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C'era una volta la Grande Bellezza della Banca Popolare di Vicenza

Di Edoardo Andrein Martedi 29 Marzo 2016 alle 08:19 | 0 commenti

Quarantacinque secondi di spot, assiduamente mandato in onda sulle televisioni nazionali. Le immagini di Vicenza con Giardini Salvi e teatro Olimpico; e quelle di Roma, nei giorni in cui la banca aveva aperto una prestigiosa filiale nel cuore della capitale. E poi quelle frasi su una coinvolgente musica di sottofondo: “Tornano i tempi dove la fiducia prende il posto della tristezza, dove il classico prende il posto del trendy, tornano i tempi dove una banca non ti guarda troppo dall'alto, né troppo dal basso, tornano i tempi delle buone maniere e delle condivisioni, dove il denaro è importante, ma rimane uno strumento”.

Quindi l'apoteosi finale, con l'inquadratura della filiale romana con sullo sfondo l'Altare della Patria:

“Dove una banca fa solo la banca. Alla Banca Popolare di Vicenza tornano i tempi che piacciono a noi”

Erano i tempi del film premio Oscar de La Grande Bellezza, finanziato come produttore associato anche dalla banca dell'ex presidente Gianni Zonin con tanto di comparsa dell'insegna di una filiale in una scena del film.

Una banca che dopo la tempesta sull'effettivo valore delle azioni, negli ultimi giorni sta subendo anche un duro giudizio a livello nazionale sulla mancata approvazione dell'azione di responsabilità da parte dei soci, comunque per oltre l'80% favorevoli o astenuti con poco più del 18% a dettar legge, all'italo--vicentina.

Esito sfavorevole che appariva tristemente scontato tra gli addetti ai lavori e i soci presenti in Fiera di Vicenza, durante l'attesa dei risultati della votazione, dopo aver ascoltato le parole del presidente Stefano Dolcetta poco prima delle operazioni di voto e vista la numerosa presenza di dipendenti della banca, non pochi dei quali corresponsabili della vendita di azioni flop e che ora dovrebbero abbassare gli occhi in filiale davanti ai soci beffati e molti degli altri "complici" ora del voto da "tana, libera tutti" sperando, umanamente, di mantenere un posto di lavoro che non verrà tutelato, però, dall'impunità di chi ha generato il dramma per 117.000 soci, ovviamente fatti salvi alcuni tra i soliti noti.

Che, magari, erano presenti al voto con le azioni non vendute e che hanno "sponsorizzato"' la possibilità di trattare la questione nella prossima assemblea, in attesa di acque meno agitate, come chiesto Dolcetta.

Meno agitate per chi, presidente?

Per i responsabili dello sfascio, non certo per le sue vittime.

E così la Grande Bellezza della Popolare di Vicenza è sempre più un lontano ricordo, che nessun voto, futuro e fuori tempo praticamente, ed "eticamente" avrebbe aggiunto in passato, l'allora non indagato Giuseppe Zigliotto, riuscirà a far tornare.


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