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Il governatore di Bankitalia Ignazio Visco "scade" in autunno, Il Fatto: se Mattarella e Gentiloni vogliono "rinnovarlo" gli facciano prima delle domande su BPVi e Veneto Banca

Di Rassegna Stampa Domenica 6 Agosto 2017 alle 13:18 | 0 commenti

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Se il presidente Sergio Mattarella e il premier Paolo Gentiloni ci tengono tanto, come pare, a rinnovare il mandato del governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco che scade a novembre, dovrebbero almeno chiedergli qualche spiegazione. E farcela conoscere, qualora la ottenessero. Il "Fatto" sta documentando la distrazione degli ispettori di Bankitalia. Hanno stazionato per mesi, a più riprese dal 2010 al 2015, negli uffici della Banca Popolare di Vicenza senza accorgersi che il padre-padrone Gianni Zonin la stava sfasciando. Non si sono accorti che BPVi ha finanziato l'acquisto di proprie azioni da parte dei clienti per oltre un miliardo di euro.

Sostengono adesso che, se la banca non segnala spontaneamente i suoi comportamenti irregolari, la Vigilanza non ha modo di scoprirli. È come se il capo della Polizia si dichiarasse in grado di acciuffare solo i malviventi che si presentassero spontaneamente al commissariato per confessare le proprie malefatte.
Viene da chiedersi a che cosa serva la vigilanza bancaria. Zonin ha chiesto e ottenuto dai soci due aumenti di capitale, nel 2013 e 2014, per complessivi 1,3 miliardi di euro. La Banca d'Italia ha autorizzato le due operazioni e i soci hanno sborsato il denaro senza sapere che li stavano buttando via: la banca era ormai decotta, ma la Vigilanza, sostiene Visco, non lo sospettava neppure.
Ma la stranezza più inquietante è che tutti i maggiori crac bancari di questi anni stanno generando sempre lo stesso esito giudiziario: l'accusa di ostacolo alla vigilanza.
Prendiamo il caso del Monte dei Paschi che lo Stato lo sta salvando con un aumento di capitale miliardario. Il presidente Giuseppe Mussari mette la banca in ginocchio nel 2007 per comprare a 9 miliardi l'Antonveneta che ne vale 3. La Banca d'Italia sa che Antonveneta vale meno della metà di quel prezzo ma non dice niente e lascia fare a Mussari l'acquisto suicida. Alla fine Mussari viene processato e condannato per ostacolo alla vigilanza, per aver nascosto agli ispettori Bankitalia la natura autentica di derivati ad alto rischio delle operazioni finanziarie Alexandria e Santorini.
Il caso di Veneto Banca è analogo. Nel 2013 gli uomini del capo della Vigilanza Carmelo Barbagallo vanno a Montebelluna e, al termine dell'ispezione, denunciano il potente ad Vincenzo Consoli per ostacolo alla vigilanza. L'interessato lo viene a sapere un anno e mezzo dopo, e verrà arrestato quasi tre anni dopo la denuncia. Nel frattempo l'unico intervento della Vigilanza su Veneto Banca sono le pressioni di Barbagallo perché la banca si consegni a Zonin, considerato da Visco il banchiere sano in grado di salvare le banche malate. Anche Consoli, come Mussari, sarà processato per ostacolo alla vigilanza, cioè per non aver spontaneamente confessato agli ispettori le azioni scorrette che gli ispettori sono pagati per scoprire.
Anche Zonin deve rispondere di ostacolo alla Vigilanza. È accusato di non aver messo la Banca d'Italia nelle condizioni di capire che stava sfasciando la Popolare di Vicenza.
Qui il discorso si fa assai spinoso. I tre crac di Mps, Vicenza e Veneto Banca, sono costati agli investitori e ai contribuenti decine di miliardi di euro. Agli stessi investitori e contribuenti si chiede un doppio atto di fede. Da una parte credere a Visco quando dice: "La Vigilanza ha lavorato con il massimo impegno utilizzando tutti gli strumenti a disposizione, ma il nostro impegno da solo non è sufficiente". Dall'altra parte credere alla magistratura che, in numerose procure d'Italia ma all'unisono, ipotizza che questi tre disastri siano accaduti senza la commissione di alcun reato se non l'ostacolo alla vigilanza. Nessun falso in bilancio, nessuna bancarotta, nessuna estorsione, nessuna truffa.
Forse l'educazione finanziaria tanto caldeggiata da Visco è quella necessaria a capire questi misteri.

di Carlo Di Foggia e Giorgio Meletti, da Il Fatto Quotidiano


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