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CorVeneto: Vincenzo Consoli al contrattacco, nel mirino Banca d'Italia. VicenzaPiù: e se l'ex ad di Veneto Banca fosse agli arresti per non farlo parlare su Bankitalia... amica di Zonin?

Di Giovanni Coviello (Direttore responsabile VicenzaPiù) Sabato 31 Dicembre 2016 alle 16:26 | 0 commenti

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Andrea Priante su Il Corriere del Veneto riferisce di quello che potrebbe essere (il condizionale è d'obbligo ma il collega ci convince su quanto scrive) il contraccacco di Vincenzo Consoli, ex ad e dg di Veneto Banca agli arresti domiciliari e con 45 milioni di euro di beni sequestrati su richiesta della Procura di Roma mentre chi è a lui simile, per lo meno come... "visibilità", cioè Gianni Zonin, il dominus di Banca Popolare di Vicenza, è "a piede libero" e a beni, ora donati alla prole, intatti. Letto del contrattacco di Consoli a Banca d'Italia, come racconta Priante, noi ci permettiamo di aggiungere una provocazione. Generalmente, tangentopoli e le tecniche successive di parte della magistratura lo confermano, uno degli obiettivi delle carcerazioni preventive è "agevolare" le confessioni degli indagati.

È un fatto acclarato che in passato la gestione di Consoli è stata sempre combattuta da Banca d'Italia che, invece, a Vicenza passeggiava a braccetto di Zonin. Allora non è che l'ex "capo" dell'ex Popolare di Montebelluna, che molti fatti conosce, sia (man)tenuto agli arresti, lui che ha avuto meno tempo del dominus vicentino di "inquinare le prove" almeno stando alle date ufficiali delle decadenze da incarichi sua e del gambellaresi, non per incoraggiarlo a liberarsi del fardello delle mancanze che gli opprimerebbero la coscienza ma per fargli "intendere" cosa sia il caso di dire a sua discolpa e cosa sia... opportuno non dire ad accusa del sistema di potere complessivo di, e intorno a, Banca d'Italia e Consob su cui oggi ancora nessuna fa chiarezza, minstro Gian Carlo Padoan in primis. 

Quel sistema che oggi ha "risolto", senza nulla risolvere, quattro banche, ha portato MPS dove è e ha di fatto azzerato le due ex Popolari venete, quella amica e l'altra nemica, entrambe di sicuro mal gestite dai propri vertici, ma ambedue peggio controllate da chi doveva farlo a tutela di 200.000 soci risparmiatori e non da sponsor di soluzioni estemporanee e ad oggi fallimentari.

 

Consoli al contrattacco, nel mirino Bankitalia

In vista del processo la difesa dell’ex Ad vuole chiamare a testimoniare Barbagallo e i manager delle Popolari

di Andrea Priante, da Il Corriere del Veneto

Chiusa l’inchiesta su Veneto Banca, l’ex amministratore delegato Vincenzo Consoli affila le armi in vista del processo che il prossimo anno lo vedrà quasi certamente sul banco degli imputati. Chi lo conosce bene, assicura che non ha alcuna intenzione di arrendersi al ruolo di agnello sacrificale di una débâcle finanziaria che ha travolto quasi novantamila risparmiatori. Anzi, si prepara al contrattacco e nel mirino ha messo l’intero sistema delle banche non quotate, così com’è stato gestito da Bankitalia, specialmente negli ultimi anni.

Un passo indietro: mercoledì la procura di Roma ha comunicato di aver concluso le indagini preliminari sulle cause che portarono sull’orlo del baratro l’istituto di Montebelluna. Quindici i destinatari di altrettanti avvisi di garanzia, e l’elenco comprende, oltre all’ex Ad (da agosto agli arresti domiciliari nella sua villa di Vicenza), anche l’allora presidente Flavio Trinca e diversi tra dirigenti e responsabili commerciali della banca, oltre ad alcuni grossi imprenditori. Nelle otto pagine con le quali il pubblico ministero Sabina Calabretta ha comunicato di aver chiuso l’inchiesta, si riassumono le contestazioni. I reati rimangono gli stessi della scorsa estate e questo significa che le oltre sette ore di interrogatorio alle quali si è sottoposto Consoli a ottobre non gli sono bastate per sfuggire alla ragnatela tesa dagli investigatori. L’accusa non ha dubbi: il manager era il «dominus» di un’articolata serie di operazioni (le cosiddette «baciate») e di finanziamenti che avevano come obiettivo quello di gonfiare il valore delle azioni e nascondere il reale stato in cui versavano le casse dell’istituto, il tutto ostacolando le attività di vigilanza svolte da Bankitalia e Consob.

Non sono state trovate prove del fatto che l’ex amministratore delegato abbia tratto un profitto diretto da queste manovre ma, secondo la procura, Consoli puntava non tanto ad arricchirsi quanto a mantenere intatto il suo «potere». L’indagato non ci sta e da quando è scoppiato lo scandalo ripete di essersi limitato a mettere in atto lo stesso sistema di finanziamento ai soci che Veneto Banca – come le altre Popolari – proponevano da sempre «e che altrove non è mai stato contestato».

Salvo (improbabili) sorprese, il 2017 sarà l’anno del maxi-processo ai presunti responsabili del crollo dell’istituto trevigiano, e il manager ha già fatto sapere di non aver alcuna intenzione di chiedere riti alternativi. Si finirà in tribunale, quindi, e con il suo staff di difensori sta già studiando la linea e la lista delle persone che sfileranno davanti ai giudici.

In aula non mancheranno i colpi di scena, anche perché Vincenzo Consoli pare deciso a chiamare sul banco dei testimoni proprio coloro che avevano il compito di vigilare sulla banca, a cominciare dal capo del dipartimento di vigilanza della Banca d’Italia, Carmelo Barbagallo. L’obiettivo è evidente: se le baciate erano illegali, perché gli ispettori non hanno avanzato contestazioni prima del 2015? E ancora: perché Bankitalia ha autorizzato prezzi e modalità dell’ultimo aumento di capitale? Ma soprattutto: perché altri istituti hanno potuto agire con modalità simili senza incorrere in alcuna sanzione? Per dimostrare che non c’era alcuna «cospirazione» all’interno di VB, la difesa è intenzionata a far testimoniare anche i vertici delle altre Popolari italiane, in tutto una ventina di manager. Il motivo? Dimostrare che «tutti facevano così,  e anche molto di più. E Bankitalia lo sapeva bene».

Andrea Priante


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