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I bilanci ragionati della Fondazione Roi. Cassa da Euro 0: inquinanti per la cultura, inquinati da una gestione da cultore del vino

Di Giovanni Coviello (Direttore responsabile VicenzaPiù) Giovedi 17 Marzo 2016 alle 22:36 | 0 commenti

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Il bilancio della Fondazione Roi è stato pubblicato dal quotidiano locale sabato 13 marzo dove è stato, ovviamente, difeso a spada tratta dall'avvocato della Fondazione, Enrico Ambrosetti, lo stesso di Gianni Zonin, presidente della Fondazione mentre era anche numero uno della Banca Popolare di Vicenza (nella foto il grafico del GdV, ndr). Ciò che però il legale, nonchè la stampa amica, non hanno meso in risalto è che i bilanci non si difendono, nè si attaccano nè tanto meno si interpretano. Ma parlano da sè. E senza tanti giri di parole i numeri resi noti dal quotidiano locale parlano di una Fondazione Roi distrutta, nonostante il "buonismo" nel "leggerli" per i lettori dimostrato dal suo avvocato e dal redattore dell'articolo, utile comunque come... fonte.

Magari non sapendo abbastanza di economia aziendale reale e non solo "libresca" e magari incantato anche dal poter recuperare l'assenza di informazioni date fino ad allora dal suo potente quotidiano, che non si era di certo affaticato nel cercare dati compromettenti per i soliti noti di Vicenza,  l'estensore dell'articolo ha errato, però, di suo e senza scuse, se non quella del carisma su di lui esercitato dal prof. Ambrosetti, su un dato evidente anche a un qualunque bancarellaro: con la cassa vuota di contanti o di depositi esigibili, come quella della Fondazione che ha una liquidità pari a zero, dove si va e, soprattutto, come ci si è arrivati?

“Altro che 'azzerato' il patrimonio è solido”, sostiene, invece, Ambrosetti, come se una Fondazione coma la Roi, con un lascito dal marchese Giuseppe Roi di 86 milioni di euro da gestire per sua volontà in cultura e non in "speculazioni", possa ritrovarsi nel giro di sei anni senza un soldo in "tasca" e per giunta orgogliosa di questo risultato.

Partiamo dalle origini e, grazie ai dati che abbiamo poturo leggere in quel, molto utile, articolo, chiediamoci di come si sia ritrovata la Fondazione nella situazione attuale. Il lascito del marchese consisteva in 26,6 milioni di patrimonio immobiliare e 60 milioni di euro in azioni e cassa: 40 milioni di euro erano, infatti, titoli di varia natura, due milioni azioni della BpVi e, infine, 18 milioni di euro erano liquidità.

Nel 2009 l'amministrazione della Fondazione, dopo al morte del marchese, passa nelle mani di Gianni Zonin che, con l'assenso dei membri del Cda di turno, per legge, se non per etica, corresponsabili, decide di investire l'intera liquidità della Roi in azioni della Popolare di Vicenza. Dobbiamo ricordare noi all'avvocato Ambrosetti, che minaccia querele contro chi fa dichiarazioni diffamanti sulla bontà della gestione, che per qualsiasi amministratore l'Art. 1710 del codice civile, 1° comma, prevede che lo stesso si debba comportare come un "'buon padre di famiglia".

Chi avrebbe mai investito tutto ciò che ha in "cassa" in azioni che per definizione e natura sono rischiose? Zonin l'ha fatto a rischio e pericolo della Fondazione, e non ci sono scuse e motivazioni che tengano; come, mettiamo caso, credere nella propria Banca ed investirci, giocando con il fuoco. Nel 2009, poi, l'anno della più profonda crisi che, per ora, il mondo ricordi...

Le azioni della BPVi nel 2009, quando si è insediato il nuovo Cda della Fondazione, valevano, per decisione della Banca stessa, 60,5 euro salito poi, sempre per decisione autonoma possibile per le popolari non quotate, fino a 62,5 euro. Nel 2012 altri 2 milioni di euro vengono investiti nella banca, portando la Fondazione allo 0,5% del capitale della Popolare, ma non finisce qui. nel 2013 e nel 2014, infatti, ecco altri denari uscire dalle casse sempre più vuote della Fondazione per comprare azioni della Popolare, rispettivamente 1,5 milioni e 3,1 milioni. In queste cifre balla quella del prestito obbligazionario sottoscritto per 1,5 milioni, non si capisce bene se compresa nei 3,1 milioni del 2014, o aggiuntiva, prestito poi convertito d'imperio nel 2015 in azioni da Zonin, presidente,ì della Banca Popolare di Vicenza, e dal suo esimio Cda per passare sul filo di lana i test BCE.

Una domanda, di dettaglio, che vale, per carità, solo... 1,5 milioni di euro all'interno delle decine spesi per BPVi dalla Fondazione Roi, la facciamo intanto noi visto che l'estensore dell'articolo non l'ha fatta all'avvocato Ambrosetti. Come ha potuto Zonin far sottoscrivere a una Fondazione da lui presieduta dei titoli convertendi, da trasformare, cioè, in azioni obbligatoriamente a semplice richiesta della banca? Lui non era mica un classico vecchietto, età... a parte, cliente della BPVi e inconsapevole dei "gradi di rischio" di cui il funzionario di banca lo faceva firmare come notoriamnete esperto" per rifilargli azioni e obbligazioni dell'Istituto di via Btg. Framarin? Lui era il presidente, di qui e di là...!

Per giunta tutti quegli acqusiti avvengono a ridosso del terribile crollo del 2015 che ha come protagonista la Banca Popolare ma che era preannunciato oltre che dalle già ben note regole della BCE anche da rating della BPVi sempre più negativi e pubblicati fin dal 2010 su questo mezzo che evidenziava, da solo a Vicenza, le valutazioni delle agenzie internazionali pagate dalla stessa banca e che sono arrivate ad associare quei titoli al grado immediatamente precedente a quello definito come "spazzatura".

Ad oggi, il patrimonio totale della Fondazione Roi, che secondo Ambrosetti la rende una Fondazione “solida”, è, quindi e come risultato di certe scelte, un capitale che di solido ha solo le mura degli immobili del Marchese e di quelli del recente acquisto dell'ex Cinema Corso, da noi rivelato con tanto di dati e di documenti, e che di recente ha solo il giorno dell'acquisto. Dal 1996, infatti, anno di cessazione del suo utilizzo, l'ex cinema è in stato di abbandono e per essere reso utilizzabile ha bisogno di lavori profondi (e costosi) di restauro per i quali, come risulta dal verbale di assemblea del 2015, in occasione del quale il Cda di Zonin si è anche allungato la vita da tre a cinque anni non prevedendo il caso poi scoppiato sulla malagestio della Fondazione, si è deciso di dare l'incarico di progettazione a un gruppo di tecnici. Per farci poi, lo dice Ambrosetti (che non dice con quale cassa pagare però) anche appartamenti di lusso in un periodo, per giunta, in cui i beni immobili sono crollati di valore.

Per quanto riguarda la gestione corrente, dopo la morte del marchese Roi i bilanci della Fondazione sono stati fino all'ultimo dato disponibile (2014) in attivo: 446 mila euro nel 2010, oltre 1,2 milioni nel 2011, nel 2012 un totale di 1,25, l'anno dopo ben 1,35 e nel 2014  un milione, per un totale di circa 5,2 milioni di euro. Bene direte, ma di quei soldi in cassa non c'è traccia, perchè quegli utili sembrerebbero essere bastati solo a coprire le spese della gestione ordinaria, tra cui un totale di 4,5 milioni per erogazioni alla cultura di, solo, 2 milioni circa e per manutenzioni del patrimonio immobiliare.

Se queste voci si equilibrano sostanzialmente appare, quindi, maldestro anche il tentativo finale di attenuare con le suddette voci di "spesa" l'azzeramento della cassa dai 18.000.000 di euro iniziali agli attuali euro 0.

Che sono inquinanti per i danni duraturi prevedibili ai fondi per la cultura, quelli che il marchese Roi voleva alimentare col suo lascito di 86,6 mlioni di euro, oggi di soli 71 milioni, con ulteriori e consistenti svalutazioni prevedibili per le azioni BPVi e per gli immobili se valutati a valore reale e non di libro, e per giunta non liquido.

Ma quegli euro 0 , suvvia professor Ambrosetti e redattore della stampa amica, paiono (vogliamo evitarle querele, che siamo abituati a reggere e spesso a vincere) fortemente inquinati da una gestione degna di un cultore del vino.

(scritto in collaborazione con Edoardo Andrein e Sara Todisco)


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