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Atlante: sì ad azioni BPVi a 10 cent, ma no ad Opa. Serve flottante per poi venderle in Borsa o pesano ancora i dubbi sulla convenienza?

Di Giovanni Coviello (Direttore responsabile VicenzaPiù) Mercoledi 20 Aprile 2016 alle 22:34 | 0 commenti

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Confermata la nostra indiscrezione di oggi ("Banca Popolare di Vicenza, a Milano accordo tra Iorio e Fondo Atlante: azione a 10 cent per tutti") sembra spianarsi (il dubbio è d'obbligo dopo i mille up & down di questa storia) la sofferta strada verso l'aumento di capitale da 1,763 miliardi della Banca Popolare di Vicenza che per il 75% sarebbe sottoscritto dal Fondo Atlante della Quaestio SGR, a cui partecipa da "garante" governativo con 500 milioni anche la Cassa Depositi e Prestiti e che è subentrato a salvare Unicredit e... i proclami di Iorio. Ma c'è un "ma". Il Fondo, infatti, ha ribadito di essere disposto a farsi carico della parte, maggioritaria, non sottoscritta del capitale a 10 centesimi per azione, il minimo stabilito dall'ormai famoso "Cda della forchetta".

Ma per sostituire in questa funzione di garanzia Unicredit, che ha preferito mettere 1 miliardo nel fondo di sistema piuttosto che 1,5 miliardi sono nella Popolare vicentina, e per coprire l'inoptato fino a 1,5 miliardi (gli altri 263 milioni vanno comunque cercati dal mercato) Atlante vuole essere esonerato dalla Consob dall'obbligo tipico in questi casi: quello di lanciare un'Offerta Pubblica di Acquisto (Opa) per il capitale minoritario sottoscritto da altri investitori.

Vista la marginalità complessiva del 25% di capitale da dover eventualmente "ricomprare" tra le ipotesi possibili sul "niet" all'Opa ce ce ne vengono in mente due.

La prima è che un eventuale obbligo di Opa toglierebbe dal mercato il flottante e, di conseguenza, il titolo uscirebbe dalla Borsa dove, invece, Atlante, che per statuto dovrà "liquidarsi" in 5/8 anni e che, quindi, non ha come obiettivo la gestione a lungo termine dell'istituto vicentino, ha interesse che siano scambiabili i titoli per piazzarli, a tranche e a risanamento in corso, a investori terzi per "monetizzare" l'investimento e uscirne gradualmente senza doversi sobbarcare trattattive per blocchi consistenti fuori dal mercato.

Ma c'è una seconda ipotesi per il rifiuto dell'Opa da parte di Atlante.

Gli analisti, infatti, hanno già messo in conto un valore della Popoalre di Vicenza immediatamente successivo all'ingresso in Borsa più basso di circa un terzo rispetto al capitale fresco appena immesso poichè i conti di BPVi riserveranno altri dolori tra cui, in primis, la svalutazione ulteriore dei crediti deteriorati che verranno acquistati sempre dal fondo di Quaestio, si suppone, al 30% del loro valore nominale, a fronte del 40% circa con cui sono a bilancio, per cui ne deriveranno circa 500 milioni di rosso ulteriore.

Allora il non volere un'Opa potrebbe anche significare che su chi ha "finanziato" il Fondo Atlante pesano ancora tanti dubbi sulla remuneratività dell'investimento di fatto, imposto, non dimentichiamolo, dal Mef e dal Governo.

Senza dimenticare che altri, oggi non esattamente prevedibili, problemi potrebbero arrivare dal manifestarsi di altri crediti che potrebbero diventare difficilmente esigibili non solo per la crisi perdurante in generale e per quella aggiuntiva sul territorio causata dagli effetti domino dei miliardi persi localmente con le azioni vicentine, ma anche in relazione ai rientri dei tanti finanziamenti "baciati".

Se questi potranno e dovranno essere "ricontrattati" per la parte riservata illecitamente all'acquisto di azioni e già "spesata" in bilancio, di certo trovaranno una gestione che immaginiamo "complessa" le quote eccedenti in mano magari a creditori che, stante la situazione, non si faranno di certo grandi scrupoli nel fare muro alla restituzione dei prestiti ricevuti.

Se salvataggio ci sarà, se non altro per difendere il sistema bancario nel suo complesso, rimangono forti i dubbi di Atlante sulla sua redditività e nostri sulla sua opportunità nel medio lungo periodo: certi soldi potrebbero essere spesi meglio, dicevamo prima, e una parte andrebbero richiesti a chi ha rotto i vasi.

Ma a Vicenza pare proprio (vedi i nuovi, vecchi, vertici di Confindustria) che chi rompe non paga e, anzi, lascia i cocci per terra pronti a far ancora male a chi ci passi sopra.


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