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BPVi e Veneto Banca: un'analisi fredda di un salvataggio inutile, se non dannoso. Consob e Bankitalia dove e con chi erano?

Di Giovanni Coviello (Direttore responsabile VicenzaPiù) Sabato 10 Giugno 2017 alle 23:52 | 0 commenti

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Sarebbe in corso da parte di Intesa e di Unicredit, su sollecitazioni del governo, un tentativo per "raccogliere" insieme alle altre banche di riferimento il miliardo e passa di euro da parte di investitori "privati", la cifra preventiva che Margrethe Vestager vuole sul tavolo come condizione per poi consentire il, presunto, "salvataggio" della Banca Popolare di Vicenza e di Veneto Banca con la loro "ricapitalizzazione precauzionale" per altri 4 miliardi e "spiccioli" a carico dello Stato. L'operazione appare difficile da attuare, soprattutto per Unicredit, reduce da un mega aumento di capitale da 13 miliardi per impostare la soluzione dei suoi problemi.

E non a caso a fronte della forzatura in corso più volte le banche che già hanno perso miliardi nell'operazione Atlante hanno da tempo manifestato la loro resistenza a parte qualche più recente dichiarazione di disponibilità anche se politica, di maniera e di comodo e con molti "se" a precisarla

A poco, potrebbero, quindi, valere i tentativi del Ministero dell'Economia di proporre, in contemporanea con un investimento nelle banche venete, regimi fiscali favorevoli per le banche (vedere Il Sole 24 ore del 9 giugno).  Se non ci sono utili, non si recupera alcunché.

In ogni caso, tenuto conto del loro stato le due banche sono pressoché morte. All'immobilismo completo in attesa dell'improbabile salvataggio da una "bancarotta" di fatto in corso ma non dichiarata, tanto da far tornare più forti le voci delle dimissioni imminenti e in blocco dei due Cda, con in testa Gianni Mion, Fabrizio Viola, Massimo Lanza e Cristiano Carrus, altrimenti penalmente perseguibili, si aggiungono i residui depositi in fuga continua, impieghi nuovi molto scarsi, filiali sempre eccessive e personale del tutto esuberante, cassa, si legge, per solo un mese nonostante gli oltre dieci miliardi di bond emessi con garanzia statale.

Qualsiasi ulteriore inserimento di denaro in questo quadro parrebbe destinato ad essere bruciato, come è stato per i 3.5 miliardi immessi nel pozzo di S. Patrizio dei buchi neri nati con i precedenti Cda, complice, per non parlare della Consob, una vigilanza di Bankitalia colpevolmente tollerante con i vicentini e catastrofica per i montebellunesi e gonfiati da quelli dell'epoca del Fondo Atlante, che chissà poi perché avrebbe potuto e dovuto rendere il 6% promesso da Alessandro Penati.

Se il professore, presidente di Quaestio Sgr, a cui fa capo Atlante, ha confermato con le sue poco lungimiranti promesse che in Italia i prof, qualcuno ricorda il professor Mario Monti?, ci prendono ben poco quando dalle loro cattedre scendono nella vita reale, ora mancano i depositi, e soprattutto la fiducia, nelle due banche, i cui prospetti presentati a Bankitalia (e di fatto a Penati) e approvati da Consob sono stati denunciati un mese fa dal guru della finanza italiana Giuseppe Guzzetti come "falsi", senza che nulla sia successo, fatto di una gravità inaudita rispetto alla quale vale meno di zero la disputa tra Vicenza e Milano sulla competenza territoriale per un filone delle indagini sulla BPVi che, invece, ha riempito le pagine dei media.

Se, quindi, l'unico vero patrimonio di una banca, la fiducia, è stato dissipato, questo di sicuro è dovuto  a quanto  è accaduto nell'era targata Gianni Zonin (su Vincenzo Consoli da tempo ci viene di sospendere il giudizio definitivo finché non sarà chiarito, se mai lo sarà, il ruolo del governatore di Banca d'Italia, Ignazio Visco, e del responsabile della vigilanza di Palazzo Koch, Carmelo Barbagallo, entrambi troppo "estimatori" del presidente della BPVi per sembrare ultra critici a ragione dell'Ad di Veneto Banca).

Ma il flop di fiducia è stato generato, poi e anche, se non soprattutto, da quanto è accaduto e "non" accaduto nell'era di Francesco Iorio e Stefano Dolcetta a Vicenza e in quella che a Montebelluna ha Cristiano Carrus come costante protagonista in una serie da record di Cda diversi, che cambiavano come a Palermo Zamparini cambiava i suoi allenatori, altro fatto gravissimo in una banca.

A generare questo clima di sfiducia si aggiungono i tentennamenti per l'azione di responsabilità, attivata solo da poco per la Banca Popolare di Vicenza per due miliardi di danni (comunque tardiva e parziale visto che, almeno al momento, ha escluso la società di revisione), ma ancora non formalizzata da Montebelluna, anche se deliberata prima che a Vicenza, perché, dicono i rumors che amplificano i dubbi sull'equità di Bankitalia, di responsabilità effettive e delle dimensioni di quelle di Zonin & c. si farebbe fatica a trovare traccia reale nel trevigiano.

Con tutti questi dati e segnali di scarsa volontà e incapacità di intervenire alla radice dei problemi delle due ex Popolari, ormai incancreniti da un presente che con i suoi ritardi contraddice la prima regola della finanza, la rapidità di decisione e intervento, chi potrà mai fidarsi di queste banche e che senso, oltre quello "politico", avrebbe, quindi, bruciare altre risorse per salvare due contenitori vuoti di tutto anche se, purtroppo, ancora pieni di personale? 
In questo quadro il procuratore capo di Vicenza, Antonino Cappelleri, che Il Corriere della Sera nella sua edizione locale, Il Corriere del Veneto, ha paragonato a un bradipo per giunta azzoppato a fronte della Procura di Roma che, "arieccoce" direbbero da quelle parti, su e contro Consoli ha fatto tutto e più rapidamente, si è  improvvisamente svegliato dal suo torpore solo per cercare di mantenere le indagini a Vicenza.

Eppure tutti, o quasi tutti, Achille Variati escluso, che mai si è sognato di fare il nome di Gianni Zonin fra i possibili responsabili, neanche fosse un dio di cui non nominare il nome invano, non possono che avere a questo punto più fiducia in Milano che in Vicenza, per quel poco che potrà fare di realmente incisivo un eventuale processo nato già come destinato alla prescrizione, se i reati per il crac locale rimarranno quelli ipotizzabili per un mal di pancia generato da un vasetto di Nutella avariato.
Può dare fiducia tutto ciò a chi dovrebbe metterci altri soldi (miliardi e miliardi) nelle due banche ormai azzerate, per un motivo e per l'altro, per il passato vecchio e per quello più recente, che non ha gestito un presente né, tanto meno, messo le basi per un futuro?

Si è perso tutto, soldi, credibilità, e fiducia e allora non si mettano più soldi in queste due banche, che sono ormai contenitori vuoti di operatività ma pieni di buchi neri infiniti, e che, tra l'altro se statalizzate, sarebbero date in pasto a sciacallesche spartizioni politiche.
Ma di soldi se ne raccolgano il più possibile e si trovi il meccanismo per darli direttamente ai dipendenti, che comunque un intervento inefficace oggi espellerebbe per sempre domani (dobbiamo fare esempi?) e ai soci ancora sanguinanti perché li reimmettano nel circuito economico del loro territorio.

E i soldi vengano dati a ogni singolo territorio facendo transitare i crediti concessi ai loro residenti, privati o attività imprenditoriali che siano, nelle banche, Intesa in primis, che del disastro vicentino e montebellunese hanno goduto.
In tutti i sensi.

È  questa un'analisi fredda?

Forse, ma è meglio fare un'analisi fredda oggi da cui ripartire con decisione verso un futuro duro ma realizzabile piuttosto che continuare a non farne e tappare col cartone falle in pareti di una nave schiacciata tra la roccia su cui l'ha fatta arenare lo Schettino di turno, dopo il suo inchino ai potenti, locali e foresti, della mala politica e della peggiore finanza speculativa, e l'oceano in tempesta della crisi del sistema bancario italiano.

Se dalle nostre parti la "Concordia" insalvabile è la Banca Popolare di Vicenza, sarà anche impossibile salvare il sistema bancario italiano se alla beffa della sua crisi, nei confronti dei risparmiatori, dei clienti e dei dìpendenti, si aggiungerà il danno dell'impunità per chi non ha saputo o voluto controllare: la Consob e, soprattutto, Banca d'Italia che sono spesso spettatori impotenti quando non moltiplicatori (ir)responsabili della crisi del sistema Italia.


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