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La crisi di BPVi e Veneto Banca, domande e risposte I parte: così Banca d'Italia spiega la genesi del crollo... solo oggi

Di Federica Rossi Giovedi 13 Luglio 2017 alle 14:20 | 0 commenti

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Il 12 luglio Banca d'Italia ha pubblicato le proprie "Domande e risposte" sulla crisi di Banca Popolare di Vicenza e di Veneto Banca. Il documento si divide in 5 parti:

1. la crisi delle banche venete;

2. la liquidazione coatta amministrativa e la cessione a Intesa Sanpaolo;

3. i costi dell'operazione e delle possibili alternative;

4. impatti dell'operazione su azionisti e creditori;

5. inquadramento normativo dell'operazione;

Oggi sintetizziamo il contenuto del punto n. 1 "la crisi delle banche venete". Nei prossimi giorni approfondiremo gli aspetti successivi.

La crisi delle banche venete

 

Come si è arrivati alla liquidazione delle due banche?

Banca d'Italia ripercorre sinteticamente le tappe che hanno portato alla liquidazione coatta amministrativa di Banca Popolare di Vicenza e di Veneto Banca, ricordando che la crisi è riconducibile a comportamenti scorretti degli amministratori e dei dirigenti, oltre che alla più generale crisi economica italiana.

Quanto a Veneto Banca, nel 2013 Banca d'Italia rilevava la presenza di "azioni finanziate": la banca non aveva dedotto dal patrimonio di vigilanza il capitale raccolto a fronte di finanziamenti da essa stessa erogati ai sottoscrittori delle sue azioni (il patrimonio di vigilanza è la quantità di capitale che prudenzialmente ogni banca deve detenere per soddisfare i requisiti previsti dall'accordo di Basilea 2).

La presenza di "azioni finanziate" non dedotte dal patrimonio di vigilanza veniva rilevata anche per Banca Popolare di Vicenza nel 2015. In particolare, le "azioni finanziate" ammontavano a circa 900 milioni di euro (Banca d'Italia invece non le quantifica per Veneto Banca).

La deduzione di tali finanziamenti dal patrimonio di vigilanza comportava un consistente impatto negativo sul patrimonio di vigilanza, con una conseguente grave crisi di reputazione e di fiducia. A ciò si aggiungeva la difficoltà (se non l'impossibilità) per i soci  di recuperare l'investimento nelle azioni delle due banche, peraltro non quotate.

Si precisa che al tempo il meccanismo delle "azioni finanziate" era ammesso, purché ne venisse tenuto conto a riduzione del patrimonio netto di vigilanza (deduzione, come visto, non fatta dalle due banche venete).

Per far fronte al deflusso di liquidità, nei primi mesi del 2016 le banche emettevano obbligazioni garantite dallo Stato per 8,6 miliardi. Successivamente, entrava nella proprietà delle banche il Fondo Atlante, con la sottoscrizione di aumenti di capitale per complessivi 2,5 miliardi di euro.

Nonostante tali interventi, emergevano ulteriori perdite, dovute all'elevata esposizione ai rischi e a inadeguatezze dei modelli di business, cui la Banca Centrale Europea chiedeva di porre rimedio, anche a fronte di ulteriori versamenti.

A febbraio 2017 le due banche presentavano un piano quinquennale di ristrutturazione basato sulla fusione tra i due intermediari, che ipotizzava un fabbisogno patrimoniale di 4,7 miliardi. Non riuscendo a reperire risorse sul mercato, le banche presentavano istanza di ricapitalizzazione precauzionale al Ministero dell'Economia e delle Finanze. Dopo mesi di confronto tra le banche, il Ministero , la Banca d'Italia, la Banca Centrale Europea e la Commissione Europea, la Commissione ha ritenuto che non sussistessero le condizioni per autorizzare la ricapitalizzazione precauzionale. Lo scorso 25 giugno le due banche sono state poste in liquidazione coatta amministrativa, con la nomina di 3 commissari liquidatori per ciascuna banca. 

 

Perché le due banche non furono commissariate? 

Secondo Banca d'Italia, quando sono state rilevate le prime irregolarità non ricorrevano i presupposti per il commissariamento, né per Veneto Banca, né per Banca Popolare di Vicenza.

Banca d'Italia fa inoltre presente che le successive indagini giudiziarie sono partite da segnalazioni della stessa banca centrale.  

 

Che ruolo ha avuto Atlante?

Il Fondo Atlante ha rilevato la proprietà delle due banche, dopo l'insuccesso delle operazioni di raccolta di capitale sul mercato lanciate nei primi mesi del 2016. Atlante ha sottoscritto aumenti di capitale per complessivi 2,5 miliardi di euro, oltre a versamenti ulteriori per 938 milioni alla fine del 2016. Contemporaneamente, Atlante ha sostituito i dirigenti ai vertici delle due banche.

Banca d'Italia ricorda che l'intervento di Atlante ha evitato lo smembramento delle banche e la vendita dei singoli elementi dell'attivo (liquidazione "atomistica", nel documento di Banca d'Italia), che avrebbe comportato costi molto elevati, anche in termini di minor realizzo.

Peraltro, Banca d'Italia fa presente che con il versamento di circa 1 milione di euro le banche hanno portato a termine una transazione con oltre il 70% degli azionisti, così riducendo il rischio di successivi contenziosi legali.

 

Perché si è perso tempo sull'ipotesi di ricapitalizzazione precauzionale per poi abbandonarla all'ultimo momento?
Come già scritto, dopo che a marzo 2017 le due banche hanno presentato istanza per la ricapitalizzazione precauzionale, è iniziato un negoziato con la Commissione Europea, la BCE, il Ministero e Banca d'Italia. L'ipotesi di ricapitalizzazione precauzionale è stata scartata dopo che le autorità europee hanno dato una valutazione negativa sia sulla ricapitalizzazione che sul piano di ristrutturazione delle due banche venete.

 

Sarebbe stato possibile ignorare le indicazioni delle autorità europee ed effettuare comunque la ricapitalizzazione precauzionale?

Banca d'Italia ricorda che agli Stati membri è vietato erogare risorse pubbliche senza l'autorizzazione della Commissione Europea; anche qualora l'aiuto di stato fosse stato effettivamente erogato (in violazione delle regole e avviando un contenzioso con la Commissione presso la Corte di Giustizia Europea), le banche avrebbero dovuto restituire quanto ricevuto.

Peraltro, in attesa del giudizio della Corte, le banche avrebbero dovuto appostare in bilancio delle rettifiche di valore, che ne avrebbero penalizzato il patrimonio di vigilanza, rendendo quindi vano l'intervento statale.


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