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Tonino De Silvestri riassume le tutele al "risparmio tradito" dalla BPVi mentre VicenzaPiù denuncia soliti favori e sprechi per vertici, Image Building, Beltotto...

Di Giovanni Coviello (Direttore responsabile VicenzaPiù) Giovedi 13 Ottobre 2016 alle 11:22 | 0 commenti

Il vice presidente vicario Salvatore Bragantini è ora il vero uomo forte della Banca Popolare di Vicenza, fatto così pausibile (vero) che l'11 ottobre scorso nel comunicato che riguardava il suo operato nel Cda ha dovuto aggiungere al volo e in un addendum una qualche notizia, molto generica d'altra parte, sull'apprezzata attività dell'Ad Francesco Iorio, l'ex uomo, tutto, immagine della BPVi, proprio l'Image Building di Luciana Paoletti, per Dagospia la "zarina" del mondo della comunicazione che a Vicenza e da Milano affianca nella ex Popolare Giampiero Beltotto, che ha arricchito in tempi recenti la sua attività con vari incarichi esterni e paralleli come la presidenza della Fondazione di Cultura di Rovigo e la  vice presidenza del Teatro Stabile del Veneto, tutti su nomina della giunta di Luca Zaia, di cui è stato portavoce per anni sia in Regione Veneto che al Ministero dell'Agricoltura prima di migrare al Teatro la Fenice con la benedizione sua e di Gianni Zonin.

Se, oltre un gruppo di 5/6 dipendenti interni professionisti, che da fuori non si... vedono se non nelle ormai monocratiche assemblee, Beltotto è il comunicatore principe (del teatro drammatico permanente) della BPVi da 180.000 euro all'anno più rimborsi  da migliaia di euro al mese, non previsti dalla delibera del Cda guidato da Gianni Zonin e Francesco Iorio, a "comunicare" spesso le continue promesse di tavoli di future conciliazioni e di eventuali azioni di responsabilità oltre che di inattuati cambi di vertice delle controllate da aggiungere ai sicuri mega tagli di dipendenti per conto della BPVi c'è, quindi, la società milanese della zarina, a 165.000 euro all'anno.

E Image Building, che tra i suoi innumerevoli e influenti clienti ha anche, sapete bene che i fondi esteri hanno bisogno di far parlare di sè..., il fondo lussemburghese Permira, quello legato alla condanna in primo grado a dieci mesi per reati fiscali di Matteo Marzotto, che siedeva nel Cda della Banca all'epoca dell'ingaggio della società della Paoletti come terza struttura di comunicazione della Banca Popolare di Vicenza di Gianni Mion, che evidentemente taglia i "poveri" dipendenti, d'altronde già abituati, magari, a sacrificarsi, per non "stressare" quelli più danarosi delle PR e dei vertici vicentini e siciliani, ha assolto il suo "faticoso" compito anche, come dicevamo, l'11 ottobre, quando, prima di ricordare che "Iorio c'é", ancora?, ha comunicato che Salvatore Bragantini "per quanto riguarda i tavoli di conciliazione" ha detto alle decine di migliaia di soci beffati, ai loro legali e alle loro Associazioni: "Siamo in avanzata fase di messa a punto di una proposta che prevede un parziale ristoro delle perdite di chi abbia investito in azioni della Vicenza, senza dimenticare che quello in azioni è, in ogni caso, un investimento a maggiore rischio. L'esborso a carico della Banca sarà comunque delimitato previamente nel rispetto dei requisiti patrimoniali dettati dalla Bce...".  

Noi, invece, vorremmo che l'esborso fosse, invece, commisurato al danno per i soci "azzerati" di una cooperativa quale era la BPVi  e non certo azionisti consapevoli dei rischi di una spa, in cui ora investe un fondo, questo sì, per sua costituzione, speculativo come Atlante, che già ha fatto ottenere, comunque, alle banche e alle istituzioni finanziarie che lo hanno costituito oltre che a tutto il "sistema" vantaggi economici di estremo rilievo come il ripristino dei "patti marciani" (quelli, in breve, che riducono a pochi mesi i tempi di "esproprio" di una casa di cui non si paghino le rate di mutuo) e altri ammennicoli fiscali e simili che valgono miliardi di euro.

Siccome non ci stiamo, come non ci stanno i soci, ai puri conti "dettati dalla Bce", il comodo alibi degli ultimi anni per ogni misfatto, conti stretti quando toccano i poveracci, molto più laschi e permissivi quando toccano stipendi milionari, benefit a go go e compensi fuori dalle logiche del "buon padre di famiglia", a cui si appella Gianni Mion, stretto tra Bragantini e Iorio, per vertici e assimilabili, abbiamo chiesto all'avvocato Tonino De Silvestri, che spesso è intervenuto da noi sul caso della BPVi, di riassumerci il quadro delle tutele per i risparmiatori traditi che già ci aveva illustrato nella video intervista che qui vi riproponiamo.

Se  questi risparmiatori, che sempre più numerosi colloquiano con noi tramite l'indirizzo a loro riservato [email protected], le utilizzeranno per rientare non per piccole percentuali del maltolto buon per loro.

Se non lo faranno per far sì che i privilegi vengano mantenuti, godano pure di essere becchi e bastonati.

Noi più di così non possiamo... anche se, noi, non molliamo non foss'latro che per l'economia del territorio che riguarda tutti, anche chi rimanesse danneggiato dalla povertà subita dagli altri.

La parola ora passa all'esperto

 

       Le tutele relative al "risparmio tradito" dalla Banca Popolare di Vicenza

La problematica delle tutele relative al "risparmio tradito" dalla Banca Popolare di Vicenza (come del resto quelle analoghe concernenti la Veneto Banca) male si presta ad essere riassunta in poche battute per la complessità e la tecnicità della materia che coinvolge, oltre a norme generali, sia civili che penali, norme speciali quali i Testi Unici Bancari e Finanziari, assai ricchi di prescrizioni comportamentali per gli intermediari finanziari e di cautele protettive per gli investitori.
Com'è noto, gli azionisti che si ritengono lesi dai comportamenti degli indagati della Banca, potrebbero senz'altro costituirsi parti civili nei confronti di quelli rinviati a giudizio, ma è bene sapere che, così operando, essi non potrebbero certo aspirare ad ottenere il risarcimento integrale dei danni subiti.
La forma di tutela elettiva per ottenere il recupero integrale della somma investita è costituita dalla singola azione civile innanzi al giudice competente, essendo la Banca tenuta a rispondere dell'operato dei propri dirigenti e dei propri dipendenti. Non v'è infatti spazio alcuno per l'esperimento di class actions che presuppongono contenziosi omogenei che nella specie difettano, in considerazione della particolarità di ciascun caso concreto che rinvia, come tale, a mezzi di impugnazione personalizzati e fondati su titoli diversi.
È al proposito senz'altro possibile, a fini meramente esplicativi, individuare comunque tipologie omogenee di litigations e procedere, quindi, con tutte le comprensibili riserve, alla formulazione di differenziate prognosi di successo giudiziale, con un limite, spesso trascurato, che purtroppo le accomuna tutte.
La possibilità di rientrare in possesso della somma investita a seguito della riconosciuta nullità o annullabilità degli atti di investimento non è infatti illimitata nel tempo, posto che le pretese non possono estendersi oltre la prescrizione decennale fissata dal codice per la restituzione dell'indebito. Ciò equivale a dire, per essere più comprensibili, che attualmente non porterebbe aspirare ad risultato concreto l'eventuale impugnativa di investimenti antecedenti l'anno 2006.
Tra le varie tipologie di contenziosi ve ne sono due che, a mio avviso, consentono sicuramente ai possessori di azioni svalutate di aspirare con successo alla restituzione delle somme impiegate per acquistarle.
La prima riguarda i casi in cui la sottoscrizione delle azioni è avvenuta "fuori sede", al di fuori cioè dei locali della Banca. Il legislatore si è infatti preoccupato di tutelare l'investitore che, raggiunto in azienda o in casa, può essersi trovato in condizioni di minorata attenzione, ed è per questo che ha subordinato, all'art. 30 del TUF, la validità dell'investimento alla duplice condizione che l'operatore bancario sia iscritto nell'Albo dei Consulenti Finanziari (legati al rispetto di precisa deontologia professionale) e che, nel contratto stipulato dagli stessi sia menzionata espressamente, in ogni caso, la clausola che prevede la possibilità di recesso entro sette giorni al fine di offrire un congruo spazio di ripensamento al raggiunto fuori sede.
La casistica dimostra, al proposito, che la Banca ha in più circostanze fatto sottoscrivere azioni, soprattutto in azienda, per il tramite di dipendenti non iscritti all'Albo i quali si sono serviti dei moduli abitualmente usati in sede senza la necessaria previsione della clausola di recesso, ed a fronte di tali macroscopiche inottemperanze, non si vede quali valide ragioni potrebbe far valere la stessa per evitare la soccombenza.
La seconda tipologia attiene ai vizi di sottoscrizione dell'atto di acquisto delle azioni, evenienza più frequente di quanto si possa immaginare, avendo spesso un coniuge sottoscritto anche con il nome dell'altro, ovvero un genitore con il nome di uno o più figli.
Premesso che la legge impone all'operatore bancario, a pena di sanzioni penali, di identificare alla sua presenza il cliente per il tramite di un documento, è comunque evidente che, a fronte di una firma apocrifa, la Banca ha finito con il sottoscrivere un contratto affetto da nullità insanabile, che obbliga alle reciproche restituzioni, essendo in tal caso venuto a mancare non solo il reciproco consenso che il codice civile ritiene necessario per qualsiasi contratto, ma anche il requisito della valida forma scritta prevista in materia dall'art. 117 del TUB e dall'art. 23 del TUF.
Ulteriori tipologie di contenzioso che potrebbero concludersi senz'altro con sentenze favorevoli concernono quelle fattispecie, gergalmente definite "baciate", in cui la Banca ha finanziato, in tutto o in parte, l'acquisto di proprie azioni, facendo sottoscrivere al socio due atti formalmente slegati, la concessione del fido per elasticità di cassa e l'acquisto di azioni, ma in realtà collegati tra loro in modo fraudolento.
Ciò in quanto l'art. 2358 del codice civile (pur riconoscendo talune eccezioni di cui la BPVI ha fatto peraltro uso, deliberando legittimamente di finanziare nuovi soci per l'acquisto di cento azioni ciascuno), vieta le operazioni di "assistenza finanziaria", perché le stesse comportano l'alterazione fittizia del capitale sociale con evidenti ripercussioni sullo stesso patrimonio, come rilevato in sede di ispezione dalla Banca Centrale Europea e come riconosciuto dal successivo board dell'Istituto, che ha proceduto ai necessari accantonamenti per ricostruire il patrimonio di vigilanza.
Se dunque si riesce ad ottenere il risultato di far dichiarare dal Giudice la nullità del fido perché illecitamente finalizzato all'acquisto di azioni proprie, la Banca non avrebbe più titolo per richiedere all'investitore la restituzione della somma finanziata, e l'acquisto delle azioni finirebbe di conseguenza con l'essere parimenti travolto da nullità.
Gli addetti ai lavori sanno che la Banca ha invece sostenuto, anche di recente, la legittimità delle "baciate", argomentando che, quando era strutturata in forma cooperativa, non era applicabile la predetta norma perchè inserita dal codice nella disciplina delle società per azioni, ma tale tesi trascura di considerare che le Banche Popolari hanno una doppia anima, mutualistica ed imprenditoriale al tempo stesso (come si desume dalla vigilanza cui sono sottoposte non solo da parte del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, ma anche e soprattutto di quello dell'Economia e delle Finanze, oltre che della stessa Banca Centrale Europea), e che quindi ad esse non può essere comunque consentite gonfiature artificiali di capitale.
Ed è anche il caso di osservare, al proposito, che non risponde affatto vero, come riportato da qualche organo di stampa, che il Tribunale della Imprese di Venezia, dopo essersi pronunciato per l'illiceità, si sarebbe poi contraddetto. In realtà non c'è stata alcuna pronuncia nel merito, ma solo una diversità di vedute su due diverse istanze cautelari volte ad inibire alla Banca la richiesta di rientro dal fido, accolta dall'uno e respinta dall'altro. Nello specifico è stato diversamente valutato il periculum in mora, e cioè il pericolo nel ritardo in caso di ordine di rientro da parte della Banca prima dell'emissione della sentenza nel merito, avendo uno dei due giudici ritenuto, contrariamente all'altro, che l'istante avrebbe potuto comunque tutelarsi facendo opposizione all'eventuale decreto ingiuntivo.
I destinatari delle "baciate" sono stati peraltro spesso avvicinati facendo loro credere di essere stati selezionati tra molti e di aver potuto godere di trattamenti favorenti ad hoc prospettando quindi un'opportunità d'investimento che non poteva essere rifiutata, laddove lo scopo dell'operatore era preordinato a gonfiare artificialmente il capitale della Banca, facendo loro sottoscrivere azioni destinate ad essere inevitabilmente svalutate ed a divenire definitivamente illiquide, specie con riguardo all'aumento di capitale dell'agosto del 2014.
Quando si ritiene che ricorrano gli anzidetti presupposti, in aggiunta alla strada primaria dell'illecita assistenza finanziaria, può essere invocata anche la ricorrenza di un vizio della volontà dell'investitore nell'aderire all'offerta della Banca per chiedere l'annullabilità del fido, e quindi della correlata sottoscrizione delle azioni, per errore o per dolo, nel quale ultimo caso vi è anche spazio per denunce per truffa contrattuale nei confronti dell'operatore bancario interessato.
Occorre peraltro rilevare come, a fronte di circa 180.000 soci che si sono visti praticamente azzerare il valore delle loro azioni, quelli che potranno avvalersi delle sottoscrizioni fuori sede, dell'apocrifia di firme o dell'illecita assistenza finanziaria rappresentano, statisticamente, una parte decisamente minoritaria.
La maggior parte di loro, a prescindere dai numerosi che non hanno possibilità di tutela alcuna perché detengono azioni ereditate o comunque sottoscritte gradualmente nel tempo in periodi anteriori al 2006, possono infatti fare affidamento solo sulla violazione dei doveri informativi da parte della Banca.
Prima di accennare allo specifico apparato normativo deve ricordarsi, come riportato dal Giornale di Vicenza in sede di commento alle indagini penali in corso, che risulterebbero vendute azioni a 58 mila clienti ignari dei rischi in occasione degli aumenti di capitale 2013-2014 (ed. 18/06/2016) e che la Consob avrebbe fatto scattare multe di milioni di euro nei confronti della Banca e di dirigenti per sistematiche violazioni alla MIFID (ed. 20/06/2016).
Le norme legislative regolamentari parlano chiaro.
L'art. 21 del TUF impone agli intermediari finanziari, tra l'altro, di "comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, per servire al meglio l'interesse dei clienti". La Comunicazione n. DIN/9019104 del 2 marzo 2009 (attuativa del Regolamento Consob del 2007 che ha accolto in Italia la direttiva europea della c.d. MIFID), relativa al "dovere dell'intermediario di comportarsi con correttezza e trasparenza in sede di distribuzione di prodotti finanziari illiquidi", quali le azioni della Popolare, nel prescrivere che la loro emissione sul mercato deve qualificarsi "quale servizio svolto nell'interesse del cliente, perdendo i connotati di mera attività di vendita", impone "un significativo cambiamento del modello relazionale intermediario-cliente, con il passaggio da una logica incentrata sullo specifico prodotto commercializzato ad una logica del servizio reso al cliente".
La realtà è, però, che gli operatori della BPVI "probabilmente seguendo disposizioni della scala gerarchica" (così si legge nel citato quotidiano del 18 giugno) hanno completamente vanificato uno strumento di profilatura economica fondamentale per l'ignaro cliente, ed hanno per giunta adottato prassi che hanno preteso, incredibilmente, di consacrare documentalmente la presunta volontà dell'investitore in due ordini di segno opposto, sottoscritti a distanza di un paio di minuti, di dar corso all'operazione di acquisto delle azioni nonostante l'avvertimento che la stessa risultava inadeguata: dunque contro se stesso!
Motivi di spazio non mi consentono di aggiungere ulteriori e non certo commendevoli dettagli.
Un accenno, da ultimo, alla questione degli "scavalcati" di coloro, cioè, che hanno visto le loro richieste di vendita delle azioni rimanere inevase a dispetto dell'accoglimento di altre presentate successivamente. È evidente che, in tal caso, non è possibile impugnare la validità delle operazioni di acquisto. Possono però avanzarsi in sede giudiziale richieste risarcitorie fondate, oltre che sul comportamento contrario ai doveri di buona fede che la Banca avrebbe dovuto tenere in sede di esecuzione del contratto (art. 1375 c.c.), anche sull'inottemperanza a quanto dalla stessa previsto in sede di informativa precontrattuale sul servizio di gestione di portafogli di investimento laddove dichiara di adottare "ogni misura ragionevole per identificare i conflitti di interesse", anche "tra clienti".

Avv. Tonino De Silvestri
già magistrato di Cassazione
esperto in diritto penale, civile,
bancario e d'impresa.
[email protected]


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