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Perquisizioni show per Veneto Banca e soft per BPVi, arresti e sequestri di beni per Vincenzo Consoli ma non per Gianni Zonin: Treviso, Vicenza e Roma o pool unico di pm?

Di Giovanni Coviello (Direttore responsabile VicenzaPiù) Martedi 2 Agosto 2016 alle 15:30 | 0 commenti

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Da quando sono cominciati ad emergere i problemi di Veneto Banca e, poi, quelli della Banca Popolare di Vicenza è indubbio che siano apparsi chiari i pesi diversi, giudiziari e mediatici (almeno per quanto riguarda il "giornale unico"  confindustriale di Vicenza), applicati in maniera decisamente punitiva ma corretta, visto il flop finale da 5 miliardi per 90.000 soci più l'indotto per il territorio, con l'istituto montebellunese guidato da Vincenzo Consoli e con toni soft ma decisamete inadeguati con la BPVi, il cui disastro è costato oltre sei miliardi a oltre 118.000 soci più, sempre, l'indotto per le aree interessate. Eppure i fatti della Popolare di Vicenza, che abbiamo raccontato con una serie di articoli dal 13 agosto 2010 sulle crepe crescenti della Popolare vicentina e una cui selezione è ora raccolta nel nostro libro di successo "Vicenza. La città sbancata", sembrano una copia carbone di quelli di Veneto Banca.

Il libro (ultime copie disponibili prima della seconda ristampa da noi in Viale Milano 31, nelle migliori edicole e librerie oltre che su Amazon o scrivendo a [email protected], ndr) può, quindi, essere utile in entrambi i casi per farsi un'idea di come il Veneto pensasse di avere due grandi Popolari per poi accorgersi che i loro gestori avevano giocato con i soldi dei soci con l'aggravante, a Vicenza, di aver permeato la ragnatela dei poteri politici, imprenditoriali e mediatici.

Le differenze di trattamento tra Veneto Banca, un Istituto che aveva compiuto mosse in contrasto con i voleri di Bankitalia e delle signorie finanziarie italiane,  e BPVi, che ha invece giocato sempre in apparente sintonia con Palazzo Kock e certi potentati locali e nazionali, appaiono così palesi che per Giovanni Schiavon, vice presidente dell'istituto di Montebelluna (Treviso) e fondatore dell'Associazione degli azionisti di Veneto Banca, nonché ex presidente del Tribunale di Treviso, "mentre per Veneto Banca procede la Procura della Repubblica di Roma e scattano gli arresti, per la Banca Popolare di Vicenza la competenza è rimasta a Vicenza e, nonostante la maggiore gravità del quadro di quella banca, verso gli ex amministratori non succede nulla del genere".

Se, ad esempio, la Guardia di Finanza perquisiva, su ordine della Procura di Treviso e prima che scoppiasse il suo caso, la sede di Veneto Banca con un'operazione show con tanto di blocco della strada di accesso, la strada statale Feltrina, i colleghi che si sono mossi a Vicenza su ordine della locale procura hanno adottato, per giunta ad accordi conclusi con chi poi avrebbe "salvato" la banca già decotta,  lo hanno fatto con estremo tatto e riservatezza.

Giusto? Sbagliato? Di sicuro è andata così.

Se, poi, è ai domiciliari e con a carico provvedimenti cautelari di sequestro di beni ingenti su iniziativa della Procura di Roma Vicenza Consoli, ex Ad di Veneto Banca ma di fatto ispiratore, per quello che se ne sapeva e se ne sa, delle sue mosse strategiche, il "driver" indiscusso all'epoca dei fatti della Popolare di Vicenza, Gianni Zonin, per ora non ha neanche subito un interrogatorio pur avendo ceduto (donato) a i suoi figli i suoi beni mobili e immobili per metterli in sicurezza, anche se ancora legalmente aggredibile se la Procra di Vicenza decidesse di "aggredirli".

Giusto? Sbagliato? Di sicuro ora è così.

La questione che ora si pone urgentemente, se i fatti fossero quelli mediaticamente noti, è se le procure di Treviso e Vicenza siano in condizioni di operare, nei confronti rispettivamente di Veneto Banca e della Popolare di Vicenza, con la stessa fermezza o, meglio, con lo stesso indirizzo scelto dalla Procura di Roma a meno che quest'ultima Procura, nonostante la sua storica competenza nel settore dei reati finanziari, non stia sbagliando. 

Se così non fosse e se Treviso e Vicenza non riuscissero a fare un salto di qualità nelle indagini, qualcuno dovrà decidere se l'ipotesi ventilata di un pool unico, magari a Roma, potrà essere quella più rapida, efficace e senza disparità di trattamenti.

A vantaggio della giustizia verso gli indagati, innocenti fino a prova contraria, maa nche degli oltre 210.000 soci rimasti senza soldi, "truffati" fino a prova contraria...


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