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Le donazioni di Zonin e gli altri ex per occultare i beni dopo il crac BPVi, Il n chiede sequestri?

Di Rassegna Stampa Domenica 19 Novembre 2017 alle 09:40 | 0 commenti

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Rogiti di immobili e quote di fondi: così gli ex vertici della Banca Popolare di Vicenza dopo lo scoppio delle inchieste giudiziarie hanno provato a mettere al sicuro i propri beni, dall'ex presidente Gianni Zonin a Marino Breganze, ad Andrea Monorchio. Ma, forse, invano
Trasferimenti di proprietà, donazioni, spostamenti di immobili e quote in fondi patrimoniali: così gli ex vertici della Popolare di Vicenza hanno provato a mettere al sicuro i propri beni. Ma la maggior parte di loro lo ha fatto tardi, quasi in un riflesso di panico quando l'inchiesta era cominciata e il tracollo già evidente.

Tra il 2015 e il 2017, mentre i magistrati ordinavano perquisizioni e sequestri e la Guardia di Finanza spulciava nei bilanci alla ricerca delle operazioni sospette, i componenti del Cda si occupavano di occultare case e terreni.

Le mosse tardive

E questo apre nuovi scenari, perché proprio il ritardo nel cercare di proteggersi fa sì che i loro immobili siano «aggredibili», dunque che potrebbero essere utilizzati per risarcire i risparmiatori truffati proprio da chi ha portato al dissesto l'istituto di credito. Finora l'unica istanza presentata dai magistrati per il «blocco» preventivo di 104 milioni di euro non è stata accolta dal giudice (di fatto accolta ma con procedure per conflitti di competenza al vaglio della Cassazione, ndr), mentre non risulta che analoghe richieste siano state depositate nell'ambito delle azioni di responsabilità avviate contro gli ex amministratori. Per questo bisognerà capire se sono il segno di spregiudicatezza, scarso acume o convinzione degli amministratori di essere intoccabili. E perché i liquidatori, in rappresentanza dello Stato, non abbiano ancora chiesto, come si fa normalmente in questi casi, i sequestri cautelativi dei beni.

Blitz e donazioni

Il 22 settembre del 2015 l'indagine guidata dal procuratore Antonino Cappelleri per aggiotaggio e ostacolo alla Vigilanza, viene svelata con una perquisizione nella sede della banca e l'iscrizione nel registro degli indagati del presidente Gianni Zonin. Tre mesi dopo cominciano le «dismissioni». Il 4 dicembre 2015 il consigliere Marino Breganze - dopo essersi disfatto delle abitazioni che possiede a Verona - vende con due rogiti distinti tutti i terreni dei quali era proprietario nella stessa provincia. Il 23 di quello stesso mese un altro consigliere, Andrea Monorchio, dona ai figli i beni che possiede a Roma. Il giorno successivo - quasi ci sia stato un tam tam - Breganze trasferisce ai figli una parte dei beni che possiede a Vicenza. L'11 dicembre Gianfranco Pavan vende un immobile alla Usl di Vicenza. Il 30 dicembre tocca a Maurizio Stella: beneficiari del patrimonio sono i figli e la moglie anche se in questo caso si riserva il diritto di usufrutto.

Avvisi e dismissioni

Nel giugno 2016 i magistrati compiono altri atti istruttori. Molte proprietà degli amministratori sono già passate di mano. Il 1 gennaio di quell'anno Gianni Zonin dona al figlio una parte dei beni con diritto di abitazione, mentre il 13 maggio cede la restante parte alla consorte (ricordiamo che Gianni Zonin ha ceduto praticamente tutte le sue partecipazioni nel gruppo di famiglia ai figli, ndr). Più articolata la scelta del consigliere Giorgio Colutta che il 26 febbraio costituisce un fondo patrimoniale con «vincolo per fini meritevoli» in favore della moglie e dei figli e tre giorni dopo, con un altro atto, conferisce alla società di famiglia gli altri immobili. Il più tempestivo, dunque oggi il più protetto, è Giovanni Dossena (in effetti Giovanna Dossena, ndr), che già nel 2013 - ben prima delle inchieste - ha fatto confluire i propri beni in un fondo patrimoniale costituito nel 2002, il 18 febbraio 2016 concede una ipoteca volontaria a favore di Mps - superiore al valore del mutuo - come garanzia di un finanziamento da 200 mila euro. Molto attiva è anche Maria Carla Macola: il 16 marzo dello scorso anno dona le proprietà che ha a Belluno; con due rogiti - 16 marzo e 18 maggio 2016 - dona ai figli gli appartamenti che possiede a Padova riservandosi il diritto di abitazione; tra agosto e ottobre vende invece la parte dell'azienda agricola di famiglia a lei riconducibile. Il 27 ottobre Giuseppe Zigliotto fa confluire in fondo patrimoniale alcuni beni acquistati quello stesso giorno. Il 22 dicembre Gianfranco Pavan termina la liquidazione del patrimonio che aveva cominciato il 28 febbraio 2013 a favore dei familiari.

I sequestri finali

A fine dicembre 2016 i nuovi soci guidati dal neo amministratore delegato Fabrizio Viola avviano l'azione di responsabilità nei confronti degli ex vertici. Il 2017 è invece segnato dalla svolta giudiziaria: a luglio gli indagati ricevono l'avviso di fine indagine, a ottobre viene chiesto il rinvio a giudizio di Zonin e altri. Breganze vende tutto ciò che gli è rimasto a Venezia e Vicenza. Il 9 agosto Roberto Zuccato mette un'ipoteca da 250 mila euro sugli immobili che possiede a Schio e Venezia.

Il ruolo dei liquidatori

Nell'atto di cessione delle parti industrialmente sane di Veneto Banca e della Banca Popolare di Vicenza a Intesa Sanpaolo firmato il 26 giugno scorso nello studio notarile Marchetti a Milano, c'è un paragrafo che non lascia dubbi. Si specifica che restano esclusi dalla cessione a Intesa «i diritti e le azioni di responsabilità e risarcitorie promosse dagli organi sociali di BpVi e VB prima della loro messa in liquidazione o promosse dagli organi della procedura di liquidazione». Significa che tocca ai liquidatori della Vicenza, lo stesso Viola, Claudio Ferrario e Giustino Di Cecco, chiedere il sequestro cautelativo dei beni dei 32 amministratori di Vicenza già citati per mala gestione. Al di sopra di loro tre, tocca però al governo: è il ministero dell'Economia che ha nominato i tre liquidatori, quindi finanziato il loro intervento ed è ai contribuenti italiani che spettano gli eventuali proventi di ogni azione risarcitoria su chi ha guidato la Vicenza al tracollo. Quando rappresentava il fondo Atlante, Viola si era già mosso con una richiesta per oltre un miliardo. Adesso che rappresenta lo Stato italiano non ha però ancora chiesto i sequestri cautelativi che sventino i tentativi dei vertici della Vicenza di sottrarre i loro beni con varie operazioni. Tanta riluttanza ad aggredire quei patrimoni non sarebbe inevitabile: in casi minori, per esempio la Banca di credito cooperative del Veneziano commissariata dalla Banca d'Italia, i nuovi amministratori hanno chiesto (e ottenuto) il sequestro cautelativo dei beni dei vecchi. Nel caso di Vicenza no, anche se in gioco c'è molto di più.

di Federico Fubini e Fiorenza Sarzanin, da Il Corriere della Sera


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