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Thibault: 30mila pistole esportate in Egitto, dove è morto Giulio Regeni

Di Citizen Writers Martedi 9 Febbraio 2016 alle 15:26 | 0 commenti

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Riceviamo da Luc Thibault, Rsu/Usb Ava, e pubblichiamo

L’omicidio di Giulio Regeni apre uno squarcio drammatico sul clima di terrore che vive ogni giorno l’Egitto di Al Sisi, grande partner commerciale, economico e militare e amico del governo Renzi. Non è facile evitare di cadere nel banale o nell’inappropriato quando si tenta di esprimere un commento su una vicenda tragica come quella relativa all’assassinio di Giulio Regeni.

“Un brutto colpo alle relazioni economiche con l’Egitto” titola il Sole 24 ore. Matteo Renzi a suo tempo ha descritto Al Sisi come un grande statista? In un’intervista ad Al Jazeera nel luglio scorso ecco cosa diceva il presidente del consiglio: 

«In questo momento l’Egitto si salva solo grazie alla leadership di al Sisi. Sono orgoglioso della mia amicizia con lui e sosterrò i suoi sforzi in direzione della pace, perché il Mediterraneo senza l’Egitto sarà un luogo senza pace».

Parliamo di fatti! Sono 30mila le pistole esportate tra agosto e settembre scorsi dalla provincia di Brescia in Egitto. Un carico complessivo di quasi 29 tonnellate per un valore di oltre 9 milioni di euro. Il grosso è rappresentato da pistole, probabilmente le Beretta F92, prodotte dalla Fabbrica d’Armi Pietro Beretta di Gardone Val Trompia, sistemate sui camion nottetempo e destinate con ogni probabilità alla polizia o agli apparati di pubblica sicurezza egiziani. Ordinaria amministrazione per un’azienda come la Beretta che da sempre rifornisce le polizie di mezzo mondo? Non proprio, considerato che lo scorso 10 febbraio i ministri degli Esteri dell’UE hanno riconfermato la decisione presa nell’agosto del 2013 di “sospendere le licenze di esportazione all’Egitto di ogni tipo di materiale che possa essere utilizzato per la repressione interna”.

Dai documenti ufficiali dell’UE non risulta che la decisione sia stata revocata nemmeno dopo le elezioni presidenziali tenutesi nel paese nord africano nel maggio scorso (qui il doc. dell’UE in .pdf). Anzi, lo scorso luglio i ministri degli Esteri dell’Ue hanno espresso “grande preoccupazione” per la sentenza di condanna a morte di oltre 180 islamisti, incluso il leader dei Fratelli musulmani Mohammed Badie, da parte del tribunale egiziano di Minya (si veda qui in .pdf). 
Insomma ancora una volta la Farnesina, di soppiatto, strizza l’occhio agli armieri nostrani. Mentre nell’agosto scorso l’attenzione generale era infatti tutta rivolta al braccio di ferro del premier Renzi con l’Ue per nominare il nostro ministro degli Esteri, Federica Mogherini, ad Alto commissario per la politica estera dell’UE, qualche solerte funzionario dell’Autorità nazionale per le Autorizzazioni di Materiali di Armamento (UAMA) concedeva l’autorizzazione all’esportazione in Egitto di oltre 9 milioni di euro di “armi e munizioni” (per l’esattezza € 9.395.053) a qualche ditta della provincia di Brescia. Di sicuro più di 7,8 milioni di euro di quelle armi (per l’esattezza € 7.851.852) sono “revolver e pistole” corredate molto probabilmente da “parti e accessori” per un valore di quasi un milione di euro (precisamente € 949.791): come detto si tratta esattamente di 30mila pistole più gli accessori ed è difficile pensare che siano state richieste per le urgenti necessità dei poligoni di tiro egiziani. Ma non solo: gli oltre 9 milioni di euro di armi esportate da Brescia in Egitto tra agosto e settembre comprendono anche “armi da guerra” per un valore di oltre 1,5 milioni di euro (esattamente € 1.543.201) di cui forse si saprà solo l’anno prossimo quando verrà resa nota la Relazione governativa. Molto probabilmente sono fucili d’assalto visto che la Beretta ne aveva già forniti all’esercito egiziano ai tempi dei presidenti Mubarak e Morsi per un valore di oltre 10 milioni di euro.
Già, perché cambiano dittatori, autocrati e presidenti egiziani, ma gli affari di armi continuano. Tranne quando l’UE ci mette il becco come, appunto, nell’agosto del 2013: di fronte a decine di morti e centinaia di feriti tra i manifestanti, colpiti anche da cecchini delle forze di sicurezza, bisognava in qualche modo alzare la voce e una “sospensione” all’invio di armi deve essere sembrata ai governi dei paesi dell’Ue una decisione inevitabile. Con tutte le cautele, ovviamente: le limitazioni valgono infatti solo per armi o attrezzature “che potrebbero essere usate a fini di repressione interna”. Ed infatti, già tra febbraio e marzo scorsi – cioè durante il mandato del presidente provvisorio Adli Mansur - dalla provincia di Roma erano partite per l’Egitto quasi 25 tonnellate tra materiali e munizionamenti militari che, evidentemente, i funzionari dell’UAMA non consideravano utilizzabili per la “repressione interna”.
Una limitazione quella dell’Ue che ha creato diversi malumori tra le imprese armiere della Val Trompia. A cominciare dalla Beretta che lo scorso 6 settembre (si noti la data), rimarcando il momento “molto difficile” per l’azienda, auspicava lo sblocco delle commesse in Egitto e Libia (sì, avete letto bene anche per la Libia tuttora in guerra). “Avevamo un ottimo rapporto con la Libia, così come con l’Egitto, ma poi importanti commesse sono state bloccate” – lamentava alla stampa il presidente Ugo Gussalli Beretta subito dopo aver applaudito il premier Renzi in visita ad uno stabilimento delle Rubinetterie Bresciane.

Chi ha battuto le strade del Cairo, chi ha visto all’opera gli apparati di sicurezza egiziani, chi ricorda i teppisti organizzati e mandati in piazza o nelle fabbriche a picchiare manifestanti o scioperanti, chi ha amici egiziani che sono scomparsi o finiti in galera, in Egitto così come in Tunisia o in Yemen, magari dopo aver subito processi farsa, non ha difficoltà a comprendere quel che è accaduto a Giulio.

Noi sappiamo chi sono i mandanti del suo assassinio. E sappiamo che hanno amici molto influenti qui da noi.

Ciao, Giulio!

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