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Meletti su Il Fatto: l'ombra del crac della BPVi minaccia Visco in favore di un uomo BCE, Ignazio Angeloni. E Padoan punta alla UE

Di Giovanni Coviello (Direttore responsabile VicenzaPiù) Domenica 2 Aprile 2017 alle 10:59 | 0 commenti

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Giorgio Meletti, su Il Fatto Quotidiano di oggi, pare condividere la nostra ricostruzione delle corresponsabilità di Banca d'Italia nelle crisi, anche, delle due ex Popolari Venete ("Noi abbiamo parlato da sempre di BPVi e Veneto Banca. Ora ci occupiamo anche di Banca d'Italia..." e "Banca Popolare di Vicenza, Popolare di Bari, Veneto Banca e Etruria: premi e bocciature per reato di insubordinazione a Banca d'Italia?". E, mentre più tardi chiuderemo la nostra micro analisi, comincia a ipotizzarne le conclusioni. "Il governatore di Bankitalia in scadenza - sintetizza Il Fatto nel sommario - rischia per i disastri nella vigilanza su BPVii e Veneto Banca. Ora è in balia dei controllori europei, tra cui il suo concorrente Ignazio Angeloni".

Un omonimo, Angeloni di Visco, oggi nel Board Bce, che giocherebbe in parallelo a Pier Carlo Padoan (nella foto "sorridente" con Margrethe Vestager, Commissaria europea alla Concorrenza...)

 

Ecco l'analisi di Giorgio Meletti.

L'ombra del crac di Vicenza minaccia la poltrona di Visco 

Non è detto che la Banca Popolare di Vicenza alla fine sarà salvata. Non è detto che Ignazio Visco alla fine otterrà un nuovo mandato alla guida della Banca d'Italia. Le due cose sono legate. La prima cosa sarebbe causa della seconda.

E i due sventurati che a novembre prossimo dovranno scegliere il nuovo governatore - il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni - devono già adesso faticare non poco per districare la matassa.

Con un'aggravante notevole rispetto a certe pur riprovevoli tradizioni bizantine: ormai chi gioca le partite di potere tende ad abbandonare ogni pudore istituzionale e a giocare sporco. Dei consiglieri d'amministrazione di Popolare di Vicenza, chiamati l'estate scorsa dal fondo Atlante per salvare il salvabile, due si sono già dimessi. Lo stesso amministratore delegato Fabrizio Viola è molto preoccupato. Il governo ha fatto il decreto salva-banche alla vigilia di Natale e, dopo oltre tre mesi, non gli dà seguito. Vicenza ha bisogno di un aumento di capitale da almeno 3 miliardi, ma il governo tergiversa, impegnato in un dialogo imbambolato con l'Unione europea a cui ha chiesto il permesso di salvare il sistema bancario italiano.
Vedendo i tentennamenti del governo, nelle scorse settimane molti clienti sono scappati. Per far fronte all'emorragia di liquidità Viola ha dovuto emettere obbligazioni garantite dallo Stato per 3 miliardi a febbraio e 2,2 miliardi a marzo. Il fallimento della Popolare di Vicenza potrebbe essere questione di settimane e il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan rimane impassibile, si fa portare in giro da mesi, o forse da anni, dalla Commissione europea, perché, secondo i maligni, la sua priorità è non creare dissapori con l'establishment comunitario dal quale si aspetta a fine corsa del governo Gentiloni, al massimo tra un anno, un incarico all'altezza delle sue ambizioni (intanto punta all'Eurogruppo).
Da parte sua Visco, 67enne entrato in Bankitalia 45 anni fa per non uscirne mai più, è nella situazione peggiore per un burocrate: dovrebbe intimare a Padoan, e poi a Gentiloni e allo stesso Mattarella, che non si uccide così una banca. Dovrebbe cioè cantarle chiare ai tre uomini che devono decidere se confermarlo o no.
Intanto a Francoforte il mitico Supervisory Board del Single Supervisory Mechanism della Bce (cioè la vigilanza bancaria unica incardinata dentro la banca centrale europea guidata da Mario Draghi) gioca al gatto col topo. Anche i muri sanno che da mesi i vigilantes di Francoforte hanno in animo di dare una lezione agli italiani. E anche di fare la prova su strada della direttiva Brrd (meglio nota come bail-in) e vedere che cosa succede se fallisce una banca. Pop. Vicenza e Veneto Banca, né troppo grandi né troppo piccole, hanno la taglia giusta per essere cavie. Alla presidente francese della vigilanza Danièle Nouy e soprattutto alla vicepresidente tedesca Sabine Lautenschläger prudono le mani.
Il membro italiano del board di Francoforte, Ignazio Angeloni, non si spende più di tanto per raffreddare i bollenti spiriti di colleghe e colleghi che potrebbero entro poche settimane chiedere a Banca d'Italia e governo di procedere al commissariamento o direttamente alla "risoluzione" delle due banche. Un disastro che porterebbe a zero le chance di riconferma di Visco. La mazzata targata Bce farebbe paradossalmente il gioco di Angeloni che non dissimula più il desiderio di mettersi in corsa per la successione al governatore.
Il nervosismo è incandescente. Visco sta ingaggiando un comunicatore di rango per farsi supportare nella battaglia mediatica dei prossimi mesi, e l'ha confidato a un giornale amico e sempre rispettoso dell'istituzione Bankitalia come Il Foglio che già ce lo racconta, estasiato, in tenuta da battaglia, a colpi di "massima trasparenza" e "parlerà chiaro". Visco è minacciato principalmente dalla sua mancanza di coraggio (non ha mai richiamato Padoan ai suoi doveri) perché di concorrenti temibili in giro non ce ne sono. Oltre ad Angeloni, non amato dal popolo della Banca d'Italia dal quale si è allontanato vent'anni fa, si sta agitando molto il suo direttore generale Salvatore Rossi, che però non ha chance: è più anziano di Visco e ne condivide tutte le responsabilità sull'attuale drammatica crisi bancaria. Aspira anche Andrea Enria, uomo Bankitalia oggi alla guida dell'European Banking Authority. La mancanza di candidati forti ha addirittura portato qualcuno nell'entourage renziano a ipotizzare - pur di far fuori l'odiato Visco - il nome di Pier Carlo Padoan, ma doveva essere il solito renziano ignaro: la legge Frattini sul conflitto d'interessi rende Padoan innominabile.
Incredibilmente, senza avversari e con i due giudici ultimi (Mattarella e Gentiloni) che prediligono il sereno istituto della conferma, Visco rischia di saltare sulla mina antiuomo predisposta dagli amici di Francoforte: sulla pelle di due banche e di un pezzo del sistema bancario italiano.


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