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Gianni Zonin in lacrime con Ferruccio de Bortoli. Ma non con 118.000 soci della BPVi beffati

Di Giovanni Coviello (Direttore responsabile VicenzaPiù) Sabato 16 Luglio 2016 alle 14:47 | 1 commenti

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Mercoledì 13 luglio Il Corriere della Sera nella rubrica "Interventi e repliche" ha dato spazio a un intervento a nome di Gianni Zonin e a firma dei suoi avvocati "Prof. avv. Enrico Mario Ambrosetti, avv. Nerio Diodà" che faceva riferimento a un articolo di Ferruccio de Bortoli in prima pagina intitolato "Perché le banche ci fanno soffrire" (lo pubblichiamo integralmente a seguire**) e in cui il nome del viticoltore di Gambellara prestato alla finanza che da Vicenza voleva conquistare il mondo era fatto una sola, significativa volta così: «La governance degli istituti bancari italiani non è impeccabile. Gli scandali e le cattive gestioni che si sono succeduti in questi anni sono sempre stati il prodotto di uomini lasciati troppo soli al comando. E qualche volta osannati anziché controllati da chi era deputato a farlo. La sequenza è così folta, da Fiorani a Sonzogni, da Mussari a Zonin, da Berneschi a Faenza, da Bianconi a Consoli, da non escludere una debolezza sistemica della governance...».

Ignorando la vecchia consuetudine di politici, più... riservati, della sua età per i quali una smentita spesso è più di una conferma o mal consigliato (come, si dice, sosterrà nella sua linea difensiva processuale se e quando a processo si arriverà) Gianni Zonin non ha resistito (a seguire il testo completo*).

E ha reagito, non si sa bene se per il peso della firma o per dare almeno uno schiaffo stizzito e indiretto ai tanti altri colleghi a cui ancora ribadisce di non voler rispondere e che, esclusi quelli "confindustriali" di Vicenza e inclusi anche commentatori statunitensi, hanno argomentato con fatti sulle sue azioni che Ferruccio de Bortoli ha magicamente sintetizzato nell'accostare il suo ai vari nomi dell'elenco di «uomini lasciati troppo soli al comando. E qualche volta osannati anziché controllati da chi era deputato a farlo».

A Ferruccio de Bortoli, almeno a lui dice, l'ex presidente della Banca Popolare di Vicenza chiede, quindi, il rispetto delle procedure di legge e l'attesa delle conclusioni legali prima di trarne altre, quelle comportamentali o "etiche, tanto care al suo amico e sodale Giuseppe Zigliotto.

Dopo il mandato ventennala conferitogli con l'esito che conosciamo dal popolo vicentino sette volte in sette elezioni del Cda osannante, una parte per gli interessi personali, una parte più numerosa per l'atavica genuflessione verso i potenti di turno e la parte restante, decine di migliaia di piccoli e medi soci, gli unici veramente meritevoli di umana "pietas" (e di bancari rimborsi), per l'ignoranza, in cui li ha tenuti durante il suo regno il sistema politico-economico e mediatico locale, da lui... affascinato, per la prima volta, rivolgendosi, almeno noi diciamo, a Ferruccio de Bortoli, Gianni Zonin sostiene che «la storia della Banca Popolare di Vicenza è ancora tutta da scrivere e che, soprattutto, la responsabilità, prima di tutto professionale e poi penale del singoli deve, in un Paese civile, essere accertata con criteri di serietà e di completezza e non può essere decisa, a priori, da nessuno...».

Dopo questa affermazione non possiamo non sperare che ne tragga le dovute conseguenze anche Antonino Cappelleri, il procuratore capo di Vicenza, al quale compete il compito di verificare e chiedere quanto prima al Gip di accertare «la responsabilità, prima di tutto professionale e poi penale del singoli» che, in un Paese civile dice Zonin, deve «essere accertata con criteri di serietà e di completezza».

Nell'attesa, dovuta, di questo passaggio fondamentale, che al danno dei soci truffati aggiungerebbe la beffa dei pregiudizii contro il povero ex presidente, come si fa a non apprezzare Ferruccio de Bortoli che, tramite i professori avvocati che tutelano lui e non i soci espropriati dei loro risparmi, risponde in maniera sarcastica e anomala, con una domanda cioè, a Gianni Zonin: «un esame di coscienza quando?».


*Da Il Corriere della Sera del 13 luglio

INTERVENTI E REPLICHE

Banche: Zonin e la Popolare di Vicenza

Il dott. Zonin desidera esprimere una ferma protesta per le modalità con le quali, nell'articolo «Perché le banche ci fanno soffrire» di Ferruccio de Bortoli (Corriere, 10 luglio), il suo nome è stato introdotto nella «folta» schiera di banchieri legati «in questi anni» a «scandali e cattive gestioni» degli istituti bancari Italiani. Finora il dott. Zonin ha ritenuto, nonostante le numerose richieste della stampa e della televisione, di non rilasciare alcuna dichiarazione o intervista per rispetto delle ìndagini dell'autorità giudiziaria e degli organismi di vigilanza. Purtroppo, deve prendere atto che, per la stragrande maggioranza dell'opinione pubblica il processo nei suoi confronti si è già concluso con una sentenza di condanna con il metodo del «linciaggio mediatico». Il dott. Zonin, peraltro, confidava che, almeno un giornalista della esperienza e del valore di de Bortoli, non potesse ignorare, diversamente da quanti vengono manipolati e disinformati da parte di persone interessate a promuovere solo se stesse, che la storia della Banca Popolare di Vicenza è ancora tutta da scrivere e che, soprattutto, la responsabilità, prima di tutto professionale e poi penale del singoli deve, in un Paese civile, essere accertata con criteri di serietà e di completezza e non può essere decisa, a priori, da nessuno. Infine, il dott. Zonin si permette di rilevare che nell'articolo sono state citate persone con storie completamente diverse fra loro e, soprattutto, sono stati accostati al suo nome soggetti (non tutti) già giudicati e condannati nelle varie sedi civili, amministrative e penali. A nostra volta, auspichiamo che la prima «riflessione comune. aperta e sincera» suggerita da de Bortoli, che certamente tutti dovremmo fare. sia quella per la quale prima si devono accertare i fatti, poi si devono attribuire le responsabilità e, infine, deve essere punito chi è stato riconosciuto responsabile.

Prof. avv. Enrico Mario Ambrosetti, avv. Nerio Diodà

Risposta di de Bortoli: Un esame di coscienza quando? (fdb}

 

**Da Il Corriere della Sera del 10 luglio

Perché le banche ci fanno soffrire

di Ferruccio de Bortoli

C'è sicuramente un po' di esagerazione e strumentalità nel modo in cui la stampa estera parla delle banche italiane. Conoscendo i misfatti di grandi istituti internazionali (lo scandalo della manipolazione del tasso interbancario libor, per esempio), alcuni giudizi sono decisamente stonati. Analisi impietose confondono i tanti che nell'esercizio del credito fanno bene il loro mestiere, con i pochi che hanno infranto regole o dimostrato imperizia colpevole. Ma l'immagine all'estero, salvo poche eccezioni, è purtroppo questa. La stessa copertina dell'Economist, con quella sgangherata corriera tricolore sull'orlo del precipizio e il titolo Italian Job, affare italiano, non fa certamente piacere nonostante il settimanale sostenga, sulla materia, le ragioni del nostro governo in Europa. Possiamo chiedere a Handelsblatt, severissimo, di applicare lo stesso metro di giudizio a Deutsche Bank, che «riposa» su una quantità stratosferica di derivati, 14 volte il prodotto interno lordo della Germania. Il dissesto della Landesbank di Brema è un'altra spia della fragilità del sistema tedesco. Ma la realtà non cambia. Per salvare Monte Paschi di Siena - che, ricordiamo, oggi è in utile - liberare gli istituti dal peso dei crediti in sofferenza, mettere in condizione il sistema, anche con denaro pubblico, di affrontare al meglio i prossimi esami della Bce (gli stress test), bisognerà trattare a Bruxelles e a Francoforte con chi nutre nei nostri confronti sentimenti non diversi Una riflessione sulle banche per evitare altre sofferenze di Ferruccio de Bortoli SEGUE DALLA PRIMA Nel suo appassionato discorso all'ultima assemblea dell'Abi, l'associazione delle banche, il presidente Antonio Patuelli, ha denunciato l'incostituzionalità del cosiddetto bail in . Ovvero le norme che subordinano un eventuale intervento statale a una perdita di valore, nell'ordine, per azionisti, obbligazionisti subordinati e senior e, se non bastasse, i correntisti con più di 100 mila euro. Il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, ha ribadito le sue critiche alla normativa europea scritta su misura dei più forti, ovvero i tedeschi. Ha ridimensionato il problema dei crediti deteriorati. Quelli in sofferenza ammontano a 87 miliardi, al netto delle svalutazioni, di cui 50 coperti da garanzie reali. Tutto giusto. Ma rimane il piccolo particolare che le abbiamo condivise anche noi le nuove regole, peraltro applicate, con perdite per gli azionisti e obbligazionisti, in numerosi altri Paesi. Questo fuoco di fila di eccezioni andava sollevato per tempo. Invece, come accade sovente in Italia, norme comunitarie sono entrate nel nostro ordinamento giuridico nel disinteresse generale quando non nella colpevole disattenzione. Noi giornalisti abbiamo le nostre responsabilità. Il cane, o il cucciolo da guardia del potere, si era assopito. Il premier Renzi ha detto a Porta a Porta che la normativa sul bail in gli è «arrivata cotta e mangiata». E ha aggiunto, in questi giorni, che gli errori sono stati compiuti dai suoi predecessori. Sicuro che non avrebbe potuto bloccarla nel febbraio 2014? Conoscere l'identità dei cucinieri distratti sarebbe opportuno. Un po' di chiarezza, con qualche coraggiosa ammissione di responsabilità, non costituirebbe un gesto doveroso nei confronti di risparmiatori e investitori? Non avrebbe una funzione preventiva per evitare futuri errori? L'economista Nicolas Véron, intervistato ieri sul Corriere da Federico Fubini, ha accusato l'Italia di aver «posposto troppo a lungo» i problemi bancari nel 2014 e nel 2015. Il peggior difetto della classe dirigente italiana è il conformismo autoassolutorio. La vicenda bancaria ne è una prova. Dopo la crisi dei subprime del 2008 (il crollo dei fondi immobiliari oggi suona sinistramente simile), le reazioni dei governi sono state diverse. Molte tempestive e adeguate. Gli americani hanno usato fondi pubblici per salvare i loro istituti. Così è stato nel mondo anglosassone. I tedeschi lo hanno fatto a piene mani (447 miliardi) finché le regole europee glielo hanno consentito e persino oltre. Gli spagnoli si sono affidati al fondo europeo. Cioè hanno messo a posto le loro banche anche con soldi nostri. Una beffa se si pensa che i guai di Monte Paschi nascono dal folle acquisto, nel 2007 per nove miliardi, di Antonveneta da Santander! Ci siamo cullati nella retorica nazionalista che le nostre banche, non avendo esagerato con i derivati, fossero immuni. Ma il sistema non era immune dall'eccesso di credito, elargito con generosità prociclica, soprattutto nell'immobiliare, nei momenti in cui la prudenza non avrebbe fatto difetto. Dal 2008 a oggi l'Italia ha perso un decimo del reddito e un quarto della produzione. Ciò spiega la crescita delle sofferenze, ma non giustifica tutti i comportamenti. Non assolve consiglieri e dirigenti che hanno dato soldi alle persone sbagliate con garanzie insufficienti o non si sono accorti della montagna di non performing loans che cresceva nei propri bilanci. O hanno coltivato qualche conflitto d'interesse di troppo. Un esempio fra i tanti: nel bilancio del 2002 del Monte Paschi, a pagina 157, si leggeva che i crediti a favore di amministratori della banca o di loro società erano stati pari a 2,7 miliardi. La lunga recessione non è un'attenuante per chi ha scommesso, sbagliando, su una ripresa annunciata come robusta e che avrebbe risolto il problema con un'espansione delle attività. E tanto valeva, nell'attesa, sottostimare o nascondere un po' di polvere sotto i tappeti. I requisiti patrimoniali richiesti dalla Bce sono certamente draconiani e a volte inspiegabili, ma è pur vero che l'ansia di adeguarli ha finito per spingere diversi operatori, nel silenzio delle autorità di regolazione, a infilare nelle tasche di ignari risparmiatori obbligazioni strutturate rischiose, come è accaduto per le quattro banche salvate lo scorso anno. Il caso più clamoroso è quello dei titoli Monte Paschi in scadenza nel 2018 con tranche minime da mille euro. Il continuo aumento degli accantonamenti, oltre ad essere un segno di cautela, ha mostrato la difficoltà di valutare correttamente le sofferenze. La governance degli istituti bancari italiani non è impeccabile. Gli scandali e le cattive gestioni che si sono succeduti in questi anni sono sempre stati il prodotto di uomini lasciati troppo soli al comando. E qualche volta osannati anziché controllati da chi era deputato a farlo. La sequenza è così folta, da Fiorani a Sonzogni, da Mussari a Zonin, da Berneschi a Faenza, da Bianconi a Consoli, da non escludere una debolezza sistemica della governance . Ruoli svolti male da presidenti, consigli, amministratori indipendenti, sindaci. Le eccezioni sono troppe. Una riflessione comune, aperta e sincera, non guasterebbe. Rinchiudersi nei recinti corporativi o agitare la bandiera degli interessi nazionali, guardando l'erba del vicino che non è più verde della nostra, non serve a nulla. E non ci risparmia da sofferenze future.


Commenti

Inviato Sabato 16 Luglio 2016 alle 18:28

Uomini lasciati troppo soli al comando ?
Sarebbe, dunque, questa la causa del disastro, ma un po' di pudore per le migliaia di "gabbati".
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