Sportelli bancari, Stefano Righi: da noi un terzo di dipendenti e agenzie in più della media UE. E Zonin per BPVi puntava a 1.000 filiali
Lunedi 4 Luglio 2016 alle 13:32 | 0 commenti
Stefano Righi (@righist) sul Corriere economia di oggi sottolinea uno dei grossi problemi che affliggono le banche italiane, l'eccesso di dipendenti legato a uan mancata digitalizzazione del nostro sistema e al conseguente eccesso di filiali sul territorio, che il caso della Banca Popoalre di Vicenza ha evidenziato in maniera clamorosa con l'obiettivo parosssiticamente ripetuto da Gianni Zonin e amplicato dai media locali di voler arrivare a doppiare le 800 sedi per poi puntare alle 1000. Oggi di filiali da chiudere nel Vicentino ce ne sono un bel po' anche perchè quelle esistenti hanno soprattutto contribuito a piazzare azioni che da 62,50 euro sono crollate ai 10 centesimi attuali, per giunta non liquidizzabili. Ci dispiace, ovviamente, per i dipendenti, a parte per quelli che avessero contribuito a impoverire chi si fidava ciecamente di loro, ma questo "rigonfiamento" della BPVi è un altro degli errori che hanno impoverito la banca e i suoi soci.
Questi errori hanno gonfiato i costi della banca, che per mettervi riparo ha giocato magari anche su commissioni più alte per i clienti, e hanno, gioco forza, illuso i dipendenti, che sono stati assunti anche per "tenersi buono" l'habitat locale (politico e dirigenziale) ma che ora, dopo averne beneficiato, saranno attori passivi della macelleria finanziaria operata dai vecchi gestori con costi sociali che ben si possono immaginare e con costi per la comunità che solo dopo i tagli ineluttabili conosceremo.
Di seguito pubblichiamo l'interessante articolo di Righi, che ricordiamo anche coem autore del libro inchiesta "Il grande imbroglio" oltre che di una lucida recensione di "Vicenza. La città sbancata".
Gli istituti tricolori hanno compensato il calo dei margini di interesse con le commissioni più di altri Paesi. Ma i conti non tornano
Bilanci. Costi e sportelli. La zavorra è ancora pesante
In Italia un terzo di agenzie e dipendenti in piùrisetto alal media UE
Non ci sono solo i problemi legati alle coperture dei Non performing loans, ovverosia all'equilibrio contabile dei prestiti concessi ad aziende e famiglie che non vengono restituiti regolarmente, a preoccupare il sistema bancario italiano. E non basta neppure la pressione del regolatore europeo - che spinge per più severi parametri di solidità patrimoniale - o di quello italiano, che ha messo il dito nella piaga delle banche popolari più di 18 mesi fa. C'è inevitabilmente dell'altro ad oscurare il panorama del credito in Italia e in tutta Europa. Lo ha messo in evidenza su queste pagine un intervento di Gianfilippo Cuneo (6 giugno 2016): le banche italiane sono appesantite da un problema di costi. La conferma arriva da una ricerca a livello europeo, ma con un significativo focus sulla realtà italiana, messa a punto da Zeb consulting, multinazionale tedesca della consulenza per il mondo delle banche e delle assicurazioni, che sulla base dei dati della Banca centrale europea ha mappato il mondo del credito del Vecchio continente.«Il risultato della ricerca - evidenzia Gabor David Friedenthal, managing director per l'Italia di Zeb - mostra come, con l'attuale pressione dei mercati, in diversi casi ma soprattutto per le nostre banche nazionali tradizionali, la tipica struttura dei costi approntata per il business retail non è a lungo sostenibile».
Il passato
La condizione del mercato italiano non è nuova. Già alla fine del 2014 il sistema bancario domestico presentava livelli di profittabilità - determinati da entrate e costi - negativi nel confronto con gli altri partner europei, nonostante un evidente recupero rispetto agli anni precedenti. «Nell'analisi specifica delle varie voci di bilancio - spiega Friedenthal - la struttura delle entrate differisce in maniera sostanziale rispetto ai concorrenti europei. Le revenues delle banche italiane sono composte per il 59% da margine di interesse e per la quota restante da commissioni nette. In Germania le percentuali sono rispettivamente 70 e 30, addirittura 73 e 27 in Spagna. La Francia ha una struttura più vicina a quella italiana (61 e 49), ma è la media dell'Unione Europea che segna il distacco con l'Italia: 68 e 32. Questo significa che le nostre banche hanno compensato la contrazione dei tassi di interesse sul credito con maggiori commissioni. Ma qui finiscono le note positive».
Se le revenues, ovvero le entrate, si dimostrano in gran parte generate da un modello di business migliorato rispetto al passato, è sul lato delle uscite che si percepisce chiaramente l'insostenibilità , nel lungo periodo, del modello italiano. Basato, ancora oggi, su un numero eccessivo di sportelli e di agenzie sparse sul territorio e con una rilevante partecipazione di lavoratori. In Italia i dipendenti del settore sono circa 300 mila. Il 10% in meno rispetto ai picchi di pochi anni fa, ma certamente un numero ancora imponente.
I numeri
«Guardiamo alle agenzie bancarie - dice Friedenthal - e poniamole in rapporto con la popolazione residente. La media dell'Unione Europea da un rapporto di 0,031%. La Gran Bretagna, anche se ora non farà più parte della Ue, si ferma a 0,017%. L'Italia arriva a quasi quattro volte tanto: 0,051%». Troppe banche, troppi sportelli. La digitalizzazione (lenta) del Paese ha comunque aperto scenari che nessuno ha avuto l'ardire di disegnare anche solo otto anni fa, quando la Banca Popolare di Vicenza stabilì il singolare record dello sportello più pagato in Italia: 12,7 milioni di euro per singola agenzia in un lotto di qualche decina rilevato da Ubi. Oggi le agenzie semplicemente si chiudono, e il tasso di abbandono dei clienti - in questi casi - è comunque inferiore all'1%. È bastato meno di un decennio per cambiare completamente l'approccio al business.
«Nella nostra analisi - continua Friedenthal - abbiamo considerato 36 banche italiane, per diversi segmenti del business. Tutte le maggiori. Dal retail al credito al consumo, dalle banche on line a quelle che si focalizzano sulle reti di promotori. E l'evidenza è chiara. Le banche online, dopo fasi di lancio durate anni con forti investimenti infrastrutturali, si trovano oggi ad avere il miglior trend di sviluppo. Con un elevato controllo dei costi». Il personale è la nota dolente. Rispetto alla media dell'Ue in Italia si registrano agenzie e dipendenti superiori per un terzo. «Il nodo - conclude Friedenthal - è proprio nel segmento delle banche retail, le più diffuse sul territorio italiano». Un segmento che, nei primi tre mesi di quest'anno ha evidenziato a bilancio perdite di business per oltre 2 miliardi (1,7 miliardi le sole prime dodici banche nazionali) che proiettano il calo delle revenues a circa 8-10 miliardi su base annua. Un segnale evidente di inadeguatezza delle strutture e della necessità di continuare a incidere con fermezza sulla base dei costi.
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