Quotidiano | Categorie: Economia&Aziende

I soci di BP e BPM "incassano" il diritto di recesso ma quelli di BPVi e Veneto Banca sono ancora in lotta per vederlo riconosciuto

Di Redazione VicenzaPiù Giovedi 27 Ottobre 2016 alle 13:27 | 0 commenti

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Se gli azionisti di Banco Popolare e Banca Popolare di Milano che non hanno concorso all'approvazione dell'operazione di fusione nelle rispettive assemblee possono ora esercitare il diritto di recesso entro il 9 novembre, incassando per le azioni di Bpm il valore di liquidazione fissato a 0,4918 euro, mentre per quelle del Banco Popolare 3,156 euro, cifre calcolate «facendo esclusivo riferimento alla media aritmetica dei prezzi di chiusura di Borsa delle azioni ordinarie nei sei mesi antecedenti il 13 settembre 2016», i soci della Banca Popolare di Vicenza e della Veneto Banca hanno visto fissare quel diritto (a 6,20 per BPVi e 7,30 per l'ex popolare montebellunese) ma non hanno potuto esercitarlo ritrovandosi "discriminati" e, subito dopo, con azioni da 10 centesimi in mano.

La questione sulla legittimità o meno del "niet" al passaggio all'incasso subito per quegli importi (pochi euro, maledetti ma subito) senza imbarcarsi, poi, nelle contese attuali è fondata, ma va precisata. L'abbiamo fatto con l'aiuto dell'avv. Franco Conte, presidente di Codacons Veneto.
Ebbene le banche quotate seguivano la norma del codice civiule e la prassi del mercato di fissare un prezzo per il recesso a prescindere da valutazioni contabili (metodo che ha permesso le quotazioni marziane delle due popolari). In concreto il prezzo di recesso viene fissato con la media dell'ultimo semestre.
Per le due Popolari venete si è seguito il sistema di valutare con criteri contabili al ribasso (cioè anziché il valore patrimoniale che era 62,5 per la Vicentina poi sceso a 48 si è ipotizzato il prezzo al quale sarebbe andata in quotazione in borsa e cioè 6,30 euro! E questo è scorretto, ci conferma Conte, perché sino a quando erano S.c.p.a. (società cooperative per azioni), le regole dovevano essere quelle usate quando vendevano azioni ai risparmiatori.
«Ma la cosa più grave - aggiunge l'avv. Conte - è che la Banca d'Italia non ha consentito di stanziare un fondo per far fronte alle domande di recesso perché avrebbe ridotto ulteriormente i ratios per continuare a fare banca! Tutta questa vicenda è passata inosservata a molti, non a noi che abbiamo sollecitato i soci ad esercitare il diritto di recesso sapendo che al momento non aveva prospettiva concreta ma segnava la volontà di non entrare nella nuova dimensione di s.p.a. e avviare il contenzioso con il Parlamento che aveva fatto una legge per la trasformazione delle popolari in s.p.a. senza preoccuparsi dei risparmiatori».
Venerdì scorso Codacons, tra i punti portarti all'attenzione dell'on.le Rosato, capogruppo del PD alla Camera, ha sottolineato proprio la necessità di dare un concreto diritto di recesso adeguato alla specifica situazione.
In punta di diritto, oltre che della ormai sconosciuta "coscienza", si dovrebbe ritenere che il contenzioso abbia buone prospettive di esito positivo.


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