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Lavoro, Community Research: tornano le barricate ma il sindacato arranca. E dai Centri per l'Impiego solo il 4% dei posti

Di Rassegna Stampa Domenica 19 Giugno 2016 alle 09:52 | 0 commenti

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Le tre sigle confederali dei metalmeccanici scendono in piazza insieme per contestare il contratto nazionale di Federmeccanica. Non succedeva da 8 anni. Eppure, come dimostra uno studio di Community Media Research, dentro le fabbriche le cose sono molto cambiante
"Si ricordi che la Fiom ha più iscritti del Pd", aveva tuonato l'anno scorso Maurizio Landini sventolando in faccia al premier Matteo Renzi le 350 mila tessere dei metalmeccanici della Cgil. Con la zampata polemica il sindacalista emiliano ha anticipato le debolezze del Pd della Leopolda, emerse nell'ultima tornata elettorale delle amministrative, ma probabilmente ha sopravvalutato la forza delle sue truppe. Proprio in questi giorni le sigle confederali delle tute blu, divise su tutto fino a ieri e attaccate anche da sinistra per la linea morbida con cui hanno affrontato la riforma del Jobs Act, provano a uscire allo scoperto presentandosi unite contro la proposta di rinnovo di contratto nazionale di Federmeccanica. Non capitava da 8 anni di vedere assieme le bandiere dei tre sindacati.

Nelle tre giornate di sciopero si è tornati al vecchio balletto delle cifre con le parti sociali che parlano di adesioni all'80% mentre Confindustria stima un 20%. Tant'è, che in questi otto anni il mondo è cambiato. Dentro e fuori le fabbriche. Dal 2007 a oggi il settore metalmeccanico in Italia ha perso il 30% della produzione industriale, il 25% delle aziende ha chiuso o ha ridotto l'attività, quasi 300 mila lavoratori hanno perso il posto di lavoro. E un buona parte degli iscritti ai sindacati, in costante diminuzione, sono ormai pensionati o dipendenti pubblici. È su queste macerie che si comincia a parlare di una nuova contrattazione del lavoro per far ripartire il Paese. Nel vocabolario della negoziazione di secondo livello entrano i termini di welfare state e l'idea di legare i salari alla produttività e alla partecipazione degli utili d'impresa. Un contratto nazionale più asciutto, quindi, per far giocare un ruolo di protagonista a quello integrativo. Per qualcuno si tratta di un'opportunità anche per le parti sociali, per altri è l'inizio della fine di un sindacato forte che influenza la politica industriale e le scelte di governo.

Sul tema del tramonto dei vecchi modelli di rappresentatività, Community Media Research di Treviso ha redatto uno studio, promosso - va detto - dalla controparte sindacale, la Federmeccanica, dal titolo inequivocabile: "Fuori Classe". La parola chiave della ricerca è però "disallineamento": domanda e offerta che non si incontrano più nel mondo del lavoro, asimmetrie che emergono nella rappresentanza e ostacoli a non finire nello stabilire strategie per lo sviluppo. In Italia i Centri per l'Impiego riescono a garantire appena il 4% dei posti di lavoro. I canali per trovare occupazione restano quelli di un'economia più vicina ai capisaldi del feudalesimo che a quello di mercati aperti e globalizzati. Quindi, vince ancora la spintarella, i contatti di amici e parenti. Le competenze professionali rimangono al palo: solo il 6% degli occupati partecipa a corsi di formazioni. Il Monitor sul lavoro di Community Media Research ha preso in esame un campione rappresentativo dei lavoratori italiani, pari a 1.123 casi, e un panel di 101 imprenditori. E il primo riscontro oggettivo è che siamo passati da una classe di lavoratori a lavoratori fuori classe.

Un'indicazione che si rivela azzeccata per gli operai che una volta si riconoscevano in una classe omogenea e oggi sembrano una massa disarticolata, come dimostra la mobilità del voto elettorale che non segue più le bandiere di classe di una volta. "Agli occhi della maggioranza dei lavoratori - si legge nel report - il sindacato ha un ruolo ininfluente nello sviluppo del Paese. Gli iscritti attivi sono diminuiti e faticano a raccogliere l'adesione dei nuovi profili di lavoratori entrati sul mercato negli ultimi decenni". In comune i metalmeccanici hanno pochi fattori che ne determinano una comune appartenenza e stiamo parlando dell'età: sono il 46,8% gli over 50, sono uomini nel 65% dei casi, sono occupati nelle piccole imprese (59%) localizzate per il 45% nel Nord Ovest e 25% nel Est e solo il 24% ha riscontrato miglioramenti significativi sul posto di lavoro.

Il ritratto che emerge è che i sopravvissuti alla valanga della crisi che ha desertificato l'industria nazionale, hanno i capelli bianchi, lavorano in aziende che spesso faticano a competere sui mercati internazionali e che non trovano più nelle parti sociali una sponda per migliorare le condizioni di lavoro. Uno scenario certo non ideale per affrontare le sfide di Fabbrica 4.0, nel quale le tute blu dovranno cambiare livrea e chiave inglese. Per la maggior parte dei lavoratori, se i sindacati non ci fossero in Italia le cose sarebbero identiche (43,3%), per il 36,7% andrebbero meglio. L'80% degli intervistati dice che pur di mantenere l'occupazione sarebbe pronto ad accettare flessibilità di orari e il 65,5% legherebbe una parte della propria retribuzione ai risultati dell'impresa. Se il titolare glielo proponesse, l'87,2% vorrebbe contribuire a realizzare innovazioni che nascano dai problemi emersi sul lavoro.

di Christian Benna, da VeneziePost


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