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Cristiano Carrus porta nelle fauci della sdentata BPVi i resti di Veneto Banca: BankItalia dixit. Intanto l'Europa prepara il test "nucleare" del bail-in in Veneto

Di Giovanni Coviello (Direttore responsabile VicenzaPiù) Martedi 28 Marzo 2017 alle 00:43 | 0 commenti

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Leggiamo e rileggiamo da cronisti, anche se sarebbe pericoloso, ci dicono, le vecchie e le ultime vicende delle due ex Popolari Venete, la Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca, dimenticandoci per un attimo dei loro 206.000 soci, tanto nel passato se ne sono dimenticati in tanti, chi più chi meno, dai gestori ai regolatori fino ai controllori delle due banche. In un passato che oggi sembra lontanissimo, da inizio 2013, gli archivi dei giornali e un po' di auto-immodesta-memoria del nostro, ci ricordano come Banca d'Italia con ogni mezzo proprio e con molti "supporti" esterni (a BankItalia ma non al "sistema" di potere che esprime o che la esprime) spingesse non verso una fusione bilanciata tra i due istituti veneti ma verso la banca unica a trazione Gianni Zonin.

Se oggi il 70% del "perimetro" (che parola squallida) dell'Offerta Pubblica di Transazione (94.000 soci "vicentini" e 75.000 "montebellunesi") è mantenuto in coma farmacologico grazie a una trasfusione di solo il 15% del sangue versato, quanto fosse irresponsabile quella linea ce lo ha appena spiegato Gianni Zonin nei suoi due interrogatori in cui, in pratica, si dichiara incapace di "intendere e volere" per la gestione della sua banca, tutta in mano, fino all'ultima delle donne di pulizia, immaginarsi poi per strategie e fusioni, a quei due grandi banchieri che sono stati, lo ha certificato il re del vino, Samuele Sorato ed Emanuele Giustini.

Se qualcuno, tra Antonino Cappelleri, Luigi Salvadori e Gianni Pipeschi e poi i giudici che valuteranno le prove finchè "prescrizione" non intervenga, crederà alla sua versione, escludendo che sia nata dai fumi senili del suo vino, gambellarese o americano che sia, pensate che figuraccia ci farebbero i vertici di Palazzo Koch a Roma, goverantore Ignazio Visco e capo del dipartimento di vigilanza bancaria e finanziaria Carmelo Barbagallo.

Loro di certo non disapprovarono nè la spettacolare perquisizione della Guardia di Finanza che a febbraio 2015 bloccò addirittura la strada statale Feltrina sud per setacciare ogni angolo della direzione generale di Veneto Banca, nè quella molto più financially correct di giugno 2016 quando, come giustamente chiesto dal procuratore capo di Vicenza il giorno dopo il, fantasioso?, accordo con Unicredit per la sparita garanzia del mai avvenuto collocamento in borsa di BPVi, i finanzieri entrarono discretamente nella sede centrale della Popolare vicentina senza neanche far spostare le biciclette parcheggiate nella comunale Via Btg. Framarin quando ne uscirono con qualche scatolone portato via a mano.

E sempre i vertici della nostra banca di "bandiera" di certo non contrastarono nè il trasferimento delle indagini sulla popolare montebellunese presso la più vicina, e rapida, procura romana, nè il mantenimento di quelle vicentine presso il tribunale locale costruito a Borgo Berga, l'area che, tragicomica ironia della sorte, lo stesso procuratore vicentino ha chiesto che venga sequestrata e "demolita" in quanto totalemente illegale...

Se tutte queste, piccole e marginali, memorie si presterebbero già per un cinepanettone, sia pure di  cattivo o amaro gusto fate voi, gli ultimi eventi Alessandro Penati, il regista di Quaestio sgr e fondo Atlante, li ha già etichettati come una "horror story".

In cui il fondo ha preso, non abbastanza, soldi da banche e istituzioni finanziarie italiane, tra cui Cassa Depositi e Prestiti, che gestisce, per quanto tempo ancora di questo passo?, i risparmi dei risparmiatori postali, per "gettarli" nelle due banche senza estinguerne la sete di denaro, che dovrà ora arrivare per una cifra quasi doppia se non tripla ammesso sempre che basti.

A che poi non si sa visto che le due banche, dopo gli eventi in premessa, quelli di cui sono responsabili a danno dei soci e del territorio, chi più chi meno, i gestori, i regolatori e i controllori, sono state svuotate nel frattempo del loro residuo valore, la fiducia e, di conseguenza, la raccolta passata per venti miliardi circa in casse ben più accoglienti a tranquillizzanti come quelle di Intesa.

Ma per sceneggiare l'horror story sono stati messi in campo dalla Banca Popolare di Vicenza Francesco Iorio, prima che lo "espellesse" un vero manager bancario, Fabrizio Viola, e da Veneto Banca Cristiano Carrus.

Iorio ha fatto il suo nel far guadagnare tempo ai... ritardi (anche legali) e per tradire, non si capisce ancora se per insipienza di Zonin nella sua ultima scelta di un dg/ad o per disegni ancora imprescrutabili, le residue speranze dei soci promettendo improbabili risanamenti e rapidi qunto incredibili ritorni agli utili, per ciò premiato da una pantagruelica buonentrata e una folle buonuscita. Carrus si è messo davanti ai buoi e sta ancora facendo il suo, perchè, esautorato nei fatti e nella sostanza da Viola, il futuro amministratore delegato unico delle due popolari, se la UE ne consentirà salvataggio e fusione, l'attuale ad virtuale sta completando quello che, traducendo i rumors che provengono dalla rete della banca montebellunese, appare il suo definitivo affossamento funzionale alla subalternità ai cocci della BPVi.

Se Francesco Iorio, almeno e anche se non si sa se per deferenza verso chi l'aveva ingaggiato o per un barlume di intelligenza manageriale, non si lanciò in un'opera, sadomaso, di "sputtanamento" dei vertici precedenti, già sputtanati di proprio, Carrus a dispetto del suo nome, Cristiano, della memoria e dell'evidenziazione degli errori del passato ha fatto il suo must quotidiano allontanando ancora di più, per quanto fosse possibile, i vecchi clienti, e, dicono i rumors, poco interessandosi di recuperare sul territorio il recuperabile.

Non parrebbe, quindi, un caso che i numeri fino a poco tempo fa ancora a vantaggio di Veneto Banca rispetto alla Banca Popolare di Vicenza (da perdite inferiori a rating meno peggiori) si stiano gradualmente deteriorando sempre di più.

E anche in questo caso, per chiudere il cerchio che si sta tracciando dal 2013, parrebbe che Banca d'Italia non ne sia scontenta.

Perchè, palazzo Koch lo disse, se fusione va fatta è quella di Montebelluna "in" Vicenza.

Peccato solo che oggi a fondersi siano due ologrammi di banche prima svuotate, chi più chi meno, dai loro gestori, regolatori e controllori, e distrutte ora da una volontà aliena alla logica come urlò al vincente "finanziere" Gianni Mion, il "fonditore", Beniamino Anselmi, il banchiere esperto e contrario alla "banca veneta unica", perchè di minor valore e, quindi, propedutica alla macelleria sociale.

Quella volontà è sempre più determinata a condurre in porto un'operazione che sembrava all'inizio avere, almeno, un sia pur malefico senso: nascondere chissà quali indicibili errori del passato di grandi strateghi e locali profittatori.

Ma la fusione oggi appare solo l'atto finale di un robot programmato in maniera irreversibile da un folle incarognito dallo svanire dei suoi residui poteri, ora in mano al potere ancora più lucidamente folle di chi, nell'Europa che conta, sta provando a vedere che effetto fa il "test" di un vero bail-in: un'esplosione nucleare in un Veneto oggi ancora concorrenziale, guarda caso, con l'Europa più forte.


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