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L'ex avvocato Massimo Malvestio ora gestore di fondi a Malta dice a Possamai: "per salvare BPVi e Veneto Banca serve un miracolo"

Di Emma Reda Domenica 7 Maggio 2017 alle 09:53 | 0 commenti

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«Servirebbe un formidabile miracolo per salvare le due popolari venete»: può essere questo il sunto della lunga intervistadi Paolo Possamai per Il Mattino di Padova, e ripresa da VeneziePost, a Massimo Malvestio, l'autore del "Mala gestio" edito da Marsilio e NordestEuropa nel lontano 2012, che "della devastante crisi in atto nel sistema finanziario nordestino aveva visto i tratti con largo anticipo. In questione vi è la sopravvivenza di Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza, dato che se ne propalano ai quattro venti le condizioni drammatiche, minando alla radice la fiducia del pubblico. E i tempi di intervento di Bce, Dg Comp della Ue, Bankitalia sono una variabile imperscrutabile".

Secondo Malvestio «al principio di tutto sta un mostruoso cortocircuito normativo. Abbiamo avuto una malintesa liberalizzazione. La crisi degli anni Trenta era stata risolta con un modello dirigistico che riduceva la concorrenza tra banche. Gli sportelli che non si erano accumulati dagli anni Trenta sono stati improvvisamente moltiplicati con multipli folli a partire dalla fine degli anni Ottanta, fino a quando la Banca d'Italia ha governato il sistema. I quasi 10 milioni di avviamento per sportello pagati da Mps per Antonveneta: quanti e quali prodotti si sarebbero dovuti vendere per dare una redditività decente a un simile investimento? Attraverso le acquisizioni di banche e sportelli pagati a prezzi evidentemente esagerati si sono poste le basi per le grandi perdite che hanno poi distrutto alcune banche e soprattutto le due popolari venete. Si sono viste remunerazioni stellari a dirigenti bancari che apparentemente accrescevano gli utili e in realtà aumentavano a dismisura i rischi. La liberalizzazione ha espanso la base dei costi e dunque i banchieri spesso hanno gonfiato artificiosamente la base dei ricavi, imbrogliando i clienti con i bond argentini o assumendo rischi fuori misura. Non può funzionare il quadro legislativo liberale europeo e insieme pretendere la tutela pubblicistica del risparmio. Si fa finta di addossare il rischio di perdite agli azionisti e poi alla fine paga lo Stato; comunque si vogliono salvare i depositanti e per tenere in piedi la finzione lo Stato paga molto di più di quel che avverrebbe se la crisi fosse subito stata gestita da un prestatore pubblico di ultima istanza come avveniva prima».

Possamai e Malvestio ripercorrono i segni precursori della crisi: «Vi è stato un lungo obnubilamento generale. Io sono uscito dalle popolari, di cui sono stato azionista di primaria importanza, nel 2006. In quell'anno le azioni di Veneto Banca sono state scambiate per ingenti quantità a prezzi di molto superiori al prezzo fissato dall'assemblea e gli acquirenti pensavano di ripetere i guadagni ottenuti con la trasformazione di Antonveneta da popolare in spa. Vi ricordate che c'era la coda per comperare le azioni delle banche? Il modello di crescita delle banche italiane ed europee era malato in origine. Nel 1980 a Montebelluna c'erano 3 sportelli bancari, così a Castelfranco o a Oderzo. Poi è esplosa la bancarizzazione e in alcune piazze le filiali sono state moltiplicate per dieci ma il PIL non è affatto cresciuto allo stesso modo e, anzi, si è creato un contesto sfavorevole su cui hanno influito in modo determinante la crisi globale del 2008 e la contemporanea rivoluzione tecnologica del modello di business delle banche».

Ci sono poi delle precise responsabilità: «Mussari presidente di Abi, quindi una scelta di sistema, è la prova di un sistema impazzito: sono saltati tutti gli anticorpi, ogni modalità di prudenza, interna e pure da parte di chi doveva vigilare. La Popolare di Vicenza ha aperto il suo sportello di Napoli a maggio del 2015! Veniva indicata come soggetto aggregante! Non serviva Nostradamus per capire che Etruria era fallita. Non era questione di avere la sfera di cristallo, solo di usare i soliti criteri e buonsenso. Adesso si cercano responsabilità individuali: un rito catartico che ha lo stesso rigore morale e logico delle assemblee delle Popolari in cui i vertici venivano osannati qualsiasi cosa dicessero».

Chiede Possamai: Ha rivolto questi ammonimenti anche a Vincenzo Consoli, creatore di Veneto Banca nelle sue vesti di avvocato? «Non vorrei confondere i piani. Con Consoli ho avuto molti franchi scambi di opinioni e spesso non siamo stati d'accordo. Molti, davvero molti, di quelli che, a tutti i livelli, oggi lo additano al pubblico ludibrio avrebbero dovuto farle sapere allora le loro opinioni e non adesso. Quanto alla difesa di Consoli, vi ho di recente rinunciato. Non ho più alcun incarico, gli avevo detto fin da principio che quando avessi finito l'ultimo processo in Italia, avrei definitivamente concluso il mio lavoro da avvocato e dunque avrei lasciato anche la sua difesa. I tempi sono maturati un paio di settimane fa. Del resto, non sono più socio da 4 anni dello studio che si chiamava Barel Malvestio (oggi BM&A) e lo studio cammina benissimo da solo, come dimostra anche l'ultimo recente riconoscimento per il diritto bancario assegnato all'avvocato Lillo. Ho del tutto cessato la professione legale in Italia».

Parlando del suo trasferimento a Malta e della società di gestione fondi da lui guidata, Malvestio afferma che «La mia società, che gestisce circa 500 milioni di euro, è focalizzata sulle middle-small cap e ha importanti investimenti in imprese industriali italiane. Ai tedeschi chiedo di trovarne di più bravi degli italiani: in molti settori gli italiani corrono più veloci di tutti anche se hanno due macigni sulle spalle. La qualità delle persone al lavoro è tuttora eccellente, anzi spesso imbattibile e strepitosa. Quanto a me, sono andato a Malta perché non ritenevo più valesse la pena pagare il 70% di tasse per un Paese impiombato da un debito incontrollabile e da un apparato pubblico che rende tutto lento, fiacco, assurdo, soprattutto imprevedibile e che crede che siano i BTP e non le imprese a generare la ricchezza del paese».

In quanto al Veneto, «non è stato in grado di tradurre la sua forza economica e anche il senso civico, comunque più elevato rispetto alla media nazionale, in un modello culturale e politico alternativo. Lavoriamo tanto e con tanta inventiva, ma non siamo poi capaci di farci valere e di tradurre il nostro valore in un disegno di prospettiva. Purtroppo è mancata completamente qualsiasi consapevolezza culturale e coraggio civico, vedi il fatto che gran parte del ceto dirigente stava nei cda delle banche».

Ci è stato anche lei in mezzo però, osserva Possamai. «Vero, è anche vero che più passa il tempo e più dieci anni di articoli raccolti in Mala gestio prendono valore ma vedo che, ancora una volta nella storia di questo paese, quel che conta non è quel che hai fatto ma è stare dalla parte di chi comanda. Chi ha badato per esempio all'incredibile macellazione della Fondazione Cassamarca? Il presidente De Poli con la sua corte ha disintegrato 500 anni di lavoro dei trevigiani, e ciononostante nessuno ha mai goduto a Treviso per 30 anni di un consenso tanto forte e spontaneo. Per anni ho detto che non era prudente, e neanche legittimo, tenere la gran parte del patrimonio investito in un'unica banca. Peccato che adesso la Fondazione abbia un patrimonio nel migliore dei casi ridotto a zero. Ecco il monumento alla nostra insipienza. E ancora oggi, salvo gli industriali, tutte le categorie sostengono ancora De Poli».


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