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Il Fatto: Venete, soluzione “Etruria”: col bail-in in fumo 5 miliardi

Di Rassegna Stampa Mercoledi 21 Giugno 2017 alle 09:28 | 0 commenti

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Il destino delle banche venete passa dal modello "Etruria". S'intende quel particolare salvataggio di un istituto di credito fatto pagare ai suoi azionisti e obbligazionisti subordinati, oltreché alle altre banche, che il governo ha sperimentato a novembre 2015 terremotando il settore. L'unica novità è che ora i soldi ce li metterà anche lo Stato. Il piano iniziale di salvare Vicenza e Veneto con l'ingresso dello Stato è infatti naufragato dopo lo stallo della trattativa con Bruxelles, iniziata a marzo scorso. A maggio, la commissaria alla Concorrenza Margrethe Vestager ha gelato il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan spiegando che il via libera alla "ricapitalizzazione precauzionale" da 4,7 miliardi (per entrambe le banche in vista della fusione) era subordinato alla partecipazione di capitali privati per almeno 1,2 miliardi. Una richiesta fatta filtrare alla stampa e mai formalizzata.

Padoan non ha protestato ma non è riuscito a convincere il settore bancario a tassarsi per arrivare a quella cifra, né Unicredit e Intesa Sanpaolo ad accollarsi i due istituti senza pulizia dei bilanci. Per evitare che i vertici delle banche venete si dimettessero in blocco la scorsa settimana ha messo a verbale che "la soluzione non contemplerà alcuna forma di bail-in. Obbligazionisti senior e depositanti saranno in ogni caso garantiti" e - attraverso una nota del Tesoro - che "non ci sono ipotesi alternative alla ricapitalizzazione precauzionale". Ieri ha fatto filtrare che "la ricapitalizzazione precauzionale a carico dello Stato non è ancora tramontata e resta il terreno di confronto prevalente con l'Ue". Si è dovuto smentire nel giro pochi giorni, ed è già partito il piano B.

Su suggerimento dell'ad di Intesa, Carlo Messina, lo schema prevede la creazione di due bad bank e due good bank dalle ceneri delle venete. Nelle seconde finisce tutta la parte sana degli istituti: 32 miliardi di impieghi; la raccolta dalla clientela, che a fine 2016 era di 28 miliardi; gli 11 mila dipendenti; i 13 miliardi di euro di obbligazioni "senior" e probabilmente anche i 10 miliardi di bond emessi da febbraio scorso con garanzia pubblica per far fronte alla crisi di liquidità. Saranno vendute all'asta entro il weekend.

Alle bad bank vengono invece ceduti i 10,2 miliardi di crediti deteriorati che piombano i bilanci, e lo Stato si impegna a ricapitalizzarle. Per Bruxelles è un aiuto pubblico che viola la concorrenza e quindi vanno accollate perdite anche ai creditori. Per questo ci finiranno non solo le azioni in mano a circa 170 mila soci ma anche gli 1,3 miliardi di euro di bond subordinati, di cui almeno la metà in mano a piccoli risparmiatori. In teoria potranno essere rifusi - dopo lo Stato - se la bad bank farà plusvalenze vendendo i crediti deteriorati. In pratica sono azzerati. È il modello usato a novembre 2015 su Banca Etruria, Marche, CariFe e CariChieti che ha azzerato oltre 2 miliardi in mano a 120 mila risparmiatori e a oggi le banche italiane ancora non hanno rivisto un euro dei 4 miliardi versati per ricapitalizzarle. E non è finita. Tra i soci delle venete c'è ovviamente l'azionista di controllo, il fondo Atlante che per salvare le due banche ha immolato 3,5 miliardi, soldi messi dalle banche italiane, dalle fondazioni bancarie e dalla pubblica Cassa depositi e prestiti. La banche hanno già iniziato a svalutato le loro quote in Atlante, le Fondazioni no: per loro si aprirà una voragine intera da mezzo miliardo. Per abbassare il fabbisogno di capitale verranno ceduti tutti i pezzi pregiati delle venete, e lo Stato rimpinguerà il fondo esuberi volontari del settore per gestire le migliaia di dipendenti che verranno messi alla porta (si parla di almeno 4mila). Non è però chiaro se questo sacrificio, che tra banche e risparmiatori vale 5 miliardi (a non contare i soldi dello Stato), basterà per ottenere il via libera dell'Ue.

Il Tesoro vuol vendere le good bank in blocco. Ha iniziato a trattare con Intesa ma Bruxelles ha fatto sapere di non gradire il negoziato diretto ("viola la concorrenza..."). Così ha messo in piedi un'asta lampo affidata all'advisor Rothschild che si chiuderà nel weekend: oggi alle 12.00 scade il termine per le offerte. I gruppi esteri come Bnp Paribas e Crédit Agricole hanno declinato e Unicredit non sembra della partita. L'unica concorrente di Intesa sembrava essere Iccrea Banca, braccio operativo di Federcasse, che rischia di essere il più fragile dei tre gruppi che riuniranno le banche di credito cooperativo come imposto dalla riforma del governo Renzi: difficilmente presenterà un'offerta. Al Tesoro lavorano già al decreto ad hoc per l'operazione, che presenta non poche difficoltà visto che i 20 miliardi stanziati a dicembre per le banche erano calibrati sulle ricapitalizzazioni precauzionali. Ora si entra in un terreno inesplorato e non sono esclusi nuovi stalli nella trattativa visto che per la prima volta lo Stato metterà soldi in una bad bank. Gli uomini di Padoan si muovono come se avessero già un via libera informale da Bruxelles, ma non è chiaro, per dire, se verrà previsto un meccanismo di indennizzo parziale per i piccoli risparmiatori a cui sono stati venduti i bond violando i profili di rischio.

Una volta inglobate le venete, a Intesa serviranno 2-3 miliardi per mantenere i suoi ratio patrimoniali: soldi che può trovare usando il suo capitale libero.

Carlo Di Foggia - Il Fatto Quotidiano


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