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Gianni Zonin fa così tanta scena muta in commissione d'inchiesta sulle banche che Casini prova a fare il suo ventriloquo

Di Angelo Di Natale Mercoledi 13 Dicembre 2017 alle 23:19 | 1 commenti

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Roma, da nostro corrispondente. Ostenta totale cortesia e piena disponibilità Gianni Zonin dinanzi alla commissione parlamentare d'inchiesta sulle banche (qui il video completo, ndr). Puntuale varca alle 18.00 il portone d'ingresso di palazzo San Macuto per annunciare di essere pronto a rispondere a tutte le domande di deputati e senatori, forte anche del credito acquisito per avere accettato l'audizione in tempi rapidissimi, addirittura anticipati, nell'unico giorno rimasto libero nel calendario dell'udienza preliminare del tribunale di Vicenza dove l'ex presidente della Banca Popolare di Vicenza è imputato.

Ma tanta disponibilità si traduce solo in una lunghissima sequela di "non so", "non ricordo", "non era mia competenza", "non ho mai avuto deleghe e poteri operativi", "non ho mai sollecitato la concessione di un prestito", "non ho mai saputo nulla di crediti e di assunzioni, né me ne sono mai occupato".
E così dinanzi al fuoco di fila di decine e decine di domande dei commissari (Augello, Bellt, D'Alì, Ruocco, De Pin, Dal Moro, Zoggia, Zanetti, Villarosa) colui che per vent'anni è stato conosciuto da tutti come il dominus assoluto della Banca Popolare di Vicenza, si rappresenta come un imprenditore, banchiere quasi per caso e solo marginalmente, che, in effetti, si limitava a convocare il consiglio d'amministrazione della banca, a curarne la buona immagine anche presso le istituzioni, senza mai seguire alcun affare interno, né atti di gestione, grandi o piccoli.
Sulla concessine de crediti, Zonin chiarisce che fino ad una certa cifra essa era compito del direttore del credito, oltre toccava al comitato esecutivo, al quale si vanta di non avere mai partecipato, e infine, al di sopra dei cinquanta milioni, era il consiglio d'amministrazione a poter decidere. E l'unico rapporto con la concessione di questi mega-finanziamenti superiori a 50 milioni che Zonin avesse mai intrattenuto è quello che gli derivava - ribadisce più volte - dall'essere presente nel Cda dove apprendeva le proposte assunte in piena autonomia e a sua insaputa dal management!
Ma l'elenco dei fatti più importanti e cruciali di cui Zonin - a suo dire - non ha mai saputo nulla o, semplicemente, adesso non ricorda, risulta impressionante, perché giunge di fatto a vanificare ogni domanda e ad azzerare ogni tentativo, compiuto pazientemente da diversi parlamentari - spesso in contrapposizione a Casini che interviene diverse volte a giustificare la scarsa loquacità dell'ex banchiere - di trovare spiegazioni dotate di un minimo di logica al groviglio di misteri, omissioni, stranezze di ogni tipo, anomalie, veleni, conflitti d'interesse che alla fine azzerano ogni valore della Bpvi: le sue azioni in mano ai soci passano da 62.50 euro ai 10 centesimi ognuna a cui sottoscrive quasi il 100% di capitale Atlante che poi cede alla fine per 50 centesimi ad Intesa l'ex Popolare che aveva acquisito nei decenni un patrimonio immobiliare e di opere d'arte stimato in miliardi.
Al netto di questa strategia, che Zonin ovviamente presceglie in coerenza con quella da imputato - di aggiotaggio, ostacolo alle attività di vigilanza e falso in prospetto - nel processo in questi giorni al via - qualche elemento di un certo interesse l'ex patron di Bpvi lo lascia cadere tra tanti "non so" o "non ricordo".
Per esempio esclude, più volte e sempre categoricamente, di avere mai ricevuto pressioni da Bankitalia e dal suo capo della Vigilanza Carmelo Barbagallo per l'acquisizione di Veneto Banca, di fatto smentendo la versione, verbalizzata in procura di Roma, dell'ex ad di Montebelluna Vincenzo Consoli, ma senza mai ammettere di doverla, o semplicemente volerla, smentire o confermare. Zonin più volte sembra volersi rifugiare nella pretesa di chi si arroga il diritto di dare la sua "verità" senza accettare di metterla a confronto - neanche per confutarla o negarla - con altre, anche in stridente contrasto.
Un gioco che potrebbe non riuscire nel dibattimento penale dove pubblici ministeri e parti civili potrebbero rivelarsi meno accondiscendenti dei parlamentari, a volte non proprio precisi se non mal informati quando scambiano Atlante con Intesa, l'anno, il 2014, dello stress test Bce con quello, 2015, delle dimissioni di Zonin e, addirittura, una discussa consulente di Veneto Banca, sorella dell'avv. Ghedini, con una, inesistente, di BPVi.
In due ore di seduta pubblica (solo una fase, di circa 20 minuti, è secretata, per la risposta ad una domanda che incrocia attualità processuali) Zonin ammette la cena del 27 dicembre 2013 in una sua tenuta in Friuli con gli emissari di Veneto Banca messa a verbale da Consoli, ma solo per dire che del dossier-Montebelluna si parlò al massimo per cinque minuti, il tempo necessario per capire che da parte di Trinca e di Consoli non c'era alcuna intenzione di andare avanti ma senza di fatto rispondere alla domanda, più volte ripetuta, se l'incontro fosse nato per realizzare i voleri di Bankitalia.
Rimane, quindi, tutto da chiarire il divario abissale tra l'interrogatorio di Consoli (secondo il quale di fatto Bankitalia ordinò la fusione alle condizioni della Popolare Vicenza che negava qualunque rappresentanza in Cda ad un istituto di ottantamila soci) e questa versione di Zonin tutta tesa a ricondurre quei passaggi drammatici alla riedizione ordinaria di un vecchio disegno concepito al servizio dell'economia veneta.
"Sfumata questa possibilità - racconta Zonin - ci fu segnalata da Rothschild la possibilità di acquisire Banca Etruria con la quale saremmo diventati la seconda banca in Toscana dopo Mps. Con il nostro advisor, Mediobanca, facemmo un'offerta pubblica d'acquisto ma la risposta fu negativa".
Anche su questo punto, tirar fuori una parola a Zonin su interessi più o meno striscianti in Bankitalia per questa acquisizione si rivela missione impossibile. Diversi parlamentari ci provano, sempre respinti dal viticultore di Gambellara cui non manca mai la comprensione di Casini (che talvolta pare addirittura il suo ventriloquo, ndd).
Neanche l'intervista a La Verità dell'ex direttore generale Adriano Cauduro che racconta di avere visto e sentito Zonin ricevere pressioni da Via Nazionale, anche per telefono, per acquisire Etruria, aprono un varco perché Zonin - questa la sua risposta - non avrebbe mai parlato di queste cose al telefono e, in ogni caso, non lo avrebbe fatto neanche di persona senza per questo doversi "abbassare" a valutare come false le affermazioni dell'ex dg di Veneto Banca: Zonin conosce solo la sua verità e non gli si addicono verifiche o confronti.
Poi due notizie: in vent'anni di presidenza di Bpvi ha parlato solo una volta con Draghi e due con Visco, ma non ricorda di cosa. In ogni caso mai - l'affermazione è perentoria - con Pierluigi Boschi, nécon la figlia Maria Elena che neanche conosce.
E se non si è mai occupato, non è mai intervenuto, mai neanche saputo di una sola assunzione o scelta di collaboratori e consulenti, cosa avrebbe potuto rivelare il povero Zonin sul passaggio alla Bpvi di ex funzionari di Bankitalia o dell'ex pm di Vicenza, Foajadelli, - reclutato nel board di una controllata- che ne aveva chiesto l'archiviazione o dell'ufficiale della Guardia di Finanza che aveva investigato? Per non dire di tutti i parenti eccellenti di prefetti, magistrati, banchieri, presunti controllori, politici su cui, ovviamente, nulla Zonin può rivelare. Perché nulla dice di sapere.
Neanche sui cosiddetti "prestiti baciati" l'ex storico presidente dell'istituto vicentino può dire nulla. Semplicemente non era al corrente fino a quando ebbe notizia, come tutti, della segnalazione lanciata da un socio che in assemblea si rivolse al presidente del collegio sindacale e dell'allarme di un dipendente dimissionario. Ma - ha potuto rassicurare Zonin - l'indagine interna che ne seguì accertò che il fatto non era vero.
Ovviamente inutile chiedere a Zonin come sia stato possibile che un ufficio Auditing con settanta dipendenti abbia potuto concludere la propria indagine interna in modo opposto alla verità lampante ed incontestabile che presto sarebbe emersa. Ovvero che non solo i "prestiti baciati", ovvero condizionati alla sottoscrizione di azioni, erano erogati in grande numero ma che erano una prassi sistemica per nascondere con un effetto doping la cruda realtà di patrimoni di capitale di fatto insufficienti ma gonfiati con quelle operazioni.

Anche su questo punto silenzio assoluto da parte di Zonin che non sposta dalla cornice di asserita normalità neanche quella riunione straordinaria, nel 2014, del Cda che di sabato sera, dopo i rilievi della Bce e l'annunciata bocciatura agli stress test, converte un bond da 253 milioni e, almeno per 24 ore, aggira l'ostacolo. Quanto basta per andare avanti: "capolavoro di un esperto", insinua velenoso un commissario, alludendo al ruolo di Gianandrea Falchi, prelevato dalla segreteria di Draghi e gratificato di super ufficio a Roma in via del Tritone, macchina con autista e stipendio da 300 mila euro. Ma Zonin ricorda solo che era un professionista competente segnalatogli da un ambasciatore e che l'assunzione, come tutte le altre, non fu opera sua. Come nulla sapeva dell'ingresso in Cda, con il ruolo di vice presidente, dell'ex ragioniere generale dello Stato Monorchio.
Qualche notizia Zonin comunque la dà, con dettagli che in qualche caso vorrebbe più copiosi, per esempio quando svela di avere saputo dei "prestiti baciati" solo il 7 maggio 2016, quando non era più presidente: "Ricevetti la mattina una telefonata dal capo degli ispettori della Bce che mi volle incontrare a Milano. Andai e mi disse di questo problema dei "prestiti baciati". Subito dopo, era pomeriggio, se vuole le dico l'ora esatta - si lascia andare, finalmente generoso nelle risposte, interloquendo con un commissario - telefono al direttore per chiedere spiegazioni".
Ma come, solo a maggio 2016? E le lettere della Banca d'Italia?
"Le lettere ufficiali alla Popolare di Vicenza venivano aperte e lette dal direttore generale che, se riteneva, le portava all'attenzione del Cda. E non ricordo che ciò fosse avvenuto prima d'allora".
Ad un certo punto, anche se c'è chi propone di audire con urgenza Samuele Sorato visto che Zonin tutto o quasi a lui rimanda, anche i parlamentari più documentati e battaglieri come Alessio Villarosa del M5S devono arrendersi. E Casini, che non vede l'ora, può chiudere la seduta.

 

Ndd. Per dargli voce, fuori dall'audizione, di seguito pubblichiamo una nota stampa di Gianni Zonin a seguito dell'audizione di questa sera presso la Commissione Parlamentare d'Inchiesta sul sistema bancario e finanziario italiano.
Il dott. Gianni Zonin è stato oggetto di audizione da parte della Commissione Parlamentare d'Inchiesta sul sistema bancario e finanziario italiano, tenutasi oggi a Roma a seguito della convocazione ricevuta nei giorni scorsi.
"Come ho già avuto modo di rendere noto all'autorità giudiziaria, ho fornito ai membri della Commissione la mia piena disponibilità a collaborare affinché vengano ricostruiti con completezza i fatti e le dinamiche che hanno determinato lo stato di crisi di Banca Popolare di Vicenza." Ha sottolineato il dott. Gianni Zonin al termine dell'audizione.

"Ripongo la massima fiducia nel delicato e complesso lavoro della Commissione che, in aggiunta al lavoro svolto dall'autorità giudiziaria, mi auguro possa far luce e ricostruire le responsabilità di quanto accaduto a Banca Popolare di Vicenza, Istituto che ho presieduto per molti anni e nell'interesse del quale ho sempre agito con correttezza e in buona fede." Ha concluso Gianni Zonin.


Commenti

Inviato Giovedi 14 Dicembre 2017 alle 20:41

E povero il nostro Zonin! Certo non poteva rispondere, è ancora amareggiato per i soldi che ha perso, povero Gianni! Vitaccia la tua!!!
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