancora più accurati ma "tutte le mail dei principali soggetti coinvolti sono state cancellate dal server" e dal back up automatico: un "buco" di un anno "in concomitanza degli ultimi aumenti di capitale e della campagna con cui la Banca si è liberata delle azioni proprie". A metà della lettura ci si imbatte nella signora Saladino a cui vengono ricomprate le azioni al prezzo massimo scavalcando migliaia di altri soci prima del disastro grazie - rileva la Consob - alla sola "segnalazione della segretaria di Zonin". Altri 600 soci vip sono stati aiutati. Così andava in Pop Vicenza.

I fondi esteri. Vicenda "spiegabile solo con l'opacità dei vertici", scrivono i legali. Sono i 350 milioni investiti nei fondi lussemburghesi Athena e Optimum. Il Cda "osserva sempre un rigoroso silenzio" e delibera alla cieca un paflond fino a 800 milioni; non chiede nulla al dg Samuele Sorato. I soldi finiscono in "oscuri sub-fondi maltesi" o in bond e azioni emessi da società già debitrici della banca come il gruppo di Alfio Marchini, le famiglie Fusillo e De Gennaro. Titoli "illiquidi". Oggi la perdita è di 200 milioni. Nel cda del 12 maggio 2015, di fronte ai rilievi drammatici degli ispettori Bce i consiglieri si prodigano "con richieste, quasi ossessive, di rassicurazioni rivolte al sig. Bozeglav (responsabile dell'audit) cui viene ripetutamente chiesta conferma - come fosse un'esimente - che il Consiglio mai era stato informato della natura e dell'operatività dei Fondi". Sorato si dimette, il cda - dove siede l'ex ragioniere generale dello Stato Andrea Monorchio - accetta "consapevolmente l'illiceità delle operazioni" e gli concede 4 milioni di buonuscita.

Il valore delle azioni. Non essendo quotata, la banca lo stabiliva da sola. A marzo 2011 si affida alla società del professor Mauro Bini (Bocconi). Per 5 anni Bini fissa il prezzo, sempre stellare: nel 2013 è di 62,5 euro (quello a cui vengono chiesti 1,1 miliardi ai soci nel 2013-14), poi scende a 48. Nessuno dice nulla. Gli ispettori Consob scoprono che non c'erano "controlli" né "una formalizzazione dei flussi informativi" tra esperto e banca. Le bozze arrivano ai consiglieri il giorno prima della riunione (2013) o il giorno stesso (2014). Gli ispettori si devono affidare alle mail di Sorato e alcuni dirigenti per ricostruire l'iter. Bini fissa il metodo e lavora con le variabili: flussi, multipli e patrimonio. Viene scelto sempre quello che dà il valore più alto. Dagli allegati si scopre che nel 2011-2014 le sue perizie sono costate 800 mila euro. A marzo 2015, un mese prima che la banca tagliasse il valore delle azioni, un altro incarico da 250 mila. C'è pure una perizia per valutare la "fusione con la Pop Etruria" (settembre 2014). Totale: 1,1 milioni in 5 anni. Oggi i titoli valgono zero. Bini lo scelse Zonin "senza comparazione con altri candidati".

Il capitale finanziato. È la specialità della gestione del presidente viticultore: prestiti per comprare azioni gonfiando il numero di soci, spesso senza garanzie, analisi di patrimoni e redditi e con causali generiche. Per gli ispettori Bce un miliardo del capitale è stato sottoscritto così. Nel 2014, mentre si profila la chiusura del bilancio in perdita, il cda delibera un incremento dei prestiti "15 volte superiore" a sei mesi prima. I legali si concentrano su 17 esempi. Silvano Ravazzolo, cliente dal ‘72 passa da 4 a 50 milioni in pochi anni. E senza garanzie: 39 vanno all'acquisto di azioni. Non ha restituito nulla e ha citato la banca. Il fratello Giancarlo e Valeria Pillan fanno lo stesso: 50 milioni ricevuti, 39 usati per acquistare azioni. L'imprenditore Luigi Morato riceve fidi per 34 milioni e compra titoli per 26; il costruttore romano Luca Parnasi prende azioni per 6,5 milioni con 15 prestati; la Nsfi di Marchini ottiene 76 milioni e compra titoli per 42. Il gruppo Elan della famiglia Cattelan investe in azioni tutti i 38 milioni ricevuti. "In alcuni casi - si legge - il cda ha deliberato nella stessa seduta sia l'affidamento al socio, sia l'autorizzazione all'acquisto di azioni". I contenziosi ammontano a 585 milioni.

Credito allegro. A fine 2014 i crediti deteriorati erano 6,4 miliardi, l'anno dopo 9, oggi siamo a 10. Su un campione di 50 posizioni per un totale 1,2 miliardi prestati, le perdite ammontano a 686 milioni. "La stragrande maggioranza dei finanziamenti non hanno alcuna chance di rientro", scrivono i legali. Nella banca si presta senza criterio e ai "clienti amici" usati per il capitale finanziato. Le perdite sono ingenti: la quota di Marchini è svalutatata di 60 milioni; quella di Morato per 29 etc.. Clamorose alcune operazioni immobiliari: per comprare l'Hotel San Marco a Cortina la banca finanzia una società intermediaria ma alla fine si ritroverà azionista di controllo e principale creditore dell'hotel. Le perdite per i finanziamenti a "Gruppo Adige Bitumi", Acua marcia immobiliare e alle società dei De Gennaro sono costate altri 50 milioni.

Solo nel 2012-2014 gli organi sociali della banca hanno percepito in totale circa 27 milioni di euro di emolumenti. Nel solo 2015 Zonin ha ricevuto 1 milione di euro.

di Carlo Di Foggia, da Il Fatto Quotidiano


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