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Mentre scompare il sito della Fondazione Roi, resi noti i dati di sintesi dei bilanci: li "leggeremo" per voi, senza filtri. Intanto il CorVeneto disegna le manovre per il Cda

Di Gianfri Bogart Domenica 13 Marzo 2016 alle 12:59 | 0 commenti

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A mettere il naso sulle cose segrete della Fondazione Roi, presieduta dal ben noto Gianni Zonin affiancato da due altri consiglieri come lui di nomina BPVi, dal direttore del Museo Civico, quindi un referente del Comune, e da altri 3 membri del Cda cooptati di cui uno, l'avvocato "indipendente" Lelio Barbieri, subito uscitone vista la "nebulosità" della situazione, abbiamo contribuito, e non poco, noi di VicenzaPiù. Dal caso delle azioni a go go fino all'acquisto per 2,5 milioni degli immobili sinteticamente chiamati "ex Cinema Corso" (segui questo link per ricostruire la storia, ndr) abbiamo provato a ricostruire dati e intrecci (con qualche dubbio anche sui reali e completi interessi della nipote Barbara Ceschi a Santa Croce vista la strana corte dei suoi paladini).

Dati e intrecci li abbiamo ricostruiti dal 4 marzo 2016, il giorno prima dell'assemblea della BPVi, dove il caso è deflagrato (Ceschi chiedeva, Iorio non sapeva rispondere...) , ma documenti alla mano, anche se questi erano inizialmente rintracciabili a gran fatica (e a costi nostri), visto che nel frattempo era anche stato "cancellato" dal web il sito ufficiale prima esistente, anche se con scarne informazioni

Ora, a scandalo in atto, con le pezze da mettere sotto i fari nazionali accesi, di cui il nostro direttore ha anche parlato venerdì in diretta su Radio Padania, chiamato da Giulio Cainarca per la rubrica Onda Linera, sono stati diffusi "estratti" dei bilanci, prima "secretati", e a noi bogartiani viene il dubbio che siano di comodo o, almeno, parziali, viste le interpretazioni che inducono a fare (ma di questo contiamo di scrivere in giornata conti... alla mano).

vi proponiamo, intanto e mentre proviamo a far di conto, un pezzo apparso oggi su Il Corriere del Veneto, che disegna un quadro della situazione per quanto riguarda il Cda presente e quello futuro, che ci fa temere che gli "aggiustamenti" in atto non diventino un'altra spartizione cencelliana degli occupanti delle poltrone, che ben si guarderanno, se così fosse, dal afre luce sui possibili spereperi del patrionjo della Fondazione Roi.

Con buona pace del Marchese Giuseppe..

 

La Fondazione Roi, il suo grande mecenate e le «diplomazie» al lavoro per il nuovo Cda 

di Paolo Coltro, da Il Corriere del Veneto

Mai visto un bunker con le bifore e vasi di fiori bianchi alle finestre? A Vicenza ci sono riusciti, è la sede della Fondazione Roi. Bunker ingentilito, che difende il patrimonio lasciato dal marchese Boso e la segretezza dei propri atti. Ma il ciclone che ha investito Banca Popolare di Vicenza ha fatto ballare le carte sui tavoli anche in Fondazione, per il semplice motivo che banca e Fondazione erano (sono) un'unione di fatto. Tre consiglieri su cinque nominati dalla banca, così prevede lo statuto voluto dal marchese, grande estimatore del Gianni Zonin dei tempi d'oro; quarto uomo in Cda il direttore del Museo Civico, quindi presenza sostanziale del Comune; altra nomina decisa per cooptazione dai precedenti, che possono chiamare anche altre due persone, fino a sette. Un meccanismo per mettere nelle mani della Popolare la gestione della Fondazione. E così è stato: dal 2010 in poi presidenza ininterrotta di Zonin, vice il suo vice a via Battaglione Framarin, Marino Breganze, e sulle altre poltrone Annalisa Lombardo, l'ex prefetto Sergio Porena, fino a poco fa il commercialista di famiglia Sergio Sandrini, Giovanna Vigili de Kreutzenberg, delegata del Fai a Vicenza ma soprattutto consorte di Alvise Rossi di Schio, new entry 2014 in Cda della Popolare. Per il Comune il professor Giovanni Carlo Federico Villa. Qualcosa scricchiola ad inizio anno, con l'acuirsi dei guai della Popolare. Esce Sandrini, subentra il non più giovane avvocato Lelio Barbieri, fuori dai giri. Che dopo due mesi scappa (si è dimesso qualche giorno fa). Nell'unica riunione cui ha preso parte avrebbe chiesto documenti, non rimanendone soddisfatto. Sul piatto soprattutto la gestione di una parte del patrimonio, quella in azioni Bpvi. Molte delle quali c'erano fin dall'inizio. Quindi non sarebbero state fatte comperare da Zonin, la cui gestione della Fondazione viene definita «prudente». Finché le acque erano calme. Poi però si aderisce ai due aumenti di capitale del 2014 e del 2015, quelli sotto la lente degli inquirenti. E nell'ultimo anno risulta un ulteriore incremento di 40 mila azioni di Bpvi.Il cui crollo di valore si riverbera sul patrimonio della Fondazione: da trenta milioni a tre. Qualche avvisaglia si era avuta, la munificenza della Roi s'era un po' rinsecchita negli ultimi tempi. Meno soldi (però 320 mila euro) al Museo Civico cittadino - cui la Fondazione deve far da balia - per espressa volontà del marchese buonanima. Contributo ridotto anche all'Accademia Olimpica, tagli alle altre elargizioni.
Altri tempi quelli di Boso, mecenate in vita e in morte. Il marchese, erede di industriali ottocenteschi della canapa e di un titolo ricevuto dagli avi, era un bon vivant totale, dotato di rendite, cultura e generosità. Regalava antichi codici alla Biblioteca Bertoliana, e il famoso pacchettino con le lettere di «intime» di suo nonno Antonio Fogazzaro. Donava preziosi ex voto alla Diocesi, finanziava borse di studio. Faceva il presidente dell'Ente Turismo, si dava da fare con Bepi Mazzotti per salvare le ville venete. Era l'unico aristocratico vicentino invitato a Buckingham Palace dalla regina Elisabetta. E, nel testamento, ancora la sua collezione d'arte lasciata al museo, e la villa fogazzariana di famiglia sul lago di Lugano al Fai, e quasi tutto il resto alla Fondazione. Morto nel 2009, il marchese aveva dato vita alla Fondazione nel 1988, con cento milioni di capitale, lievitato con il lascito ereditario.
Dicono a Vicenza che nel 2009 il patrimonio fosse sui 100 milioni di euro. E quindi che la perdita legata alle azioni Bpvi si aggiri sul 16 per cento del totale. Gestione «prudente» o meno, l'opportunità evidente spinge ad un cambiamento radicale. La banca Popolare, incredibilmente, afferma che «da quando Zonin non è più nostro presidente, non ci sono legami con Fondazione Roi». Il che è inesatto, non foss'altro per il fatto che per statuto tocca a Popvi nominare tre consiglieri in Cda. Che saranno nuovi. Il Comune tiene un profilo basso, ma vuole contare. Parla l'assessore alla Crescita, cioè anche cultura, e vicesindaco, Jacopo Bulgarini d'Elci: «Per noi è cruciale che la Fondazione torni rapidamente a svolgere il suo ruolo, al massimo della propria efficienza». Il terzo lotto del Museo aspetta. Viene ritenuta una vittoria della diplomazia comunale aver ottenuto il rinnovo totale del Cda Fondazione Roi. Gianni Zonin avrebbe voluto un rimpasto, surroghe, cooptazioni. Non sarà così. Entro quindici giorni nuova riunione: via tutti e nuove nomine. Banca Popolare ci starebbe pensando. Si parte dalla presidenza, il ruolo chiave. L'unico a fare un nome è stato il dimissionario Zonin: ha indicato don Antonio Marangoni, ex segretario particolare del vescovo Nonis, direttore dell'archivio storico diocesano. Una indicazione di continuità, sulla quale il Comune è freddo. Le altre candidature vivono di diplomazie incrociate: a Palazzo Trissino piacerebbe molto Francesca Lazzari, apprezzata ex assessore alla cultura. Stefano Dolcetta, attuale presidente Bpvi, ha fatto un nome che divide: Flavio Albanese. Sa che il sindaco Achille Variati considera l'architetto figura di spicco, con competenze culturali ed economiche, una specie di jolly. L'ha proposto per la presidenza del Cisa (picche), per la vicepresidenza Fondazione Cariverona (picche), gli ha dato la presidenza del Teatro Comunale (presidente dell'assemblea della Fondazione Teatro è Gianni Zonin). Ad aprile scadrà il mandato di Albanese al Teatro. Non risulta che l'architetto si sia proposto sua sponte per la Fondazione Roi, l'idea è di Dolcetta, che sa bene che può essere condivisa. La figura dell'architetto non piace a tutti, per esempio a molti dei firmatari della lettera-esposto spedita in Regione, al prefetto, al procuratore della Repubblica e allo stesso Stefano Dolcetta, firme trasversali unite dalla preoccupazione per il futuro della Fondazione. Si deciderà prima della riunione per l'approvazione del bilancio della Fondazione. Dove si vedrà cos'è rimasto di quei cento milioni.


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