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Bitcoin, Il Fatto: di tutto, di più sulla criptomoneta e sulla criptorete

Di Giovanni Coviello (Direttore responsabile VicenzaPiù) Mercoledi 27 Dicembre 2017 alle 10:22 | 0 commenti

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"Bitcoin, c'è una miniera d'oro nel deserto industriale bulgaro. Dove c'erano le industrie oggi si "fabbricano" criptovalute: scaffali pieni di computer e "minatori" davanti agli schermi. Si producono qui, vicino sofia, perché l'energia costa un terzo":in questo servizio con quello successivo a cui viene affiancato un glosssario Virginia Della Sala, inviata a Sofia da Il Fatto Quotidiano, spiega, quasi, tutto sui Bitcoin, sulla criptomonete e sulla criptorete oltre che sul loro complesso meccanismo di "emissione" e "valorizzazione" nelle more di un mondo che è sempre più finanza e sempre meno economia, con i rischi connessi sempre più noti a tutti, ma corsi da un maggior numero di persone che pensano, sperano, di essere più furbi o più fortunati di altri. Leggete e ragionate dopo essere stati informati. Il direttore

C'è la neve a Kremikovtzi, in Bulgaria, a trenta minuti di auto dalla capitale Sofia: è la prima nevicata di dicembre e le temperature sfiorano lo zero. Ricopre le decine di vecchi autobus abbandonati in ogni angolo che fino agli anni Novanta trasportavano gli operai nelle fabbriche in cui si lavorava il ferro.

Almeno 20mila lavoratori che, durante il comunismo, venivano prelevati dalla periferia della città dove erano stati messi a vivere e condotti in quest'area industriale. Oggi è tutto abbandonato: si vedono le sagome delle ciminiere e delle fabbriche nella nebbia. Le insegne con le scritte in cirillico sono sbiadite, i taxi arrivano a fatica e grossi cani da guardia si aggirano in quest'area spettrale. Un tempo qui si produceva e si facevano soldi, poi quello che gli abitanti chiamano "il sistema capitalistico" ha reso antieconomico lavorare il ferro. "In Bulgaria non ce n'è - spiegano - e importarlo costava troppo". Le fabbriche hanno chiuso una dopo l'altra, non è rimasto nulla se non un silenzio inquietante. Eppure, tra questi scheletri industriali, si producono soldi, moneta. Meglio: criptomoneta. Inaspettatamente c'è una miniera d'oro nascosta, ci sono le "fabbriche di Bitcoin" europee, quei luoghi dove nasce la moneta virtuale di cui tutti parlano da mesi e di cui tutti si chiedono la provenienza. Chi c'è dietro? Come nasce? Esiste davvero una "fabbrica di bitcoin"? Sì, esiste. Anzi, esistono.
Così si fanno soldi nella fabbrica abbandonata
Incontriamo Gianluca Mazza e Alekos Filini in una stradina di Sofia. Sono ospiti di una loro socia bulgara. Per chiamare il taxi bisogna usare a un app sullo smarphone. "I tassisti non parlano molto inglese - spiega Gianluca - e il posto dove dobbiamo andare non è facile da spiegare". Man mano che ci si allontana dalla città, il paesaggio cambia. I palazzoni della periferia, i campi innevati, le baracche, le ferrovie arrugginite con i vagoni altrettanto arrugginiti. Quando appaiono le sagome dei primi capannoni industriali è chiaro che siamo in una zona abbandonata. Le scritte e le indicazioni sono sbiadite, non c'è un'anima, incrociamo una sola auto. Ci fermiamo nel piazzale di una struttura azzurrina. Azzurra la facciata, il pannello su cui c'era la vecchia denominazione, azzurra la guardiola dove c'è una guardiana a cui fanno compagnia due grossi cani che un po' abbaiano e un po' chiedono di essere accarezzati. All'ultimo piano, c'è la "0301", la farm - fabbrica - di questi due italiani che producono criptovalute in Bulgaria. Fa freddo fuori, freddo dentro la struttura. Saliamo al quarto piano: i muri sono scrostati, le stanze fatiscenti ma in fase di ristrutturazione. Al piano della fabbrica si accede attraverso un cancello verde: un passo e ci si ritrova in una galleria del rumore. C'è un ronzio fortissimo e costante che aumenta d'intensità a ogni passo. "Sono le ventole", spiegano. Un sofisticato sistema di aerazione mantiene bassa la temperatura. Ce n'è bisogno, nonostante il freddo glaciale di Sofia. Quando Alekos prova a spegnerle, l'ambiente si surriscalda in pochi minuti. "È colpa delle macchine - spiega - il loro lavorio produce calore". Aprire le finestre non basta, le ventole vengono riaccese dopo poco: le macchine devono stare al fresco altrimenti rischiano di bloccarsi e rompersi.
Gli scaffali che accumulano premi
Siamo nella fabbrica di criptomonete: file di scaffali su cui sono incastrate centinaia di schede video che lavorano notte e giorno per "minare", ovvero per produrre bitcoin e altcoin (criptomonete alternative al bitcoin). Si tratta di componenti utilizzate per i videogiochi: la complessità del lavoro richiede infatti alte prestazioni. Ogni "macchina" è composta da sei schede video e ognuna fa eseguire un programma informatico che lavora per ottenere ‘un premio'. "Le macchine - prova a spiegarci Gianluca - fanno girare un algoritmo. Il loro lavoro, e la corrente che consumano, viene ripagato in criptovalute che finiscono sul nostro portafogli virtuale". Sono loro poi a inserirle nel circuito, vendendole. Alekos e Gianluca al momento minano soprattutto criptomonete alternative, dagli Ethereum a Zcash, poi le convertono in bitcoin.
Come si aggira la Cina monopolista
Il monopolio delle macchine per produrre direttamente bitcoin è infatti cinese e appartiene all'azienda Bitmain. "Periodicamente - spiega Gianluca - mette in vendita un migliaio di macchine in stock online e c'è la corsa ad acquistarle visto che per mesi non ne vendono più". Così in Bulagaria c'è chi le compra a 5mila leva (la moneta bulgara che vale più o meno 50 centesimi di euro) e le rivende al doppio del prezzo. Per aggirare il problema e le truffe, i minatori di criptomonete ricorrono alle schede video. Costano circa 600 euro l'una e il prezzo aumenta al crescere della loro potenza. Nella farm 0301 c'è un investimento di 600mila euro (proveniente da 13 investitori italiani e non). "A gennaio - spiega Gianluca - le macchine raddoppieranno e il rientro del capitale è previsto entro un anno". In tre mesi si sono però già ripagati il costo di quasi metà delle macchine.
Il business delle farm e dell'energia low cost
Ivan Kamburov è invece bulgaro. È il titolare di un'azienda che si chiama Mint ed è il fornitore dell'infrastruttura. "Guarda - ci dice mostrandoci una foto sul suo smartphone - ci crederesti che si tratta di una fabbrica?". È l'immagine di una struttura abbandonata e fatiscente: semidistrutta, pezzi di legno ovunque e vetri frantumati, immondizia e residui industriali. "Questa sarà la prossima factory!" esclama entusiasta. È lui che ha fornito a Gianluca e ad Alekos il posto dove montare le macchine. "Sono un landlord", dice. Un proprietario terriero. In Bulgaria minare bitcoin è un affare: l'elettricità costa un terzo che in Italia o in quella che viene definita "western Europe", Europa dell'ovest. "La cosa più difficile da reperire in questo business - spiega in inglese - è l'elettricità. Perciò siamo in questa parte della città: solo due stanze consumano come una fabbrica medio-grande, una di queste macchine come una casa con un termosifone durante l'inverno. Cinque macchine consumano come una normale famiglia". In una sola delle sale si consumano 300 kw di energia elettrica l'ora: la zona industriale garantisce un approvvigionamento stabile. A Ivan viene pagato l'affitto della fabbrica. "Costruiamo l'infrastruttura, troviamo queste strutture e le ristrutturiamo. Costruiamo l'impianto di ventilazione e rinnoviamo la rete elettrica. Ci definiamo una data center company". Ivan e i suoi soci, però, hanno anche altre attività. Come la nascente ‘Amanda' (con la collaborazione tra il team italiano di 0301 e quello bulgaro di Mint). "È per chi vuole partecipare al mining delle criptovalute solo con investimenti. Noi compriamo le macchine, le mettiamo a lavorare e a fine anno ci sono i dividendi". Dice di aver sempre lavorato nell'information technology (It): ha assemblato le prime macchine per i bitcoin nel suo garage circa cinque anni fa. Poi si è lanciato nel business dell'infrastruttura. Ha capito che la nazione in cui vive ha un vantaggio competitivo che le permetterà di diventare leader europeo in questo campo. Si risparmia sia sull'elettricità che sulla manodopera, c'è il 10 per cento di tassazione e la vita costa la metà. "In questi ultimi mesi, poi, c'è stato un boom, molti si avvicinano ai bitcoin per speculare. È un periodo redditizio per noi e non importa se in due anni tutto questo sarà obsoleto: avremo ormai creato una rete di contatti e competenze in tutta Europa che sarà una base per lo sviluppo di nuove tecnologie e di nuovi impieghi, a partire dalla blockchain (la tecnologia su cui si basano i bitcoin, ndr).
Una terra inesplorata e ancora non conquistata dai monopolisti del web. "Forse passeranno i Bitcoin, ma rimarrà la tecnologia e noi vogliamo esserci". L'investimento di Mint è stato di 100mila euro, in 15 mesi sono cresciuti di quattro volte. Per il loro sito (attraverso il quale è possibile ‘affittare' macchine per minare) hanno oltre cento dispositivi: è un business diverso da quello di Gianluca e Alekos che, invece, hanno un approccio sul lungo periodo e mirano ad accumulare criptomonete da immettere nel mercato nel momento più favorevole. "Ci sono ovviamente centinaia di farm in Cina - spiega Ivan - ed è difficile per gli europei operare lì: non solo producono l'occorrente, ma hanno lì anche tutte le loro farm. Rischiano di controllare tutto. Noi siamo l'alternativa europea". Insieme all'Islanda, dove l'elettricità economica "ma il costo del lavoro è molto alto - conclude Ivan-. E poi... c'è il rischio che esploda un vulcano!". Ride e ci saluta. "Devo andare, mi tocca cercare altre fabbriche dismesse".

 

 

Voto online e ortodossia: come funziona la criptorete
Scontro tra chi vuole cambiare il sistema e chi no: il rischio è che i computer che gestiscono le transazioni finiscano nelle mani di poche persone

di  vds
Sono dovute passare la vigilia di Natale e il 25 perché il Bitcoin tornasse a correre: ieri, dopo le dichiarazioni dei giorni scorsi di Morgan Stanley ("Vale zero") e il crollo della settimana scorsa (-45%), la criptomoneta è risalita guadagnando il 16% e tornando a sfiorare quota 16mila dollari. Prosegue l'altalena dei prezzi dettati da domanda e offerta, da chi vende e chi compra sulle piattaforme di trading. È il lato speculativo del bitcoin per trarne guadagni facili. Un sistema dopato, lontano dallo spirito originario. Nella comunità Bitcoin, ci sono le prime spaccature, tra chi vuole cambiare il sistema e chi, invece, vuole che tutto resti com'è.
Come funziona. Nell'universo bitcoin, ogni modifica al sistema deve infatti essere messa ai voti. Esiste una mailing list che raccoglie tutta la comunità: i membri sono coloro che, facendo lavorare alcuni software sui loro dispositivi (dagli smartphone ai pc), si rendono "nodi" della rete attraverso cui passano le transazioni. In pratica, il pagamento che va da A a B viene confermato dai nodi che registrano la transazione (sulla blockchain) rendendo impossibile cancellarla. In questo contesto blindato, qualsiasi proposta di modifica al protocollo deve essere sottoposta al parere della comunità, che include i massimi esperti e i precursori delle criptovalute. Se la proposta è interessante, viene trasformata in una Bitcoin improvement proposal, un documento che poi messo ai voti.
La sicurezza. Si tratta di un sistema che garantisce la decentralizzazione della moneta visto che ogni singolo nodo conserva lo storico di tutte le transazioni. I blocchi su cui sono registrate (da qui il nome della tecnologia blockchain) oggi hanno una dimensione di un mega. Significa che qualsiasi telefonino è in grado di trasferirli. Ogni nodo (ne esistono circa 10mila) è infatti un'entita che vota "Sì" o "No" sulle transazioni. Il sistema, però, negli ultimi mesi si è rallentato perché le transazioni sono aumentate in modo esponenziale: la conferma richiede più tempo e costano molto di più in commissioni (il sistema dà la precedenza a chi paga di più). I blocchi, in pratica, iniziano ad essere intasati.
La scissione. In questo contesto si è inserita una nuova criptomoneta, Bitcoin Cash. I blocchi di questa variazione sul tema sono più grandi (un giga), rendendo le transazioni più veloci ed economiche. Questo significa che non tutti i dispositivi sono però in grado di sopportarne il peso: così i nodi rischiano di essere molti meno e in poche mani, a discapito del sistema decentralizzato. Secondo uno studio, il 54% di nodi di Bitcoin Cash, ad esempio, è tenuto in piedi sui server di Alibaba, il gigante dell'eCommerce cinese. Questo significa che in un sistema di voto, buona parte del consenso sulle modifiche potrebbe finire nelle mani di entità con interessi in comune. I puristi del bitcoin non vedono di buon occhio i cambiamenti. La filosofia di base è che se un sistema funziona, non vada modificato altrimenti si rischia di poter essere un giorno soggetti a qualunque pressione esterna. Ed è il motivo per cui non tutte le criptovalute garantiscono la stessa sicurezza del bitcoin: molte infatti sono state create a tavolino da aziende che ne hanno tratto grandi profitti.
Una bolla?Intanto, i bitcoin continuano il loro corso altalenante. "Una bolla - spiega Giacomo Zucco, ad del laboratorio di ricerca che si chiama Bhb network - Blockchainlab e che raccoglie i maggiori esperti mondiali di tecnologie bitcoin - si forma nel momento in cui il mercato cerca di trovare il valore di qualcosa, esagera e poi cerca di correggerlo velocemente. Bitcoin va avanti con bolle e scoppi da molto tempo. La differenza è tra una bolla che scoppia e non lascia nulla, come quella dei tulipani, e quella che scoppia e lascia un panorama completamente mutato: come la bolla delle dot - com che ha lasciato Amazon, Wikipedia, Wikileaks. In pratica, internet come lo conosciamo oggi".

 

 

Dal "mining" alla "Blockchain": glossario semplice per principianti

BITCOIN. Viene creato nel 2009 da un anonimo che si nasconde dietro lo pseudonimo di Satoshi Nakamoto. Si sostiene su una rete di i computer che fungono da nodi e fanno funzionare software specifici.

MINING. È il processo che fa eseguire al computer calcoli matematici (algoritmi) per trovare i blocchi della blockchain su cui poi si registrano le transazioni. Come ricompensa, i miner (minatori) incassano criptovalute. Il sistema prevede che quando si arriverà all'emissione di 21 milioni di bitcoin, si smetteranno di produrre.

BLOCKCHAIN. È il registro pubblico delle transazioni in ordine cronologico. È ‘memorizzato' da tutti i nodi della rete. Ogni pagamento è registrato su blocchi che formano la Blockchain. Ogni blocco è collegato ai precedenti.

CRITTOGRAFIA . Mantiene la segretezza dei dati, rende impossibile a chiunque di spendere del denaro dal portafogli di un altro utente o alterare la Blockchain.

WALLET. Un portafoglio digitale: sul proprio pc o presso chi svolge funzioni simili a una banca. I bitcoin possono essere trasferiti a chiunque disponga di un indirizzo bitcoin.

PEER-TO- PEER . Un'archi tettura logica di rete informatica in cui i nodi non sono gerarchizzati sotto forma di client o server fissi (clienti e serventi), ma sotto forma di nodi paritari che possono cioè fungere sia da cliente che da servente.

BENE RIFUGIO. È una delle definizioni date ai bitcoin: molti li conservano in attesa che il loro valore aumenti. C'è chi li paragonano all'oro: non sono emessi da governi o banche, non sono controllati e sono limitati.

EXCHANGE. Esisteno molte piattaforme su cui vendere e comprare Bitcoin: la più grande è Coinbase. In Europa, per accedervi, bisogna essere verificati con i documenti d'identità.

FUTURE. Sono strumenti finanziari con i quali si ‘punta' sul valkore del bitcoin a una determinata scadenza. Sono stati lanciati a inizio dicembre dalla borsa di Chicago

Leggi tutti gli articoli su: il Fatto Quotidiano, Bitcoin, Virginia Della Sala

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