Banche, Il Sole: 15 miliardi di perdite dalla cura Npl
Sabato 11 Febbraio 2017 alle 10:46 | 0 commenti
di Marco Ferrando, da Il Sole 24 Ore
Ognuno, almeno all'apparenza, nell'ultimo scorcio del 2016 ha avuto le sue buone ragioni per le pulizie generali del portafoglio crediti: UniCredit il maxi-aumento, Mps l'imminente ingresso dello Stato, Banco e Bpm la fusione, Ubi l'acquisizione delle good banks. Il 2016 è stato un anno straordinario per le banche italiane, e buona parte di esse ne ha approfittato per un'ondata straordinaria di svalutazioni dei crediti avariati: le rettifiche sono pressoché raddoppiate rispetto al 2015, toccando i 26,8 miliardi. Facendo precipitare il risultato netto complessivo a quota -14,8 miliardi, che sembrano raccontare tutt'altra storia rispetto ai 6,1 miliardi di utili 2015. Certo, dietro la classica media del pollo c'è di tutto. Intesa Sanpaolo, che - complici alcune poste straordinarie - ha centrato il target dei 3 miliardi di dividendi pur a fronte di un governo più serrato del rischio, visto che le rettifiche sono cresciute del 12,2% a quota 3,7 miliardi.
E tra le piccole ci sono il Credem e Popolare di Sondrio, con l'utile in tenuta e gli accantonamenti in calo. In media, però, le svalutazioni si sono fatte pesantemente sentire: UniCredit su tutte (da 3,9 a 12,2 miliardi), ma anche Mps (+125% a quota 4,5 miliardi), Ubi (pressoché raddoppiate oltre il miliardo e mezzo) e BancoBpm: i conti pro-forma post aggregazione presentati ieri parlano di un intervento da 2,95 miliardi, e si confrontano con gli 800 milioni di accantonamenti del Banco del 2015 e i 342 di Bpm.
La ragione di tanto rigore sta nella straordinarietà della fase che queste banche si trovano a vivere, ma anche nell'attenzione da parte della Bce. Che ha chiesto a tutti gli istituti di predisporre la propria road map sugli Npl. Per poter dismettere prima occorre svalutare (almeno per evitare ulteriori sorprese), e così si spiegano i 26,8 miliardi di rettifiche contabilizzati dalle prime dieci banche italiane nel 2016. Che per certi aspetti ricorda il 2013, anno - l'ultimo non a caso prima del debutto della vigilanza unica Bce - in cui si era assistito a un'ondata straordinaria di pulizie. Rispetto ad allora, però, stavolta c'è un dato vagamente più positivo: la marea degli Npl ha smesso di crescere, dunque l'auspicio è che di altre manovre simili in futuro non ci sia più bisogno.
C'è da sperarlo. Perché il costo del rischio sarà una variabile fondamentale per la redditività prospettica delle banche. Che resta assai modesta. I tassi bassi, insieme a una concorrenza sempre più sfrenata sul fronte dei servizi tra le banche e con gli operatori non bancari che si affacciano sul mercato del credito o del risparmio, hanno asciugato anche i ricavi. Un dato: restando alle prime dieci banche italiane quotate (eccetto Mediobanca, che ha chiuso il semestre con un utile di 418 milioni, +30%), nel 2016 hanno registrato ricavi per 53,2 miliardi, il 5,1% in meno del 2015 (56,1 miliardi). È l'ennesimo passo di un processo avviato da tempo, e che affonda anzitutto nel calo del margine d'interesse, cioè in quella che una volta era la tipica attività bancaria, raccogliere e prestare denaro: nel 2016 il margine d'interesse si è contratto del 6,6%, bruciando 1,8 miliardi di ricavi rispetto al 2015. C'è chi affida con maggior prudenza e chi chiude i boccaporti in nome del de-risking, sta di fatto che tra le prime dieci banche solo il Credem ha visto aumentare il margine d'interesse nel 2016 (+3,3%), in virtù di una crescita del 4,6% dei prestiti alla clientela. E a comprimere l'ultima riga del bilancio ci sono anche le poste "di sistema": le due annualità straordinarie dei fondi obbligatori per chiudere il salvataggio delle good banks, i contributi al braccio volontario del fondo interbancario, le svalutazioni di Atlante. In totale, per le prime dieci banche italiane, la bolletta ammonta a 1,9 miliardi. Circa un terzo degli utili contabilizzati nel 2015.
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