Quotidiano | Categorie: Economia&Aziende

Intervista di La Verità ad Adriano Cauduro, il dirigente che ha contribuito a "impeachment" di Gianni Zonin e che è stato licenziato da dg di Banca Nuova. Da brividi le sue accuse a Iorio, Viola, sindacati, vecchia BPVi e...

Di Giovanni Coviello (Direttore responsabile VicenzaPiù) Martedi 18 Luglio 2017 alle 00:06 | 1 commenti

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"«Vi svelo in che modo Zonìn e Viola hanno distrutto Bpvi», La Verità: Lo scandalo di BPVi nell'intervista ad Adriano Cauduro. Vuota il sacco l'ex direttore generale esiliato in Sicilia a guidare Banca Nuova e poi licenziato. Forse perché sa troppo": merito al collega Francesco Bonazzi di La Verità per questa intervista esclusiva a Adriano Cauduro, un dirigente chiave nella vicenda della Banca Popolare di Vicenza, prima "accusato" di aver mosso le prime motivate... accuse alla gestione di Gianni Zonin e Samuele Sorato, poi spedito da Francesco Iorio in Sicilia per essere lasciato "solo", di fronte a fatti che sanno della peggior Sicilia, nella controllata palermitana Banca Nuova e, quindi, licenziato da Fabrizio Viola addirittura quando la BCE aveva già emesso la "sentenza" che condannava la BPVi alla liquidazione coatta amministrativa.

Al di là del grande valore giornalistico dell'intervista, che, altra stranezza, non ha avuto un'eco adeguata alle sue rivelazioni da brividi, pensiamo che su quanto dichiarato e denunciato da Cauduro dovremmo tornare in tanti ma soprattutto dovrebbe, deve aprire un faro possente la magistratura per squarciare non i veli ma il buco nero che avvolge tutta la vicenda e la BPVi.

Leggete.

 

LO SCANDALO DI POP VICENZA
L'INTERVISTA ADRIANO CAUDURO 

«Vi svelo in che modo Zonìn e Viola hanno distrutto Bpvi»

Vuota il sacco l'ex direttore generale esiliato in Sicilia a guidare Banca Nuova e poi licenziato. Forse perché sa troppo


di Francesco Bonazzi, da La Veritò del 16 luglio

Chi ci salverà dai «salvatori»? Gli ultimi due anni della Banca popolare di Vicenza sono stati letteralmente persi tra inerzia, mancata riduzione dei costi e cacce alle streghe. Ma a quelle sbagliate. Come Adriano Cauduro, originario di Volpago del Montello, nella campagna trevigiana, classe 1963, vicedirettore generale dell'istituto di credito dichiarato insolvente dalla Banca centrale europea ed ex direttore generale della controllata siciliana Banca Nuova.

Meno di un mese fa, Cauduro, storico capo del personale ai tempi di Gianni Zonin e Samuele Sorato, entrambi indagati per il crac della banca, è stato licenziato «per giusta causa» da Fabrizio Viola. L'amministratore delegato scelto da governo e Bankitalia per tamponare la crisi attraverso il fondo Atlante, proprio nel giorno in cui la banca veniva dichiarata insolvente da Francoforte, come ultimo atto della propria gestione ha fatto fuori Cauduro. Ovvero l'unico manager della vecchia guardia che non è stato mai sfiorato da inchieste o da azioni di responsabilità.
In questa intervista rilasciata alla Verità, il banchiere, che aveva già denunciato Viola e l'ex presidente Salvatore Bragantini per stalking, racconta per la prima volta dall'interno che cosa è successo ai vertici della banca vicentina in questi anni. Fa l'elenco delle operazioni sospette a cui si è opposto e assesta un colpo micidiale alla strategia difensiva dell'ex presidente, che oggi tende a scaricare tutto su Sorato: «Zonin era onnipotente. Non era semplice comprendere la sua strategia e gli equilibri con Sorato. Credo siano stati molto abili a non far capire a nessuno il loro vero rapporto».
Una dozzina d'indagati per il collasso della Popolare di Vicenza, una trentina di consiglieri e manager oggetto di azione di responsabilità e fanno fuori lei, l'unico della vecchia guardia uscito indenne. Gira voce che sia stato sacrificato su richiesta dei sindacati. È vero?
«Sì, tutto depone in tal senso, soprattutto con il senno di poi. Diciamo che con il sindacato ci sono vari fronti aperti».
Ma lei si è scontrato con gli ex vertici Fabrizio Viola e Salvatore Bragantini, banchieri potenti e «di sistema». Chi gliel'ha fatto fare?
«Guardi, non si cambia carattere a 50 anni, anzi si peggiora. O si migliora, dipende dai punti di vista. Io sono sempre lo stesso e se ho agito così è anche per tutti i colleghi della ex Bpvi. Piuttosto mi concentrerei sull'operato di Viola e Bragantini».
AUMENTI DI CAPITALE. Non mi dica che i dipendenti non hanno responsabilità. Per gli ultimi aumenti di capitale di Zonin, la rete è stata stressata in ogni modo. E non risultano molti ribelli.
«Certamente la magistratura determinerà le responsabilità per quanto accaduto sino al 31 maggio 2015. Ma vorrei dire anche che i due anni successivi di inerzia e di mancate decisioni non sono certamente responsabilità dei dipendenti. Nel frattempo abbiamo perso la banca».
Ma come? Quelli arrivati dopo Zonin non dovevano essere i salvatori?
«La Pop Vicenza poteva e doveva essere gestita diversamente. L'ho sempre detto, prima a Stefano Dolcetta e a Francesco Iorio e poi a Gianni Mion e Salvatore Bragantini. Per ripartire era necessario dare segnali di fiducia e indirizzi chiari ai dipendenti. Banalmente, ridurre i costi in proporzione alla perdita di prodotto bancario. Ciò non è avvenuto, tanto è vero che sfido chiunque a individuare una qualsiasi azione delle gestioni degli ultimi due anni degne di essere ricordate. Purtroppo siamo inevitabilmente arrivati a questo triste finale».
Lei però è ritenuto uno degli uomini vicini a Zonin e Sorato. Del resto era il capo del personale e il vicedirettore generale.
«Io ho sempre fatto il mio lavoro. Molto probabilmente l'aver svolto il mio compito fino in fondo, e aver inoltrato le segnalazioni di mia competenza non deve essere piaciuto. Tanto che quando sono venuti fuori i disastri non sono stati pochi quelli che hanno additato me come colui che ha fatto emergere lo scandalo. Anche di questo mi sono sorpreso, perché avevo semplicemente fatto il mio dovere. Se avessi saputo tutto quanto è emerso dalle verifiche, lo avrei chiaramente denunciato».
CERTE CENE E CERTE COSE Ma che rapporti aveva con i vecchi vertici?
«I miei rapporti con Zonin e Sorato li ho sempre vissuti in modo istituzionale e strettamente lavorativo. Sarebbe interessante chiedere a loro quali erano i loro rapporti con me e sotto questo profilo sono curioso di sentire le registrazioni e di leggere gli atti quando saranno resi pubblici, perché probabilmente in alcune si farà il mio nome e probabilmente risulterà che ero il solito rompicoglioni che non doveva partecipare a certe cene e che non doveva essere messo a conoscenza di certe cose».
Alle famose cene da Zonin, in cui si decidevano le strategie per la Popolare di Vicenza, lei partecipava?
«Zonin era troppo intelligente per coinvolgere uno come me nelle sue strategie. Mi invitava solo alle cene di rappresentanza, che il più delle volte disertavo. Guardi che Zonin si è accorto che esistevo solo nel 2015. Il suo unico interlocutore era Samuele Sorato, oltre ad alcuni amministratori».
Però lei il 1° giugno 2016 ha ricevuto Zonin in pompa magna a Palermo, nella sede di Banca Nuova. L'industriale del vino era già un ex, per giunta indagato, e la cosa finì sull'Espresso.
«Ho vissuto l'arrivo di Zonin a Palermo come la visita di un uomo che per molto tempo è stato presidente della banca per cui ho lavorato per 15 anni, nonché socio e presidente della Fondazione Roi, fondata dal marchese Giuseppe Roi, discendente del romanziere vicentino Antonio Fogazzaro, l'autore di Piccolo mondo antico. L'ho ricevuto in banca, alla luce del sole e peraltro preavvisando lo stesso Iorio dell'incontro».
Gli mise a disposizione l'autista.
«Dopo l'incontro, l'ho fatto accompagnare dal mio autista in albergo, per il semplice fatto che ho deciso di risparmiare a un uomo di più di 80 anni un chilometro sotto il sole siciliano. È stato un atto di cortesia. Non mi pento di nulla, non avendo fatto nulla di male. E rifarei tutto. Dopodiché, se la situazione è stata così enfatizzata, con il senno di poi si possono capire tante cose. La segretaria di direzione, la signora Micale, mi aveva chiesto innumerevoli volte di poter fissare quell'appuntamento. Lì per lì non ci feci caso. In seguito, però, sono venuto a sapere che quell'incontro è stato voluto ed organizzato da un gruppo di persone allo scopo di mettermi in difficoltà».
Ricapitolando, per lei chi sono Zonin e Sorato?
«Per quanto mi riguarda, Zonin non è un amico né una persona con la quale abbia mai avuto nulla a che spartire. E lo stesso vale per Sorato».
Quali sono i rilievi ispettivi e le responsabilità che le sono state attribuite per il crac?
«Non sono stato sfiorato da alcun procedimento di verifica, controllo o di carattere sanzionatorio né ho ricevuto alcun rilievo dagli audit interni. E le garantisco che hanno cercato molto. La stessa banca non mi ha citato nell'azione di responsabilità che pure riguarda molti vecchi dirigenti».

Perché alcuni, a Vicenza, le attribuiscono la responsabilità di aver provocato il crollo di Sorato e Zonin?
«Non parlerei di responsabilità, se ci si vuole riferire a una sorta di strategia. Ho semplicemente agito nella mia veste di responsabile della divisione risorse quando ve ne sono stati i presupposti».
Ma non si è mai accorto che il presidente comandava ben oltre le deleghe?
«Zonin era un presidente considerato e apprezzato dalle istituzioni, dal sindacato e anche dalla politica. Era onnipotente. Non era semplice comprendere la sua strategia e gli equilibri con Sorato. Credo siano stati molto abili a non far capire a nessuno, e dico nessuno, il loro vero rapporto».
IL GRANDE VIGNAIUOLO È vero che la banca era la banca di Zonin, ovvero apriva sportelli dove serviva al Grande Vignaiuolo?
«Non saprei dire, anche se ritengo che Zonin non avesse bisogno di questo per accompagnare le sue aziende».
Inchieste archiviate e ispezioni Bankitalia a lungo generose. Il presidentissimo che protezioni aveva?
«Non so che protezioni avesse. Certamente Zonin ha saputo circondarsi di persone che avevano rivestito ruoli importanti e che alla banca potevano essere particolarmente utili».
Come l'ex ragioniere generale dello Stato, Andrea Monorchio, ex vicepresidente oggi indagato?
«È sicuramente un esempio calzante. Io comunque ho detto parecchi no».
Mi fa qualche esempio?

«Penso alle operazioni che sono state proposte con riferimento a Banca Network dei fratelli Magnoni, alla Ipb Sim di Gaetano Paradiso; all'Arianna Sim di Rossana Venneri (ex compagna del banchiere dalemiano Vincenzo De Bustis, ndr), alla Tercas, che poi è stata rifilata alla Popolare di Bari; alla Terfinance che fa cessione del quinto; alla Methorios di Alfio Marchini e ai mutui vitalizi di Jp Morgan. Credo che possa bastare».
E che cosa ha visto in Sicilia che non doveva vedere?
«In Sicilia, come direttore generale di Banca Nuova, ho visto tante cose. Però, come mi dice qualche amico che mi è rimasto, forse mi stavo avvicinando a qualche operazione che non dovevo toccare. Ora con la cessione degli Npl (non performing loans, i crediti marci, ndr) tutto sarà sanato».
Com'è stato il suo rapporto con Francesco Iorio, il primo successore di Sorato?
«Iorio è stato nominato amministratore delegato su segnalazione di Mario Lio, ex dipendente di Banca d'Italia e vicedirettore generale di Banca Nuova, dove proteggeva gli interessi siciliani, e del quale, appena arrivato a Palermo come direttore, ho chiesto la rimozione. Su questa mia richiesta, più volte reiterata, né Iorio né, in seguito, Bragantini, si sono mai pronunciati».
Ma non l'avevano mandata a Palermo per fare pulizia?
«Se fosse stato per Iorio e per il suo vice, Iacopo De Francisco, avrei dovuto essere rimosso immediatamente dal mio ruolo. Infatti provarono ad accusarmi personalmente, alludendo al fatto che "non potevo non sapere" quanto era successo sotto la guida di Zonin e Sorato. A questa accusa vergognosa ho reagito senza la minima esitazione, costringendoli a ritirare le loro illazioni. Fu così che, probabilmente allo scopo di tenermi distante, mi mandarono a Palermo».
Lei comunque è entrato in rotta di collisione anche con i sindacati?
«Venivo accusato a mezza bocca di chissà quali coinvolgimenti, ma mi domando a quel punto se non fosse il sindacato a essere nella condizione di "non potere non sapere". Considerato che, per esempio, la Fabi, che tanto si è distinta in questo periodo contro l'operato del vecchio management, ha oltre 500 iscritti nella sola provincia di Vicenza, la maggior parte dei quali direttori di filiale, capi area e dirigenti».

FARE ORDINE Sì, però, Iorio la manda comunque a fare ordine in Banca Nuova.
«A Palermo mi hanno lasciato solo tra due fuochi: da una parte Iorio, che non faceva nulla per sostenere la mia azione nel segno della discontinuità; dall'altra i consiglieri siciliani sia in Banca Nuova che in Bpvi, i quali a ogni occasione mi attaccavano e tentavano di mettermi in difficoltà. Da quando ho messo piede a Palermo, mi sono trovato contro i sindacati, contro cui ho dovuto reagire in sede giudiziaria, e il mio vice Lio. In risposta a tutte le mie segnalazioni e rilievi su dirigenti e amministratori mi sono sentito rispondere: "Ma tu ce la puoi fare senza di loro?». Nonostante ciò, ho fatto il mio dovere fino in fondo nella gestione del credito, dei rientri e dei recuperi».
E con Viola, reduce dai fasti di Bpm e Monte dei Paschi, che cos'è successo?
«Viola, nei miei confronti, è stato il peggiore di tutti. È intervenuto in un momento in cui si era consolidata la mia direzione in Sicilia. Mion e il professor Bragantini avevano cominciato a fare squadra e nel dicembre del 2016 mi confermarono la direzione di Banca Nuova. Bragantini mi aveva espressamente chiesto di occuparmi, senza vincolo alcuno, della fusione di Banca Nuova e Banca Apulia».
Un segno di fiducia, occuparsi di una fusione?

«Certo, ma in quel momento in cui pensavo di ritornare a fare il mio lavoro, è arrivato Viola e la prima cosa che ha detto è stato: "Ma Cauduro, lei come poteva non sapere!". Le mie spiegazioni date a voce e per iscritto non sono servite a nulla, addirittura Bragantini è stato costretto da Viola a cambiare atteggiamento nei miei confronti e da quel momento per me è stato un inferno. Sottoposto quotidianamente a tutte le più impensabili attività di stalking, che ho denunciato penalmente e civilmente, sia da parte di Bragantini che di Viola, i quali probabilmente avevano preso impegni con i sindacati e con i loro amici siciliani e dovevano farmi fuori a tutti i costi».
LA TELEFONATA DALLA BCE E come hanno fatto a farla fuori?
«Sono persino arrivati a pensare alla ristrutturazione di Banca Nuova, eliminando la direzione generale, pur di liberarsi di me e, dopo aver fatto pasticci da principianti, sono giunti a un licenziamento ritorsivo, denigratorio, che grida vendetta. Dopo avermi fatto una contestazione ridicola e dopo la mia replica si è giunti ad un licenziamento spedito il 23 giugno 2017 alle ore 12.27, cioè dopo aver ricevuto la telefonata da Francoforte che preannunciava, come avevo previsto e scritto in tempi non sospetti, che loro, per la Bce, non sarebbero riusciti a salvare la banca: la banca era insolvente e sarebbe stata posta in liquidazione. Così si sono affrettati a spedirmi la lettera, pur non avendo il potere di farlo. Ma dovevano farlo. Io spero che con Banca Intesa questo calvario sia finito e di riprendere il mio percorso professionale che dura da trent'anni e che, nonostante tutto, è stato un percorso netto e coerente».
Banca Intesa ha ricevuto un regalo o le è stato rifilato un bidone?
«Questa è un'operazione che porterà valore a Banca Intesa. In ogni caso penso che ormai questa fosse l'unica strada possibile. Resta la tristezza per aver perso una banca nella quale migliaia di persone hanno creduto e investito tempo e denaro. Sono però anche sicuro che Banca Intesa ha all'interno le professionalità per gestire al meglio questo momento, per valorizzare le persone, i clienti e il patrimonio di conoscenze di inestimabile valore della Vicenza».
E lei come ha reagito al licenziamento in articulo mortis?
«Mi sto difendendo».

Come finirà?
«Intanto le segnalo l'Ansa del 6 luglio: "L'ultimo atto di Viola: il licenziamento di Cauduro". Io avrei scritto: "L'unico atto di Viola: il licenziamento di Cauduro"».


Commenti

Inviato Giovedi 24 Agosto 2017 alle 20:18

Un pensiero a chi per servizio in azienda e' andato oltre il semplice dovere in servizio per 24 ore, sette giorni su sette disponibile per la vecchia dirigenza.
Sicuramente per diventere importanti o avere benefici, o riconoscenze, da come la vedo io, non bastava solo il proprio dovere?,
Gilu
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