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BPVi e Veneto Banca, Il Fatto: il mistero Padoan sui 4 fondi Usa pronti a intervenire ci costa quasi 13 miliardi. Sale il regalo a Intesa

Di Rassegna Stampa Domenica 25 Giugno 2017 alle 11:54 | 0 commenti

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Il giallo - il tesoro spedì all'UE l'offerta di 4 gruppi esteri, ma non rispose. Oggi il Cdm per il decreto che darà Vicenza e Veneto Banca a Intesa, ma la dote ora supera i 12 miliardi

l salvataggio delle banche venete - regalando ciò che di buono resta a Intesa Sanpaolo più una corposa dote, e scaricando il resto allo Stato in concorso con azionisti e obbligazionisti subordinati - somiglia sempre più a uno scandalo finanziario. Oggi il governo approverà il decreto che serve a far partire l'operazione, che costerà a Intesa 1 euro e alle casse dello Stato, stando a quanto risulta al Fatto, oltre 12 miliardi. I contorni, però, non tornano e dietro le quinte si è svolto un giallo che spiega meglio di qualunque altra cosa i metodi di lavoro delle autorità italiane.

Venerdì, quando il governo ha annunciato l'arrivo del decreto che manderà in liquidazione le banche - dichiarate insolventi dalla Bce - la Banca Popolare di Vicenza ha licenziato un gelido comunicato ricopiato ieri da Veneto Banca: "Il CdA, riaffermando la validità del progetto messo a punto dal management, si è rammaricato che il tempo trascorso dalla sua messa a punto, e la deteriorata situazione della Banca, abbiano reso impossibile reperire i fondi privati che, a giudizio della Commissione europea erano necessari a coprire le perdite subìte o probabili". Il presidente della Popolare di Vicenza, Gianni Mion si è sfogato: "Tutti adesso pensano basti 1 euro. Io sono stato bocciato. È stato bocciato tutto, le persone, il piano e pure io".
I vertici delle banche hanno così deciso di mettere online il piano di salvataggio ("Tiepolo 2.0"). Quello presentato dall'ad di Vicenza Fabrizio Viola il 17 marzo, con la richiesta del soccorso pubblico, prevedeva di salvare le due banche con una ricapitalizzazione di 6,4 miliardi, di cui 4,7 messi dallo Stato. Nei colloqui con il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan, la Dg Competition della Commissione europea ha richiesto che almeno 1,2 miliardi venissero messi da privati. Richiesta arrivata a voce, mai nulla di scritto.
Padoan non è riuscito a convincere Intesa, Unicredit e il settore bancario a tassarsi per arrivare a quella cifra ed è scattato il piano B, con l'offerta "guai ai vinti" della banca guidata da Carlo Messina. Eppure almeno una strada alternativa c'era. Venerdì Reuters ha rivelato che un gruppo di quattro fondi d'investimento internazionali aveva offerto un'iniezione di capitali freschi per 1,6 miliardi ai primi di maggio. La proposta prevedeva la sottoscrizione di circa 1,3 miliardi in bond subordinati di nuova emissione e altri 300 milioni in azioni. In questo modo, con i 3,1 miliardi rimanenti messi dallo Stato, avrebbero avuto il 15% della banca ma con la specifica condizione di avere il controllo della governance.
I fondi sono Sound Point Capital, Cerberus, Attestor e Varde (vedi anche qui, ndr), che avevano scelto come advisor finanziario Deutsche Bank: in totale gestiscono attivi per oltre 35 miliardi di dollari. Il primo, il più grosso, Sound Point Capital è attivo negli investimenti in società in ristrutturazione. Dopo le trattative iniziali, però, i fondi non hanno mai ricevuto risposta.
I contatti con il Tesoro italiano sono partiti il 5 maggio, a cui sono seguiti subito diversi incontri con gli uomini di via XX Settembre - guidati da Alessandro Rivera, capo della direzione Sistema bancario e finanziario - e di Banca d'Italia, coordinati dal capo della Vigilanza Carmelo Barbagallo. Incontri e conference call si sono ripetuti per settimane. Sono stati loro a mettere in contatto i fondi con i vertici delle due banche, in particolare con Viola, che ha illustrato il piano. Il 30 maggio i fondi, per tramite di Deutsche Bank hanno inviato l'offerta formale ("Term sheet") al Tesoro.
Dopo una fase di silenzio, ai primi di giugno le autorità italiane hanno fatto sapere di aver inviato l'offerta a Bruxelles e di stare discutendo con la Commissione. Una fonte vicina al dossier spiega cosa è successo: "L'offerta prevedeva di investire la quota maggiore in bond subordinati perché era rischioso metterli tutti in azioni, che rischiavano di essere incenerite da nuove perdite. Tesoro e Bankitalia volevano più capitale. Cosa che i fondi erano pronti a discutere, e lo hanno detto, anche aprendo ad altri investitori, ma misteriosamente le autorità italiane non si sono più fatte sentire". Nessuno ha più risposto. "Difficile che lo stop sia arrivato da Bruxelles, perché l'advisor Deutsche Bank ha strutturato l'offerta seguendo casi già andati in porto con l'ok della Dg competition, con cui ha un dialogo quasi quotidiano. Tesoro e Bankitalia non hanno poi mai messo per iscritto nulla negli incontri e nelle interlocuzioni: tutto era fatto a voce".
I Fondi devono aver appreso dalla stampa, con l'uscita delle indiscrezioni su Intesa, che l'offerta era stata scartata. Il paradosso è che il comunicato con cui mercoledì Intesa spiegava di volersi predendere solo la polpa delle due banche, lasciando lo Stato a coprire le perdite è stato il primo documento scritto offerto al mercato su tutta questa vicenda.
Col senno di poi il silenzio andrebbe spiegato. Il conto del salvataggio studiato da Intesa vale almeno 4 volte l'importo che avrebbe scucito lo Stato. Il Tesoro fa sapere che oggi ci sarà il Consiglio dei ministri per l'ok al decreto che manderà in liquidazione le due banche venete - insieme ai crediti deteriorati, le azioni, i bond subordinati - e consegnerà gli asset di valore a Messina. Venerdì il conto ammontava a quasi 7 miliardi come dote a Intesa, che non vuole ripercussioni sul suo patrimonio, più 5 alla bad bank. Dopo uno scontro durissimo, che ha sfiorato la rottura personale tra Padoan e Messina, in serata si è ripreso a trattare. Il conto, però, a ieri era salito parecchio: dal Tesoro filtra che superi i 12 miliardi, ma, la novità, in gran parte come dote (anche fiscale) a Intesa. La banca milanese, da parte sua, ha accettato di muoversi subito, senza aspettare la conversione del decreto. Resta da superare l'ostacolo Ue: ieri il commissaria Margrethe Vestager ha mandato una letteraccia alle autorità italiane. E i tempi sono slittati ancora.
di Carlo Di Foggia, da Il Fatto Quotidiano


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