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La Stampa: "Con le banche venete violate le regole Ue"

Di Rassegna Stampa Giovedi 6 Luglio 2017 alle 10:09 | 0 commenti

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Qual è la ragione che ha spinto le autorità italiane a trattare per evitare il fallimento interno a Popolare di Vicenza e Veneto banca? E siamo sicuri che le regole comunitarie siano state effettivamente rispettate? Andrea Enria è il capo dell'Autorità bancaria europea, di fatto un'emanazione della Commissione di Bruxelles, ma ciò non gli impedisce di muovere critiche al decreto del governo che ha salvato gli istituti veneti slalomeggiando la direttiva sulle risoluzioni. Roma, ieri. L'ex funzionario della Banca d'Italia è di fronte alla Commissione Finanze del Senato per parlare di come riformare le regole in vigore da gennaio 2016.

Dosa le parole, ma il concetto è chiaro: «Sembra essere emersa la possibilità che l'interesse pubblico sia valutato in modo diverso a livello europeo e nazionale» e «questo apre la strada alla possibilità di diverse preferenze nazionali sull'utilizzo del sostegno statale». Parole simili a quelle pronunciate nei giorni scorsi da alcuni esponenti conservatori tedeschi e ieri dal capo economista di Deutsche Bank David Folkerts-Landau: «C'è stata una scappatoia per aggirare la direttiva, compromettendo un elemento importante dell'unione bancaria».
Enria teme che il caso delle due venete - alle quali è stato concessa la liquidazione secondo le regole del diritto italiano per evitare l'azzeramento degli obbligazionisti ordinari - si trasformi in un pericoloso precedente. Il capo dell'Eba elenca i casi nei quali il taglio delle obbligazioni - ordinarie e subordinate è regolarmente avvenuto, in alcuni casi con pesanti conseguenze politiche: in Danimarca, Grecia, Austria, Portogallo, Croazia e Cipro, dove il bail-in è stato esteso persino ai depositi sopra i centomila euro. Non solo: Enria dice che nel caso delle venete «non sembra aver tenuto» il principio chiave del «no creditor worse off», la regola secondo la quale nessun creditore dovrebbe trovarsi in peggiori condizioni nella risoluzione rispetto alla liquidazione. Il governo temeva che le conseguenze dell'azzeramento degli obbligazionisti creasse scompiglio sul mercato di quei titoli: in Italia le famiglie ne posseggono per circa 200 miliardi, il quadruplo della Germania. Qui Enria punta il dito contro le banche e indirettamente contro chi avrebbe dovuto vigilare, ovvero Banca d'Italia e Consob: «Il problema sta nel mancato rispetto delle regole a tutela degli investitori in vigore sin dal 2004, quando hanno collocato questi strumenti a clientela al dettaglio senza spiegare chiaramente il loro profilo di rischio». Enria ricorda anche di aver avvertito «dei rischi legati all'applicazione della direttiva sin dal 2014». Mentre Enria pronuncia queste parole a Montecitorio procede fra molte difficoltà l'iter di conversione del decreto per salvare le due banche. I grillini mandano su Facebook il live della riunione e chiedono modifiche. Una di queste riguarda le responsabilità dei manager. In molti spingono per indicare «un discrimine più chiaro» tra «gli amministratori che si sono prestati a portare avanti il tentativo di salvataggio da quelli che hanno colpevolmente portato le banche al dissesto». C'è poi chi vorrebbe allargare la platea dei risparmiatori da risarcire con il decreto: oggi la data di acquisto dei bond per accedere al ristoro è fissata al 12 giugno 2014, la stessa in vigore per Etruria e le altre tre banche fallite a fine 2015. Il tempo però stringe: il calendario dice che il decreto dovrebbe essere in aula lunedì prossimo e incombono più di cinquecento emendamenti. C'è già chi ipotizza di mandare in Aula un testo aperto sul quale il governo porrebbe la fiducia. Se il testo fosse stravolto, Intesa Sanpaolo ha già minacciato di venir meno all'impegno di acquistare le due banche.

Di Alessandro Barbera, La Stampa 


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