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Banca d'Italia controlla tutto, ma anche no. Tra le simpatie per la BPVi di Gianni Zonin e le lotte a Veneto Banca di Vincenzo Consoli

Di Giovanni Coviello (Direttore responsabile VicenzaPiù) Martedi 4 Aprile 2017 alle 16:33 | 0 commenti

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Il crac di fatto di Banca Popolare di Vicenza e di Veneto Banca, a cui dovrà porre rimedio lo Stato con un mega aumento di capitale da 5 miliardi previa l'autorizzazione europea, ha aperto enormi ferite in Veneto, su cui vi avevamo messo in guardia su questo mezzo fin dal 13 agosto 2010 con gli articoli poi raccolti in "Vicenza. La città sbancata", ma di cui, forse, non ci si rente ancora conto per la portata che avranno sull'economia del territorio. Dopo aver iniziato ad evidenziare il 1° aprile (non era un pesce...) il ruolo di Banca d'Italia ("Noi abbiamo parlato da sempre di BPVi e Veneto Banca. Ora ci occupiamo anche di Banca d'Italia...")  il 2 aprile scorso abbiamo elencato i tantissimi, troppi casi di deficit di vigilanza e i premi ricevuti in particolare da Banca Popolare di Vicenza e Popolare di Bari, quest'ultima ancora oggi "in piedi" senza danni apparenti nonostante situazioni di bilancio e di patrimonio critiche, e le parallele bocciature comminate a Veneto Banca e Etruria.

Sta di fatto, concludevamo, che Banca d'Italia aveva strategicamente deciso che Popolare di Vicenza dovesse salvare - si fa per dire, a posteriori - Etruria e Veneto Banca. È noto che Etruria si oppose decisamente e, per questo?, venne commissariata e i consiglieri pesantemente sanzionati. Sorte simile se non peggiore è toccata a Veneto Banca.
Parrebbe dunque che per entrambi gli Istituti, Etruria e Montebelluna, si sia profilata l'ipotesi di "reato" di "insubordinazione a Banca d'Italia".

Veneto Banca era probabilmente la migliore o, più realisticamente, la meno peggiore delle banche non quotate. Cresciuta considerevolmente negli anni attraverso acquisizioni autorizzate via via proprio dall'organo di Vigilanza di bankitalia (Cassa risparmio di Fabriano, Banca Apulia, BIM), l'amministrazione della banca, però, non aveva un gran rapporto con Banca d'Italia e viceversa: consiglieri e amministratori erano considerati troppo indipendenti.
Nel 2013 Veneto Banca viene ispezionata due volte. La prima ispezione non evidenzia problemi e non genera alcuna apertura di procedimenti sanzionatori. Con la seconda ispezione, invece, nello stesso anno, in continuità con la prima e eseguita dallo stesso team ispettivo Bankitalia cambia radicalmente opinione e, con la memoria ispettiva accompagnata da lettera dispositiva del Governatore Ignazio Visco, rileva "carenza di capitale e governance inadeguata" intimando a Montebelluna di fondersi con una banca di adeguato standing.
Lo stesso Carmelo Barbagallo, responsabile della Vigilanza, chiarì al CDA di Veneto Banca che la banca aggregante era, ancora una volta, la Popolare di Vicenza di Gianni Zonin.
Si doveva ovviamente trattare di un'operazione di fusione tra due banche di dimensioni simili. Per... facilitare l'operazione il Governatore aveva stabilito che nessun rappresentante di Montebelluna e tanto meno il suo Ad Vincenzo Consoli dovesse entrare nel consiglio di amministrazione della banca emergente dalla fusione, bensì tutta la governance doveva essere appannaggio di Vicenza. Non proprio termini tipici di una fusione.
La proposta venne giudicata irricevibile da Veneto Banca e l'operazione non andò in porto.
Tutti i consiglieri di Veneto Banca si dimisero con l'assemblea dei soci del 26 aprile 2014 e venne nominato un nuovo CDA.
Ma nonostante Veneto Banca avesse superato gli stress test, a differenza della "imposta" salvatrice BPVi, oramai il suo destino era segnato: oltre alle dimissioni imposte dell'intero CDA, Veneto Banca fu oggetto di una spettacolare perquisizione da parte della Guardia di Finanza nel febbraio 2015 e oggetto di una generosa campagna stampa a corollario. Tutti elementi che contribuirono a generare ed enfatizzare panico e a far venir meno la fiducia nell'istituto che si è così lentamente afflosciato. Forse proprio l'effetto cercato.
La richiesta di BCE di portare il coefficiente patrimoniale dall'8% al 10,50% unitamente alla quotazione in borsa in tempi strettissimi uniti al decreto Renzi di trasformazione in spa diedero il definitivo colpo di grazia, questa volta a entrambe le Popoalri Venete.
L'impressione che si trae, e qui spesso lo abbiamo scritto, è che i vertici di Bankitalia volessero a tutti i costi salvare la Popolare di Vicenza, della quale conoscevano la reale situazione (dopo l'ispezione effettuata nel 2012) e a tale scopo abbiano deciso di sacrificare altre banche oltre al... buon nome dell'Istituzione.

Ovviamente la responsabilità del dissesto viene addossata tutta sui manager e sui consiglieri di Veneto Banca, rei - di fatto - di aver opposto un deciso rifiuto ai disegni di Palazzo Koch, e la diversa aria che si respira nella procure di Roma e di Vicenza per Consoli e Zonin rispettivamente sembra ripetere il copione.

Se questo fosse servito a risolvere i problemi del sistema bancario italiano, beh, il prezzo da pagare per i singoli e, soprattutto, per le decine di migliaia di risparmiatori traditi potrebbe per lo meno trovare una giustificazione sistemica.

Ma i  problemi delle banche italiane rimangono ancora per larga parte irrisolti. E allora...

Allora le conclusioni, comunque momentanee, le trarremo nell'ultima puntata di questa mini ricostruzione.


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