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I miliardi finti di Renzi non risolveranno l'inghippo bancario senza una vera ripresa economica

Di Rassegna Stampa Domenica 4 Settembre 2016 alle 10:52 | 0 commenti

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Bentornati alla realtà. I miliardi finti di Renzi non risolveranno l'inghippo bancario. È qui che si gioca la partita: all'inizio del 2017 tutti i nodi verranno al pettine
di Marco Palombi, da Il Fatto Quotidiano
Bentornati nella realtà. Dopo Ferragosto - archiviati i miliardi virtuali di sgravi fiscali che Matteo Renzi evoca e Pier Carlo Padoan dovrà far saltare fuori in autunno (imamginina da Dagospia, ndr) - i titoli bancari italiani tornano a ballare in Borsa. Gli analisti sono concordi: sono vendite di investitori esteri e se non ci fosse il Quantitative easing della Bce gli effetti si vedrebbero anche sui titoli di Stato come nell'estate dello spread. Come mai questi signori non si fidano dell'Italia e delle sue banche? Non sanno che Atlante 2 - dopo che il numero 1 s'è accollato le pericolanti Popolari venete (Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca, ndr) - sta per salvare Monte dei Paschi di Siena dando l'abbrivio a una grande operazione di mercato sulle sofferenze bancarie (i crediti inesigibili)? In realtà, i grandi fondi di investimento sanno tutte queste cose, solo che non ci credono affatto. Le sanno anche le grandi banche italiane, solo che non possono dire di no a un piano sponsorizzato dal governo.

Sui buchi del presunto salvataggio di Monte dei Paschi abbiamo già scritto a lungo: le uniche che ci guadagneranno sono le banche - guidate da Jp Morgan - che concedono i sei miliardi di prestito ponte per comprare Non performing loan le cui perdite sono garantite dallo Stato. Per i soci di Atlante - cioè il sistema bancario italiano, lo Stato attraverso Cassa depositi e prestiti, assicurazioni e altro - sarà probabilmente un bagno: devono comprare sofferenze di qualità non eccelsa, eufemizzando, senza alcuna garanzia a un prezzo alto (sennò si apre una voragine a Siena). Una perdita del 30-50% è data quasi per scontata da molti analisti londinesi. Le sofferenze più scadenti, dette junior, vengono ripiazzate ai soci Mps: in sostanza, al momento, non hanno valore.
Questo pastrocchio, peraltro, è solo il primo passo di un balletto assai più complicato. Nel 2017, infatti, a Mps serve un aumento di capitale da 5 miliardi: quei soldi Siena li chiederà al mercato e al momento non è chiaro se qualcuno si assumerà l'onere di garantire il cosiddetto "inoptato" (la quota di azioni che nessuno vuole). Ci sono quei soldi sul mercato per operazioni che non siano di puro marchio speculativo? A giudicare dai movimenti di Borsa del 2016 e dall'esito degli aumenti di questi anni non pare proprio.
E dire che non è solo Mps ad aver bisogno di soldi. Per citare solo i più rilevanti, c'è Banco Popolare che deve trovare un miliardo per le nozze con Popolare Milano (il via libera della Bce dovrebbe arrivare entro metà settembre); e c'è Unicredit, la seconda banca italiana e la più internazionale, che secondo gli analisti avrebbe bisogno di capitale per una cifra compresa tra i 5 i 9 miliardi. Dove sono i buoni samaritani pronti a dare oro alla patria bancaria?
E fosse solo questo. L'intero sistema bancario, ad esempio, ha sul groppone attraverso il "Fondo di risoluzione" - alimentato dai contributi del Fondo interbancario di tutela sui depositi - le quattro "good banks" nate dalle ceneri di Banca Marche, Popolare Etruria, Carife e Carichieti, i quattro istituti "salvati" per decreto il 22 novembre in maniera talmente improvvisata che hanno aperto una falla nella credibilità di Matteo Renzi e del suo governo.
Ebbene quelle quattro banche andavano vendute per ripagare il Fondo di risoluzione del suo investimento: il prezzo proposto dai tre acquirenti interessati era, però, talmente basso che si è deciso di rifiutare le offerte e ricominciare da capo. Molte banche, intanto, hanno cominciato a scrivere tra le perdite i contributi versati al Fondo per l'operazione Etruria & C. (ora, peraltro, si riaprirà la tarantella con l'Ue sugli aiuti di Stato, visto che le quattro good banks andavano vendute entro il 30 settembre ed è difficile che ci si riesca).
Finito? Neanche per sogno. A voler tacere della redditività nulla del settore, manca la questione più delicata. L'aumento delle sofferenze è legata a doppio filo allo stato dell'economia italiana. Finché non ci sarà crescita il sistema non potrà risanarsi e il mercato delle sofferenze (con le sue garanzie immobiliari che vanno all'asta senza trovare acquirenti) resterà una pia intenzione. Tradotto: se i risultati del Pil continueranno a misurarsi in "zero" o "zero virgola", quelli che oggi sono chiamati "incagli" - crediti sul cui rientro si registrano ritardi - diventeranno "sofferenze" aprendo nuove voragini nei conti delle banche (sta già succedendo).
Questa è la partita a cui la Repubblica italiana partecipa con le mani legate da regole ideologiche contro l'intervento dello Stato: pensare di salvarsi togliendo qualche tassa di giorno mentre se ne mettono altre di notte, significa non aver capito la profondità del buco in cui ci siamo infilati.


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