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Dopo vent'anni di vita spericolata BPVi e Veneto Banca lasciano un buco di 20 miliardi. E la soluzione è milanese con Fondo Atlante a diventare il riferimento per Vicenza

Di Gianfri Bogart Lunedi 18 Aprile 2016 alle 09:13 | 0 commenti

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"Popolari venete. Una soluzione alla milanese" titola Il Corriere della Sera un lucido articolo di Stefano Righi che vi proponiamo di seguito, mentre ci sarebbe un'intesa di fatto secondo la quale il Fondo Atlante, di cui fanno parte Unicredit, Intesa, Cdp e varie altre istituzioni finanziarie e assicurative, tra cui Unipol, "si prenderebbe" Banca Popolare di Vicenza assumendosi al suo posto l'onere dell'inoptato e alleviando così l'impegno diretto sul quale Unicredit stessa aveva espresso forti perplessità, che unite a quelle di Intesa per il suo analogo impegno con Veneto Banca, hanno portato il Governo a promuvere gli accordi che hanno generato il fondo di salvataggio Atlante, privato ma con garanzie collaterali ben più ampe.

Dopo vent'anni vissuti spericolatamente, la favola delle due popolari venete, le cenerentole della finanza a cui tutto è stato permesso, finisce in archivio lasciando un buco superiore ai venti miliardi di euro. Un colpo da Ko per le due banche e per tutto il Nordest, con oltre duecentomila azionisti traditi nelle loro convinzioni e svuotati dei loro risparmi, che stanno alimentando migliaia di ricorsi alla giustizia ordinaria. Si sentono, molto spesso a ragione, truffati. Chiedono giustizia. Una pagina nera per il sistema dei controlli che ora (finalmente!) stringe il morso. Tra chi non ha visto e chi addirittura è entrato in affari con il controllato, le responsabilità sono chiare, palesi.

Da oggi si apre una pagina nuova, con quel che resta della Popolare di Vicenza e di Veneto Banca. Due istituti sotto tutela - come ha dimostrato l'applicazione da parte della Consob dell'articolo 7 del Tuf - la cui condizione ha imposto nei fatti la creazione del fondo Atlante. C'è tutta la sconfitta di un mondo autoreferenziale e dell'idea della presunta differenza veneta nei fatti e nei provvedimenti di questi giorni. È questo il punto di ripartenza.

Popolare di Vicenza: Sbarcherà in Borsa il 3 maggio con la garanzia di Unicredit

L'argomento del giorno è il prezzo. Quella forchetta di prezzo a cui le azioni della Banca Popolare di Vicenza saranno vendute in vista della quotazione in Borsa del prossimo 3 maggio e che appare così irrimediabilmente lontana non solo dagli inarrivabili 62,50 euro a cui l'aveva portata la ultradecennale gestione della coppia Gianni Zonin-Samuele Sorato, ma anche dai 6,3 euro a cui la banca aveva fissato quel diritto di recesso subito definito non esercitabile.

La Popolare di Vicenza è lì, con un fortissimo mal di testa e una montagna da scalare. Gli organi di vigilanza che per anni non hanno visto, oggi dimostrano di saper esercitare tutti gli strumenti a loro disposizione: convocano il consiglio di amministrazione, scrivono l'ordine del giorno. Era ora. La banca, oggi guidata da Francesco Iorio, con Stefano Dolcetta alla presidenza, è più che mai in mano ai propri azionisti. Ma non a quelli di ieri, scaltri imprenditori o ingenui risparmiatori - questi ultimi hanno solo vissuto l'illusione di contare -, ma a quelli del 3 maggio. In primis Unicredit, che garantirà l'inoptato, poi il fondo Atlante, ovvero il braccio operativo del sistema creditizio nazionale, che è stato necessario creare urgentemente proprio per fare fronte alle operazioni della Vicenza e della Veneto, prima di andare a svuotare il fardello di crediti in sofferenza nel portafoglio di Mps.

Delegato ad altri il controllo della proprietà, la Vicenza si affida a Iorio e alla sua squadra per mantenere presa sul mercato. Ma non è facile in un momento in cui i correntisti si spostano verso altre banche e gli analisti finanziari definiscono ottimistiche le previsioni contenute nel piano industriale. Per questo l'aumento di capitale da 1,763 miliardi di euro è non solo necessario ma urgente, sono i parametri di liquidità a richiederlo. In attesa di scrivere una nuova pagina, con nuovi azionisti.

Veneto Banca: Quotarsi prima dell'estate con la spinta di Intesa Sanpaolo

Anche a Montebelluna il peso della Vigilanza si fa sentire. Sebbene in passato Veneto Banca abbia più volte lamentato un trattamento maggiormente severo rispetto a quanto accadeva a Vicenza, oggi le chiacchiere stanno a zero. La corsa verso la Borsa ha subito un rallentamento perché andava presentato, almeno, un bilancio annuale, non potendosi basare sulle risultanze al 30 settembre. Poi, la scorsa settimana, la Bce ha chiesto chiarimenti alle due associazioni di azionisti che raggruppano circa il 12 per cento del capitale e sulle quali pesa un'unica domanda: quanto varrà la loro quota il giorno dopo l'aumento?

Oggi Veneto Banca, che è passata dalla gestione Vincenzo Consoli-Flavio Trinca a quella di Cristiano Carrus-Pierluigi Bolla, attraverso la presidenza di Francesco Favotto, è nella mani di Banca Imi del gruppo Intesa Sanpaolo - che garantirà l'aumento da un miliardo - e del fondo Atlante.

Nulla sarà come prima. Ad iniziare dalla prossima assemblea, convocata a Marghera, nel comune di Venezia, il 5 maggio, un giovedì, alle 10 del mattino. Addio gite degli azionisti e organizzazione del consenso in cambio di un generoso buffet. Non se ne sentirà la mancanza. L'assemblea presenta all'ordine del giorno l'approvazione del bilancio 2015 e la nomina del nuovo cda, con non più di 15 componenti. Ci sarà forse una seconda lista concorrente con quella proposta dal cda uscente e, dopo l'assise, il calendario prevede la fissazione del prezzo fra il 20 e il 25 maggio e lo sbarco in Borsa entro metà giugno. Il presente ha tratti in comune con la Vicenza: disaffezione della clientela, calo delle masse, vertenze legali, preoccupazioni sul fronte della liquidità. Il futuro sarà del tutto diverso: Carrus recentemente ha strizzato l'occhio alla Bper, che però guardava altrove. Sarà Modena la destinazione finale? Presto per dirlo. Ma si passa da Milano


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