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Per salvare BPVi e Veneto Banca un miliardo da privati? Bruno Zago pronto a cercarlo di nuovo: se il sistema e le due banche lo vogliono sul serio e con "manager all'altezza"

Di Giovanni Coviello (Direttore responsabile VicenzaPiù) Domenica 28 Maggio 2017 alle 22:36 | 0 commenti

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Giorgio Barbieri sul Il Mattino di Padova e su altri quotidiani locali del gruppo Finegil Repubblica propone un'interessante intervista all'imprenditore trevigiano Bruno Zago, patron del gruppo ProGest, che nel 2016 era a capo a capo dell'associazione dei grandi soci di Veneto Banca e aveva lanciato la sfida per l'aumento di capitale da un miliardo, il cui flop aveva poi portato Atlante a impadronirsi della banca a 10 centesimi ad azione, prima di essere "scoraggiato", diciamo così, a portarla a termine insieme ai componenti della sua cordata da quell'Europa che oggi pretende che siano proprio i "privati" a immettere una cifra simile nelle due ex Popolari venete per consentirne poi la "ricapitalizzazione precauzionale" da parte dello Stato.

Se oggi lo stesso sottosgretario all'economia Pier Paolo Baretta rilancia insistentemente il suo appello - proposta (qui la prima volta che lo rese pubblico proprio a noi di VicenzaPiù a Roma il 21 febbraio scorso) a trovare uno zoccolo duro in Veneto per consentire il salvataggio delle due banche e assicurarne un ancoraggio all'area, l'intervista a Zago assume un significato particolare.

Lui sarebbe pronto a riprovarci sembra dire a Vastager, Bce, Banca d'Italia e Governo italiano ma "... Veneto Banca deve dimostrare di essere interessata a questo aiuto... al buio non si può far niente, ma sono ancora convinto che in Veneto i soldi si troverebbero... chi ora governa la banca deve essere chiaro e dimostrare di voler coinvolgere seriamente il territorio in questo salvataggio... ci deve essere uno sforzo di chiarezza e trasparenza da parte di chi oggi governa la banca. Un anno fa era ancora molto credibile un rilancio di Veneto Banca e Vicenza. Oggi le banche hanno perso tanto in reputazione, depositi, clienti...  oggi non c'è alternativa ad un intervento dello Stato. Con tempi fissati per l'uscita e manager all'altezza...».
Quindi per Zago, e come dargli torto, due sono le condizioni per cercare e trovare privati ancora disponibili a riaprire le borse: la volontà reale del sistema nel suo complesso a operare in trasparenza e la ricerca di manager adeguati, con ciò facendo capire che quelli che si sono succeduti a Gianni Zonin e Vincenzo Consoli non hanno fatto che peggiorare o, al massimo, "impaludare" la situazione.

Come d'altronde ha "sentenziato" per alcuni, i primi dell'era Francesco Iorio e Cristiano Carrus, il presidente dell'Acri Giuseppe Guzzetti, quando ha puntato il dito contro i "prospetti falsi" che sarebbero stati elaborati e firmati per portare, senza successo, le due banche in Borsa; come ha decretato per gran parte degli stessi, nella fase immediatamente successiva, Alessandro Penati, quando ha definito da horror story i loro nuovi conti dopo l'ingresso di Atlante; come dimostra l'evoluzione delle trattative degli ultimi messi in cui Fabrizio Viola e, al solito, Cristiano Carrus paiono contare come il due di picche.

Così poco che ieri ci veniva di scrivere provocatoriamnte "a ridatece Gianni Zonin" per la sua abilità nelle "pubbliche relazioni", usate, però, lo dicevamo utopisticamente ma chiaro e tondo, per il bene della banca e non dei amici suoi e del suo ego smisurato.

E oggi, un po' meno provocatoriamente, visto il... basso profilo tecnico diplomatico dei due cda attuali a guida Gianni Mion e Massimo Lanza (che stanno alla autorità regolatorie italiane e europee come Pier Carlo Padoan e Paolo Gentiloni stanno a Angela Merkel e Wolfgang Schäuble) aggiungiamo, udite udie, che Banca d'Italia ci aveva visto in gran parte giusto quando voleva la fusione di BPVi e Veneto Banca facendo un solo, piccolo... errore.

Palazzo Koch, per incoffessabili ma sempre più chiari motici, voleva Zonin "capo assoluot" e unico e voleva far fuori Vincenzo Consoli, colui che, nonostante Bankitalia, aveva condotto Veneto Banca a superare tecnicamente e con le sue forze lo stress test della BCE, a diffenza del gambellarese che lo aveva superato quel test, l'unico fatto certo quando si confrontano le gestioni dei due Istituti, proprio e solo grazie all'uso delle sue arti diplomatiche che gli avevano fatto ottenere l'ok alla riconsiderazione dei calcoli con la concessione notturna e domenicale, dopo la bocciatura del giorno prima, di 250 milioni di euro di obbligazioni.

Noi, al posto di Ignazio Visco, avremmo affidato a Vincenzo Consoli, sotto veri controlli di Bankitalia e Consob, quelli mai effettuati con trasparenza e obiettività da questi enti, la guida tecnica delle due banche e avremmo incaricato Gianni Zonin delle pubbliche relazioni col vantaggio, indotto, di poter anche risparmiare sui vini con cui innaffiare le trattative.

Ma noi non siamo Visco e il progetto di fusione è andato come è andato.

E, purtoppo, Bruno Zago non frequenta i salotti in cui si riuniscono i banchieri e gli imprenditori (?) del sistema, per cui il suo progetto di finanziamento andrà come è scritto...   

 

Zago: «Pronto a fare un ultimo tentativo ma serve chiarezza» 

di Giorgio Barbieri, da Il Mattino di Padova

«Oggi vogliono un miliardo di euro dai privati. Un anno fa hanno invece fermato chi cercava di raccogliere quel denaro. Se ci avessero lasciato fare probabilmente non saremmo arrivati a questo punto».

Ne è convinto l'imprenditore trevigiano Bruno Zago, patron del gruppo ProGest, che nel 2016 era a capo a capo dell'associazione dei grandi soci di Veneto Banca e aveva lanciato la sfida per l'aumento di capitale da un miliardo.

Fino a quando, racconta, «mi è stato fatto elegantemente capire che era meglio che lasciassi perdere e che non mi immischiassi ulteriormente. Abbiamo poi visto come sono andate le cose. Io comunque sono pronto a mettermi in prima linea per garantire a questo territorio la presenza di banche importanti. E sono convinto che non sarei l'unico. Ma Veneto Banca deve dimostrare di essere interessata a questo aiuto».

Sulle ex popolari venete è in corso un duro scontro con Bruxelles. Ha la sensazione che per Veneto Banca e Popolare di Vicenza siamo ormai arrivati ai titoli di coda?

«L'Unione europea ha ragione a volere un miliardo di euro dai privati. Per due motivi: il primo perché se i privati investono vuol dire che ritengono che la banca possa stare sul mercato, il secondo perché legherebbe nuovamente la banca al suo territorio. Lascia invece l'amaro in bocca il fatto che un anno fa abbiano fermato chi, come il sottoscritto, si era speso per raccogliere quel miliardo. Se ci avessero lasciato fare forse non saremmo a questo punto. Ma ora bisogna guardare al futuro e cercare di salvare questi due istituti. Al buio non si può far niente, ma sono ancora convinto che in Veneto i soldi si troverebbero».

Crede dunque che il territorio sia in grado di mettere a disposizione il denaro richiesto dalla Ue?

«Sono convinto che diversi imprenditori sarebbero ancora disponibili a spendersi in prima persona. Ma chi ora governa la banca deve essere chiaro e dimostrare di voler coinvolgere seriamente il territorio in questo salvataggio. Altrimenti, se non si trovano questi soldi, è giusto che la banca fallisca. Ma sarebbe una cosa gravissima per tutto il Veneto e le sue tante imprese».

Ma che cosa è cambiato nel corso di questo anno?

«Se un anno fa non si sapeva nulla, oggi si sa ancora meno. E in queste condizioni non si può chiedere agli imprenditori di investire. In questo senso ci deve essere uno sforzo di chiarezza e trasparenza da parte di chi oggi governa la banca. Un anno fa era ancora molto credibile un rilancio di Veneto Banca e Vicenza. Oggi le banche hanno perso tanto in reputazione, depositi, clienti. Ci sono moltissime cause, contenziosi. E i costi sono sempre alti. Il rilancio doveva essere gestito in maniera molto diversa. Poi tutto si può ancora fare, anche trovare un miliardo di capitali privati per le due Popolari. Ma, ripeto, ci vuole maggiore chiarezza».

Che cosa non ha funzionato un anno fa, quando lei era a caccia di investimenti privati?

«Un anno fa mi è stato fatto elegantemente capire che era meglio che mi fermassi. In realtà se ci avessero dato più tempo ce l'avremmo fatta. Ma la Banca centrale europea e la Banca d'Italia volevano davvero che arrivassero i privati nelle Popolari venete? È una domanda che ancora oggi continuo a farmi. La Consob mi ha fatto capire che rompevo un po' le scatole a loro, e loro hanno cercato di dirmi di stare tranquillo. Comunque continuo ancora a credere ad una grande banca del Veneto».

Poi è invece arrivato il fondo Atlante che rischia di bruciare 3,5 miliardi di euro.

«Di sicuro navigava in acque migliori di adesso. Ma oggi non c'è alternativa ad un intervento dello Stato. Con tempi fissati per l'uscita e manager all'altezza. L'errore vero sono questi tempi così lunghi, a Bruxelles tirano avanti in maniera impressionante».

Con il rischio concreto di un fallimento.

«Se non si troveranno privati disposti a investire un miliardo di euro il significato è uno solo: che le due ex popolari non stanno in piedi. E se non stanno in piedi bisogna anche entrare nell'ottica che sarebbe giusto lasciarle fallire. Sono pronto a fare un ultimo tentativo, e non sono l'unico, ma ci vuole chiarezza da parte di tutte le parti in causa».


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