La giovane scledense Silvia Saccardo insegna in Usa Behavioral Economics: come nascono corruzione e discriminazioni economiche
Sabato 20 Febbraio 2016 alle 19:11 | 0 commenti
È partita da Schio ed è uno dei "cervelli"italiani in fuga che dopo aver completato il Ph.D alla University of California San Diego è rimasta negli States a Pittsburgh per insegnare Behavioral Economics, l'economia comportamentale. Ma ama anche lo stand up paddling, coccola il suo gatto Bimino e lancia Hillary Clinton verso la prima presidenza Usa al femminile
Gli "italians" negli Stati Uniti d'America sono arrivati ad essere circa il dodici per cento della popolazione grazie agli italoamericani, giunti ormai alla quarta generazione di "immigrati". All'inizio gli italiani erano considerati "neri" come gli afro, una razza inferiore, con usi e costumi di difficile comprensione. A volte passavano anche per terroristi. Poi con il tempo si sono "sbiancati". Prima l'aiuto è arrivato dalla cucina, poi dalla moda, dal cinema, dalla musica.
Oggi l'immigrazione negli Usa è composta soprattutto dai "cervelli", studenti, ricercatori e professionisti, che nel modello americano hanno trovato il proprio terreno "fertile". La strada l'ha aperta il vicentino Federico Faggin, partito dall'Itis Rossi e arrivato a diventare nella Silicon Valley in California l'inventore del microchip che ha rivoluzionato l'era digitale mondiale.
Ora ci prova Silvia Saccardo, una trentenne partita da Schio, che ha trovato l'America prima come studentessa universitaria, poi per conseguire il PhD (il prestigioso dottorato delle Università Usa) e poi come insegnante e ricercatrice universitaria in una branca particolare dell'economia, quella comportamentale. Sposata con un italiano, anche lui dall'altra parte dell'Oceano per un lavoro di "alto profilo", nel suo futuro non intravede un ritorno al passato, in Italia:
"Il mio sogno è tornare a vivere in California come professore ordinario".
Quando e come è iniziata la tua avventura negli States?
Durante il mio percorso di studio in Italia in psicologia sociale e del lavoro all'università di Padova ho avuto l'opportunità di fare dei periodi di scambio all'estero. Ho frequentato il primo anno di Laurea Specialistica alla University of California Santa Barbara. Una volta rientrata in Italia ho partecipato ad un altro bando e sono riuscita ad aggiudicarmi il "posto scambio" per passare un altro anno negli Stati Uniti, questa volta alla University of California San Diego (UCSD). Durante l'anno a San Diego ho avuto la "fortuna" di entrare in contatto con ricercatori della Rady School of Management, la business school di UCSD, che mi hanno introdotta al mondo della ricerca in "behavioral sciences", le scienze del comportamento umano. Ho da poco completato il Ph.D. alla Rady School of Management, University of California San Diego e durante il mio percorso di dottorato mi sono specializzata in Behavioral Economics, l'economia comportamentale.
In cosa consiste l'economia comportamentale?
Si tratta di una branca dell'economia che utilizza i metodi della ricerca scientifica sperimentale, e applica alcuni concetti della psicologia allo studio delle decisioni economiche. Nella mia ricerca conduco esperimenti in cui esamino le scelte economiche di individui in diversi contesti. In particolare affronto tematiche etiche e analizzo, ad esempio, i meccanismi che fanno sì che incentivi economici portino le persone a comportarsi in modo non corretto, ma disonesto o corrotto. Nei miei articoli analizzo i fattori che influenzano la corruzione e come prevenirla, le situazioni che portano professionisti, come ad esempio i consulenti finanziari, a comportarsi in modo disonesto in situazioni in cui c'è un conflitto di interessi tra il fornire una consulenza etica e il ricevere un incentivo monetario (commissioni, ecc.). Mi occupo anche di discriminazioni di genere e verso le minoranze etniche, sempre, ovviamente, in campo economico.
Quali esempi potrebbe prendere l'università italiana da quella statunitense?
Molte cose, tra le quali la flessibilità con cui è possibile passare da un percorso di studio ad un altro, o laurearsi in un settore (ad esempio ingegneria) e fare un dottorato in un altro settore. Al secondo anno di psicologia mi sono resa conto che il lavoro da psicologa clinica non mi interessava e quella da psicologa da selezione del personale mi sembrava incredibilmente noioso. Purtroppo mollare psicologia e iniziare in Italia un percorso di studio diverso mi avrebbero fatto perdere gli anni di studio investiti. Quindi ho deciso di continuare e sfruttare le opportunità all'estero per frequentare corsi in economia e business, per cercare di aprirmi strade in settori diversi da quello in cui mi ero specializzata. Questo mi ha permesso di entrare in contatto con il mondo della "Behavioral Economics", che applica concetti della psicologia allo studio dei comportamenti economici. Ho quindi deciso di fare un dottorato di ricerca in Behavioral Economics, percorso che in Italia non sarebbe stato possibile in quanto non laureata in economia.
Quali consigli daresti per migliorare il sistema scolastico italiano?
L'istruzione italiana avrebbe bisogno di una ristrutturazione completa: rendere i corsi più pratici, più interattivi e dinamici, connettere studenti e organizzazioni tramite stage. Poi in Italia la carriera accademica è troppo incerta e i ricercatori, soprattutto i giovani, non sono valorizzati. Inoltre i percorsi di accesso alle posizioni lavorative nelle università pubbliche italiane non sono basati sul merito ma soggetti a pesanti procedure concorsuali.
Ora quale è il tuo impegno lavorativo?
A partire dal primo gennaio 2016 sto continuando le mie ricerche presso la Carnegie Mellon University di Pittsburgh dove ricopro il ruolo di "Assistant Professor of Social and Decision Sciences". Continuo ad occuparmi di tematiche come la corruzione, la disonestà e la discriminazione, e insegno in corsi universitari di "Economia Comportamentale ed Etica", "Contrattazione" ed "Esperimenti in Organizzazioni". Il mio lavoro mi sta dando la meravigliosa opportunità di viaggiare per presentare la mia ricerca a conferenze nazionali ed internazionali. Negli ultimi anni ho avuto il piacere di visitare, durante i break dal lavoro per cui ci vado, diverse città in USA tra cui Chicago, San Francisco, Miami, New York, Boston, dove ora lavora mio marito, Tucson e poi il Messico, i Caraibi, e Israele. Inoltre, i miei progetti di ricerca mi hanno portata a visitare collaboratori in diversi paesi europei, viaggi che faccio sempre volentieri in quanto mi danno poi l'opportunità di tornare a casa e ritrovare a Schio la mia famiglia per qualche giorno anche se mio fratello Giacomo, una sua "parte" importante da febbraio è anche lui qui, in Usa, alla Apple di Cupertino, seguito dalla moglie Virginia e col mio stupendo nipotino neonato, Alessandro!
Pensi di tornare in Italia un giorno per lavorare?
Purtroppo in Italia la carriera accademica è troppo incerta e i ricercatori, soprattutto i giovani, non sono valorizzati. Inoltre i percorsi di accesso alle posizioni lavorative nelle università pubbliche italiane non sono basati sul merito ma soggetti ad... incerte procedure concorsuali.
Come vedi la situazione dell'Italia dall'altra parte dell'Oceano?
Penso che l'Italia sia precipitata non solo in una crisi economica, ma anche in una crisi etica e culturale e che è necessario che ritrovi dei valori su cui fondare una rinascita. Ma i giovani italiani che hanno buone capacità e voglia di impegnarsi se la caveranno comunque, sia andando all'estero sia rimanendo in Italia nonostante la crisi economica.
Negli Usa come sono visti gli italiani oggi?
L'Italia e gli italiani piacciono molto agli americani, in quanto considerati estroversi, calorosi e amichevoli. Però purtroppo vedono l'Italia come un luogo di vacanza e non come un partner affidabile per investimenti economici.
La condizione delle donne negli Usa qual è? Ci sono discriminazioni come in Italia?
La situazione è molto migliore che in Italia. Però il divario tra uomini e donne esiste. Anche nel mondo accademico, in discipline quali economia, il mio campo di studio, le donne sono ancora una minoranza. Nel 2013 il numero di donne in posizioni di CEO in aziende statunitensi nella lista Fortune 500 ha raggiunto il numero più elevato nella storia, ma si tratta solo del 4.6% del totale. Quindi è evidente che la strada è ancora lunga.
Ormai sono diversi anni che vivi negli Usa, ci racconti un po' la vita da americana? Cosa ti piace di più e cosa non sopporti, se c'è qualcosa, di quella cultura?
Non sopporto sicuramente la politica sulle armi. Mi piace, invece, l'ambiente intellettuale stimolante, la meritocrazia, il fatto che la società americana più di ogni altro paese europeo accetta il diverso e lo fa sentire a casa, anche se la cosa che mi manca di più dell'Italia sono i miei genitori e i miei amici. A San Diego poi ho scoperto una nuova passione: la mattina, prima di andare al lavoro facevo un'ora di stand up paddling (conosciuto qui come SUP) nelle acque del Pacifico ma qui, a Pittsburgh, a meno 10 e anche più non è proprio immaginabile. Ma "mi consolo" con l'interesse per il mio lavoro e con le altre attività che vi posso svolgere (negli Stati Uniti, una fonte per la qualità della vita delle città statunitensi, il David Savageau's Places Rated Almanac, ha classificato di recente Pittsburgh come il miglior posto dove vivere negli USA, ndr). Nel resto del mio tempo ho una vita normale: faccio sport, esco con gli amici, cucino, ascolto musica e mi prendo cura di Bimino, il mio gatto u-ni-co, per le cui fusa lotto con mio marito.
Della politica che ne pensi? Negli Usa simpatizzi più per Hillary Clinton o per Donald Trump?
Tra i due per me è facile scegliere Clinton! Dopo Obama, primo presidente afro-americano, ora penso sia giunto il momento che gli Stati Uniti abbiano un presidente donna! Parte della mia ricerca esplora le motivazioni che fanno si che pochissime donne (solo l'11%) abbiano posizioni di leadership nel mondo del lavoro e che a parità di posizione lavorativa le donne guadagnino poco più di 2/3 dello stipendio di un uomo. La ricerca dimostra che oltre alla discriminazione, ancora presente in modo più o meno forte nei paesi occidentali, altre possibili cause del divario tra uomini e donne sono la bassa autostima e la bassa competitività di quest'ultime. Credo che avere un presidente donna potrebbe servire da esempio a tutte donne e favorire le politiche per un'effettiva parità tra i sessi.
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