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Lo spread: la sua esistenza è la prova che l'euro non è una moneta unica

Di Giancarlo Marcotti Mercoledi 1 Marzo 2017 alle 18:47 | 0 commenti

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Spread, un termine inglese che può assumere diversi significati, come ad esempio diffusione, propagazione, espansione. In campo finanziario, tuttavia, riteniamo che la traduzione più consona sia "differenziale". Un differenziale, infatti, come dice la parola stessa, è il risultato che si ottiene da una differenza. E lo spread, in campo finanziario, è proprio il risultato di una differenza fra i rendimenti di titoli della stessa natura, quindi confrontabili. Normalmente lo spread viene espresso in centesimi di punto percentuale, quindi, ad esempio, se il rendimento di due titoli con analoghe caratteristiche differisce di 2 punti percentuali si dirà che hanno uno spread pari a 200 punti, se la differenza è pari all'1,3% diremo che lo spread è pari a 130 punti, e così via.

La maggior parte degli italiani viene a conoscenza di questo termine nel 2011 quando lo spread determinato dalla differenza fra il rendimento di un titolo dello Stato italiano a tasso fisso con scadenza decennale (BTP) e l'analogo titolo tedesco (Bund) improvvisamente, all'inizio dell'estate di quell'anno, si amplia a dismisura arrivando il 9 novembre a toccare il massimo storico a 552 punti.

L'allora Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, per tale motivo, è "costretto" a dare le dimissioni ed in soli due giorni viene formato un Governo tecnico presieduto da Mario Monti.

Lo spread, verso la fine di quell'anno, riprende a scendere, ed a febbraio del 2012 torna sotto quota 300 punti.

Ciò che molti italiani non sanno, o non ricordano, è che nel marzo del 2012, quindi con Monti al Governo, lo spread riprende a salire vorticosamente a causa di una profonda crisi che colpisce in particolare Grecia e Spagna, ma che ovviamente ha ripercussioni su tutti i Paesi più deboli dell'eurozona.

Intervengono congiuntamente in quel momento l'Unione europea e la Bce. Mario Draghi, in particolare, "minaccia" interventi massicci a favore della stabilità dell'euro e al momento sarà sufficiente il monito da parte del Banchiere Centrale per far tornare la calma sui mercati e lo spread sotto quota 300 punti.

Successivamente lo spread BTP/Bund ha continuato a scendere, in particolare quando Draghi è passato dalle minacce ai fatti, annunciando, prima, e mettendo in pratica, poi, un'operazione di Quantitative easing, ossia di acquisto sul mercato secondario di titoli dello Stato dei Paesi dell'eurozona.

Il Qe, che inizialmente avrebbe dovuto concludersi nel settembre del 2016, è stato prorogato in un primo momento al marzo 2017 e successivamente alla fine dell'anno in corso, seppur con una contemporanea riduzione dell'impegno di acquisto mensile (da 80 a 60 miliardi di euro), ed il Presidente della Bce non ha escluso che possa, se necessario, prorogarne ulteriormente la durata.

La domanda che ci si deve porre ora è: perché se la Bce ha continuato a tener aperto il suo "ombrello protettivo", lo spread da un anno a questa parte è praticamente raddoppiato passando dai 100 punti dello scorso marzo ai 200 attuali?

Naturalmente ci possono essere più motivi concomitanti, ma certamente l'aumento dello spread non è un buon segnale perchè esso "misura" una maggiore sfiducia nel nostro Paese.

Da un anno a questa parte abbiamo chiesto, ed ottenuto, maggior "flessibilità", come dicono alla tv e si legge sui giornali, ma per far capire alla gente occorrerebbe dire che abbiamo avuto l'autorizzazione ad aumentare il nostro già gravoso debito di altri 19 miliardi di euro. Tuttavia l'economia italiana è rimasta al palo ed attualmente siamo il fanalino di coda per quanto riguarda la crescita fra i Paesi dell'eurozona.

E non solo, la richiesta di aggiustamento dei conti per 3,4 miliardi richiestaci dall'Europa e, soprattutto, le difficoltà che sta incontrando Padoan nel reperire tale somma, testimoniano la cattiva salute delle finanze pubbliche.

Infine le previsioni unanimi degli economisti parlano di un "aggiustamento" dei conti per fine anno che dovrebbero pesare per 15/20 miliardi. Dove andremo a reperire quei fondi? Quali altri sacrifici verranno chiesti agli italiani?

Insomma i motivi per i quali lo spread sta risalendo non mancano.

Ma la domanda fondamentale che dobbiamo porci è: perché esiste lo spread?

Per rispondere a questa domanda dobbiamo ampliare la nostra analisi.

Il famoso "ombrello" con la quale la Bce ha tenuto a freno lo spread in questi ultimi anni non è una misura strutturale, ma temporanea, e, cosa ancor peggiore, nel momento nel quale scadrà ci troveremo in una situazione ancor più problematica, con un debito pubblico che anziché contrarsi si è ulteriormente dilatato.

In pratica, quindi, la Bce non sta agendo, né può agire per statuto, come una vera e propria Banca Centrale. Essa infatti non garantisce il debito pubblico dei vari Stati che ne fanno parte.

Draghi sta cercando solo di "limitare", da un punto di vista monetario, e temporaneamente, le differenze che esistono fra le varie economie che compongono l'eurozona, ma non può non tener conto di queste differenze.

La Bce, infatti, a parità di importo nominale dei titoli dello Stato posti a collaterale, erogherà un finanziamento maggiore a chi porterà in garanzia titoli dello Stato tedeschi anziché italiani, proprio perché i titoli del debito pubblico tedeschi sono considerati più sicuri rispetto a quelli italiani.

L'esistenza dello spread, quindi, è la prova più evidente che è improprio denominare l'euro come una moneta "unica".

In pratica quindi esistono "tanti euro" quanti sono gli Stati che lo adottano!

In altri termini è come se non avessimo mai cambiato la nostra moneta, abbiamo ancora la lira alla quale abbiamo imposto un cambio fisso (il celeberrimo 1936,27) nei confronti di un paniere di altre monete europee.
Esattamente quello che aveva fatto l'Argentina con il suo peso nei confronti del dollaro statunitense!

Ed in più abbiamo anche perso la sovranità monetaria. Peggio di così...

Leggi tutti gli articoli su: Unione Europea, Bce, Euro, Mario Draghi, spread, Quantitative Easing

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