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La grande truffa pro Intesa intorno a BPVi e Veneto Banca: proponiamo a voi, Gianni Zonin, Achille Variati & c.. un test di onestà. O di comunismo...

Di Giovanni Coviello (Direttore responsabile VicenzaPiù) Sabato 24 Giugno 2017 alle 12:00 | 0 commenti

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Vi proponiamo "La grande truffa delle banche venete" un articolo scritto ieri da Claudio Conti, poco prima, ma comunque col sentore del suo arrivo, dell'annuncio definitivo del "dissesto o del rischio dissesto" di Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca e del  "no" della Commissione europea alla loro "ricapitalizzazione precauzionale" da parte dello Stato con conseguente attivazione del processo previsto dall'art. 19 del Decreto 180/2015 e, quindi, in un modo o nell'altro, come stabilirà il decreto legg atteso per oggi, la loro liquidazione coatta: "la liquidazione coatta amministrativa è una procedura concorsuale prevista dalla legge italiana che si applica ad alcune categorie d'impresa. Ha le sue fonti regolamentari nella legge fallimentare. L'apertura della procedura preclude al creditore le azioni in sede di giurisdizione ordinaria". L'articolo è stato scritto ieri, ripeto, e fa un'analisi della situazione su cui vi proponiamo di riflettere e su cui alla fine faremo una nostra annotazione.

La grande truffa delle banche venete 

di Claudio Conti

I veri delinquenti gestiscono banche, manovrano governi, svuotano di risorse un paese e quando vanno in difficoltà pretendono di essere salvati a spese di tutti i cittadini.

Ideologia? Giudicate voi...

Da circa tre anni le due principali banche venete - Veneto Banca e Popolare di Vicenza - navigano in acque pessime, pure avendo centinaia di sportelli, migliaia di dipendenti e entinaia di migliaia di correntisti. Colpa delle "sofferenze", dei "crediti incagliati" o peggio ancora "inesigibili". Ovvero di prestiti concessi e non restituiti, né restituibili.

Non stiamo parlando di poveri lavoratori che hanno acceso un mutuo presso questi istituti - per loro non c'è possibilità di fuga o di non restituzione, grazie all'ipoteca che grava sull'immobile - ma di imprese più o meno grandi, di imprenditori, faccendieri e truffatori ben ammanicati. Una parte delle imprese è stata travolta da dieci anni di crisi, che hanno dissanguato anche gli "eroi" delle mitiche filiere del Nordest, i distretti, ecc, ora costretti a diventare contoterzisti (fabbricanti di componenti che poi verranno assemblati altrove) per conto delle filiere tedesche. Ma una parte ancora più grande delle "sofferenze" riguarda un mondo di magliari più o meno legato alla politica o alle varie massonerie locali, tutti naturalmente travestiti da imprenditori.

Queste due banche avrebbero ormai dovuto prendere la strada obbligata delle imprese fallite: liquidazione coatta amministrativa, nomina di uno o più commissari da parte del governo, vendita delle attività in positivo per soddisfare almeno in parte i creditori.

Strada certamente dolorosa, per i dipendenti che avrebbero perso il lavoro, ma ancora di più per gli azionisti e gli "obbligazionisti senior", quelli professionali. In alternativa, secondo le infami regole fissate di recente dall'Unione Europea, si sarebbe potuto ricorrere al bail in, massacrando anche in questo caso azionisti e obbligazionisti, ma anche i normali correntisti con più di 100.000 euro depositati (e solo per la quota eccedente, visto che fino a quella cifra c'è la garanzia dello Stato). E' la strada fatta percorrere a Banca Etruria e altri tre istituti regionali (CariChieti, Banca Marche, CariFerrara), rifilando una clamorosa sòla ai tanti ignari "obbligazionisti subordinati" - ossia "non garantiti" - cui le banche in genere rifilano carta straccia aziendale.

Ma, come spiega anche Luigi Zingales: "In un sistema ideale, dove i bond vengono venduti solo agli investitori istituzionali, il bail-in è corretto. In Italia, dove sono stati rifilati alle famiglie, no". Dunque Pier Carlo Padoan e Gentiloni hanno preferito non bissare la pessima esperienza renziana su Etruria e le altre, preferendo attendere che arrivasse un "cavaliere bianco" in grado di salvare il salvabile.

Peccato che il cavaliere in questione si sia presentato con le fattezze di avvoltoio di Banca Intesa, che ha offerto un euro - 1 euro - per "comprare" soltanto le parti buone delle due banche venete. Ossia sportelli, conti correnti e dipendenti. Mentre pretende che le "sofferenze" - quantificate dal Sole24Ore in almeno 20 miliardi - vengano comprate da qualcun altro. In più, pretende anche un fondo di risoluzione per sistemare i dipendenti che riterrà eccedenti, dunque da licenziare (fondendo tre banche radicate le territorio andranno come minimo smaltiti i doppioni che prima si facevano concorrenza).

Diciamo la verità: a fare i banchieri così sono buoni tutti, anche noi. Anzi, potremmo offrire anche 2 euro - il doppio! - per fare esattamente la stessa operazione e magari salvare qualche posto di lavoro in più.

Fin qui tutto sembra andare secondo le famose "regole di mercato": due banche vanno verso il fallimento, una terza è disposta a prendersele, naturalmente buttando a mare tutto quello che non le serve e potrebbe provocare danni (sofferenze, debiti, cause legali, ecc). Il problema è però: chi diavolo mai dovrebbe farsi avanti per "comprare" le parti deteriorate che non valgono più nulla, pagandole per di più a "valore di libro" (gli importi esatti dei prestiti non restituiti e fin qui tenuti tra le "attività")?

Solo un imbecille patentato, ovvio, un pollo da spennare.

E questo imbecille si sta facendo avanti. Si chiama Stato italiano e intende mettere 20 miliardi per tappare un buco immenso da cui non tornerà mai indietro un euro.

Ovviamente si tratta di soldi nostri, pagati con le tasse oppure dirottati verso questo scopo, anziché verso la spesa pubblica sociale (sanità, pensioni, istruzione, prevenzione calamità naturali, ecc).

Il governo aveva fiutato l'aria che spirava nelle banche già da tempo, e dunque a Natale 2016 aveva previsto un "fondi di garanzia" - guarda le coincidenze - da 20 miliardi, con cui eventualmente affronatare le prevedibili crisi nel sistema bancario. Il triplo netto di quanto speso in 15 anni per privatizzare Alitalia. Ci venne detto che si trattava solo di "garanzie", ossia promesse di muovere soldi veri sono in casi straordinarissimi.

Il caso è ora qui. E basta da solo a fagocitare tutto quel tesoretto che sarebbe dovuto servire a coprire l'intero sistema bancario nazionale. E neanche va bene, così com'è.

Il governo dovrà infatti varare un decreto correttivo del vecchio fondo di garanzia, perché quello prevedeva solo due modalità di intervento pubblico: a) "l'acquisto di azioni delle banche per rafforzare patrimonialmente" gli istituti, oppure b) "garanzie su passività di nuova emissione". Traduciamo: o per entrare nelle banche come azionista, per risanarle e magari guadagnarci qualcosa se l'operazione fosse andata a buon fine, oppure per consentire alla banca di reperire sul mercato nuova liquidità (le garanzie statali servono in questo caso a restituire credibilità operativa a un istituto che l'ha persa).

Qui, invece, si stratta di buttare soldi in un pozzo senza fondo, per soddisfare la marea di creditori che si presenteranno a riscuotere qualcosa che le due banche non potrebbero mai dare.

Si regalano soldi pubblici a operatori finanziari privati, insomma, che sarebbero stati altrimenti "bastonati" dal fallimento delle due banche.

Dov'è l'interesse pubblico, statuale, nell'operazione? Non c'è. Lo Stato non ottiene nulla in cambio, neanche la salvaguardia dell'occupazione. Le parti in attivo delle due banche, infatti, verrebbero prese da Intesa a gratis. Tutto il resto è fare da ufficiale pagatore verso privati.

Confermiamo l'offerta precedente. Anzi, l'alziamo: offriamo 10 euro per ognuna delle due banche, invece del misero euro dell'«offerta» di Intesa. Ce le date?

Come dite? Non siamo abbastanza delinquenti? Lo sospettavamo...

 

Ecco, quindi, la nostra annotazione.

Abbiamo letto l'articolo di Claudio Conti che mette insieme una serie di considerazioni che chi ci legge da tempo, da quel lontano 13 agosto 2010 in cui cominciammo a mettere in guardia i nostri lettori sullo tsunami in arrivo (cfr. "Vicenza. La città sbancata"), può già aver fatto di suo.

Ma alla fine ci è corso un brivido lungo la schiena.

Con la firma c'era anche la testata su cui Conti ha scritto quello che in gran parte pensiamo anche noi e che sfidiamo molti, la gran parte?, di voi a non pensare: la testata è ControPiano, nome di fatto ovvio visto il contenuto, ma sotto il logo compare, come è tipico, il qualificativo che caratterizzail singolo giornale.

E sotto ControPiano c'è scritto "Giornale comunista online".

Ecco spiegata con una domanda la causa del brivido: chi la pensa come Claudio Conti è, quindi, un comunista?

Tranquillo, caro lettore, che ci hai appena scritto, e con te stiano tranquilli tutti gli altri che sono d'accordo con Conti: magari non siete comunisti ma di sicuro chi la pensa come Claudio Conti non è un delinquente.

P.S. Siete pregati di ripetere il test con Gianni Zonin e i suoi fan, da Achille Variati in su o in giù, e con tutti i "sistemisti", quelli che Jacopo Bulgarini d'Elci ha accusato, eroicamente, di far parte, lui compreso, del "sistema" o di non ostacolarlo: e fateci sapere, visto che loro non la pensano di certo come Claudio Conti, che non sono comunisti e che ognuno di loro per la sua parte ha messo le basi per la truffa odierna, la seconda dopo quella originale, il crack, cosa sono...


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