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Roi, la Fondazione demolita e... violata. Per Gianni Zonin era una "emanazione", una garçonnière d'affari della BPVi dove Cauduro lo informa su baciate e fondi lussemburghesi

Di Giovanni Coviello (Direttore responsabile VicenzaPiù) Giovedi 3 Agosto 2017 alle 23:23 | 0 commenti

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Nell'interrogatorio del 22 marzo 2017 la Guardia di Finanza, davanti ai pm dell'indagine sul crac della ora fu Banca Popolare di Vicenza, Luigi Salvadori e Gianni Pipeschi, alla presenza del Col. Vincenzo Sciaraffa, Comandante Provinciale, e del Ten. Col. Fabio Dametto, Comandante del Nucleo di P.T., Gianni Zonin, in qualità di ex presidente della BPVi, viene sentito anche "in merito agli acquisti di azioni BPVi da parte della Fondazione Roi". Sulla vicenda complessiva della Roi questo mezzo, anche col libro dossier "Roi. La Fondazione demolita", sta fornendo da tempo molti altri elementi che meriterebbero attenzione non solo mediatica.

Tanto più che ben pochi media e colleghi hanno finora avuto la voglia (il coraggio e l'onestà intellettuale?) di occuparsene nonostante i danni milionari subiti dall'ente a cui il marchese Giuseppe Roi aveva affidato il compito, e un patrimonio immobiliare e mobiliare vicino ai cento milioni di euro, perché supportasse i musei civici cittadini ed in modo preponderante il Chiericati.
Abbiamo già pubblicato il verbale integrale di questo interrogatorio per renderlo noto ai lettori senza farlo raccontare, ed interpretare, solo parzialmente da media che in passato in quanto a trasparenza dell'informazione hanno brillato come l'ex presidente di BPVi e della Roi stessa nella gestione di banca e fondazione.

Con questo spirito, dopo aver a parte commentato i bilanci Roi dell'era zoniniana, che oggi prosegue con l'ex sindaco della Zonin spa, Andrea Valmarana, vice presidente e "nuovo" dominus di Contrà S. Marco, vi trascriviamo di seguito per comodità quanto riportato nel verbale sulla Fondazione stessa in cui, comunque e anche per questa vicenda, è chiara la strategia resa famosa dall'ex ministro Claudio Scaiola sommerso da fattacci, a suo favore, avvenuti, però, a sua insaputa.

Anche qui i "fattacci", cioè gli acquisti di azioni della BPVi, col presidente "doppio" ad "assistervi" da venditore e compratore, sarebbero partiti da un altro, Divo Gronchi, anche se sarebbe facile far notare come sarebbero poi continuati in maniera consistente anche quando Gronchi non c'era più.
Ma ecco la parte di verbale relativa in cui non cambiamo neanche la maiuscole e le minuscole né correggiamo piccoli errori di trascrizione, tanto per i commenti (e le correzioni delle frasi di Zonin) avremo tempo e li faremo in separata sede.
"Richiesto di riferire in merito agli acquisti di azioni BPVi da parte della FONDAZIONE ROI, ZONIN GIOVANNI dichiara
Preciso che il marchese in vita era socio della BPVi.
All'epoca degli acquisti di azioni BPVi da parte della FONDAZIONE ROI, nel consiglio di amministrazione facevano parte, oltre al sottoscritto, anche il Prof. BREGANZE ed il dott. GRONCHI.
Il Consiglio della Fondazione avevo dato incarico a GRONCHI di individuare i "migliori investimenti" per la FONDAZIONE, senza finalità speculativa e con un profilo di rischio basso, anche a costo di una redditività contenuta.
Nel periodo, per esempio, le azioni GENERALI davano meno garanzie rispetto alle azioni BPVi,
Aggiungo che la FONDAZIONE ROI era, di fatto, "una emanazione della BANCA", e le azione BPVi, all'epoca, erano "una garanzia. un investimento buono, valido e sicuro" in quanto si trattava di una Banca solida. Si trattava di un "investimento più che sicuro".
Le operazioni di acquisto sono state una iniziativa collettiva del Consiglio della Fondazione, condivisa da tutti e tre (ed anche dal quarto membro), Preciso che la FONDAZIONE ha partecipato anche agli aumenti di capitale 2013 e 2014.
Le operazioni hanno avuto un controvalore complessivo di circa trenta milioni di euro; non ricordo però, le date dei singoli acquisti, se non che l'operazione più consistente risale al 2009.
Il patrimonio della FONDAZIONE ROI ammontava, all'inizio della mia presidenza, a circa 80 mln di euro, suddiviso tra immobili e titoli.
Non sono in grado di riferire il precedente impiego delle risorse impiegate dalla FONDAZIONE per gli acquisti e sottoscrizioni di azioni BPVi compiute nel corso degli anni
".
Di quanto sopra ricordate la sostanza perché torneremo a brevissimo, ripetiamo dopo il commento ai bilanci in cui appare chiara la sequenza di acquisti dello "smemorato" Zonin, su dettagli importantissimi come la decisione di acquisto iniziale che sarebbe stata presa dal Cda all'unanimità ("Le operazioni di acquisto sono state una iniziativa collettiva del Consiglio della Fondazione, condivisa da tutti e tre (ed anche dal quarto membro)..." dopo che lo stesso "Consiglio della Fondazione aveva dato incarico a GRONCHI di individuare i "migliori investimenti" per la FONDAZIONE...".
Ma di quanto sopra, stasera ci limitiamo a sottolineare la frase già riportata: «la FONDAZIONE ROI era, di fatto, "una emanazione della BANCA"...»
Nel verbale del secondo interrogatorio a Zonin, quello del 24 marzo, anch'esso da noi già riportato integralmente per gli stessi motivi per i quali abbiamo pubblicato il primo, c'è un altro passaggio che "tocca" la Fondazione Roi, che allora era una Onlus che il marchese Roi non poteva immaginare come una... SIM (Società di Investimenti Mobiliari per giunta concentrati sulle azioni BPVi) e che avrebbe dovuto occuparsi solo e soprattutto di supportare le attività culturali del Chiericati.
Ecco il passaggio: "Richiesto di riferire circa il momento e le modalità con cui ha appreso dell'esistenza delle c.d. "operazioni baciate" e delle lettere di impegno al riacquisto e/o garanzia di rendimento, ZONIN GIOVANNI dichiara: con riferimento all'incontro con CAUDURO (Adriano Cauduro, ndr) presso la FONDAZIONE ROI confermo che costui, in quell'occasione, mi ha rappresentato l'esistenza delle lettere di impegno e l'esistenza di questioni attinenti ai Fondi lussemburghesi...".
Insomma Gianni Zonin, delegato Gronchi a (iniziare a) comprare azioni con l'assenso di tutto il cda, incluso il quarto membro (la dottoressa Elisa Avagnina del Comune di Vicenza che, lo ha dichiarato Jacopo Bulgarini d'Elci, ha riferito di essersi astenuta..?), considerava la Roi così tanto una "emanazione della BPVi" e non una Fondazione culturale da riceverci anche l'allora vice dg della banca Cauduro per essere lì informato su baciate, lettere di impegno al riacquisto delle azioni e, udite udite, di "questioni attinenti ai Fondi lussemburghesi"...
Ebbene ci piacerebbe sapere se Salvadori e Pipeschi abbiamo chiesto a Zonin, oltre a tante altre cose che stiamo chiedendo noi, perché, per parlare di questioni strategiche della Banca Popolare di Vicenza, Gianni Zonin sentisse la necessità di incontrare uomini chiave della dirigenza della banca non presso la sede naturale di Via Btg. Framarin (per tenerne all'oscuro chi? Per non avere testimoni?) ma presso la sua emanazione, la sua dependance, una sorta di "garconniere" di affari a cui aveva degradato la sede di contrà S. Marco 37 della Fondazione, che così non solo "demoliva" nelle sue consistenza ma violava nella sua essenza, quella culturale e mecenatesca del fondatore.


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