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Il Fatto: il decreto Popolari, il bail-in, Etruria ecco perché Matteo Renzi "odia" Ignazio Visco

Di Rassegna Stampa Mercoledi 18 Ottobre 2017 alle 09:58 | 0 commenti

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Nel mondo berlusconiano la categoria dell'odio serviva a zittire le critiche. Matteo Renzi ne ha fatto un tratto distintivo dell'agire politico. L'odio per Ignazio Visco affonda nei disastri bancari del suo governo, che il fiorentino attribuisce per intero a Via Nazionale: "Abbiamo sbagliato ad affidarci a loro" ha spiegato nel suo libro Avanti. Il guaio nasce dal nuovo corso che Bankitalia decide di prendere sulle grandi banche popolari a fine 2014. L'idea di consegnare al mercato un pezzo del credito italiano con una riforma pesante trova convinto il fiorentino, che si fida ciecamente.

I tecnici di Palazzo Koch scrivono per intero il testo che approda in Consiglio dei ministri il 20 gennaio 2015, dopo giorni di indiscrezioni. Un terremoto: basta natura cooperativa, le prime dieci popolari con attivi sopra gli 8 miliardi devono trasformarsi in Spa e quotarsi in Borsa perdendo il voto capitario (una testa un voto). Renzi blinda il decreto in Parlamento, nessuno riesce a scalfire la soglia degli attivi fissata arbitrariamente. Il motivo? "Bankitalia non vuole".

Il perché lo si capirà dopo: in quella soglia ci sono tutte le protagoniste delle vicissitudini bancarie (e giudiziarie) degli ultimi anni, da Banco Popolare alla Bpm, dalla Banca Popolare di Vicenza a Veneto Banca, per finire alla Popolare di Bari, a Ubi ed Etruria. Sono le pedine del risiko bancario che via Nazionale ha pilotato negli anni di crisi in maniera disinvolta: gli scheletri sono troppi, e infatti ben tre finiranno gambe all'aria. Renzi non mette le cose in prospettiva e si fa bastare che la soglia sia abbastanza bassa da (non, ndr) pescare la traballante Etruria.

Sono gli stessi giorni in cui nasce il guaio della banca aretina cara a Maria Elena Boschi che da mesi - come rivelato da Ferruccio de Bortoli e dal Fatto - si dà da fare per salvare l'istituto, di cui il padre è vicepresidente. Visco lo commissaria l'8 febbraio 2015: a novembre il patatrac. Renzi fa impostare alla Banca d'Italia la "risoluzione" di quattro piccole banche, tra cui Etruria, accollando le perdite a soci e obbligazionisti subordinati in ossequio alle nuove norme europee sul "bail-in: due miliardi di risparmi privati vanno in fumo, vengono azzerati 700 milioni di bond in mano a oltre 12 mila persone, il settore bancario è scosso dalle fondamenta dall'iper svalutazione - decisa da Bankitalia - dei crediti in sofferenza (brucerà in un anno 42 miliardi di capitalizzazione in Borsa). Un terremoto che travolge il governo.

Renzi individua in Visco il colpevole: prima affida gli arbitrati per i risparmiatori truffati all'Anac di Raffaele Cantone, poi, il 9 dicembre, il giorno dopo il suicidio di Luigino D'Angelo, pensionato che aveva perso 100 mila euro nel crac Etruria, annuncia l'appoggio alla istituenda commissione parlamentare d'inchiesta sulle banche (che metterebbe Palazzo Koch sulla graticola).

Da quel momento i giornali si riempiono di veline sulle malefatte dei vertici di Etruria. L'effetto positivo per Bankitalia è che la faccenda viene ridimensionata alle colpe dell'oligarchia affaristico-massonica aretina: è lo schema "guardie disarmate" e ladri furbi, gli errori della Vigilanza non c'entrano. Nessuno si azzardi a mettere quanto successo in relazione con la disastrosa negoziazione delle regole Ue che hanno messo a rischio il sistema bancario.

Boschi viene travolta dalle polemiche. Dopo un mese detterà furente al Corriere: "Mi fa sorridere il fatto che alcuni autorevoli esponenti oggi prendano determinate posizioni, sapendo che sono le stesse persone che un anno fa suggerivano a Banca Etruria l'aggregazione con Pop Vicenza".

Il riferimento è alle pressioni della Vigilanza per far fondere la banca aretina con la popolare di Zonin, poi finita gambe all'aria. Per la loro reticenza alla fusione, i vertici di Etruria, tra cui Boschi, verranno multati. Da giorni la banca aretina è di nuovo sui giornali. Ieri è arrivata la replica.

di Carlo Di Foggia, da Il Fatto Quotidiano 

 


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