Salta garanzia Unicredit su aumento della Banca Popolare di Vicenza? Risponda Iorio!
Sabato 26 Marzo 2016 alle 11:33 | 2 commenti
Ieri ci è sfuggita una indiscrezione importante, pubblicata su Il Fatto Quotidiano e ripresa oggi da Marino Smiderle sul quotidiano locale, quasi a aumentarne la credibilità vista la sua ben nota consuetudine esclusiva con le fonti locali, di prima e di ora ma, speriamo nel cambiamento reale, non di sempre, sull'aumento di capitale della Popolare di Vicenza per la cui garanzia Unicredit starebbe provando a fare marcia indietro tanto più che il contratto relativo ad oggi sarebbe solo "un preliminare". Ce ne scusiamo con i lettori, ma eravamo presi dopo l'intervista "pasquale" ad Achille Variati su sistema di trasporti, "questione morale" vicentina e veneta, nomine nei Cda e suo mandato (la pubblicheremo nel pomeriggio dopo il focus in corso sull'assemblea della BPVi in Fiera), dal tentativo non facile di raggiungere Roma da Vicenza via bus e treni a ... vapore.
Ma ora, pubblicando articolo e inquietanti interrogativi, facciamo una domanda: Francesco Iorio, pur se non avvezzo a rispondere alle nostre domande, oggi risponderà a tutti su questo argomento, la garanzia Unicredit su 1,5 miliardi dell'aumento complessivo da 1,763 miliardi, delicatissimo per non dire vitale e finora dato per certo da chi è stato ben pagato anche per questo? Grazie.
Banche, servono 7 miliardi. UniCredit dice no a Padoan
L’ad Ghizzoni chiede aiuto a cassa depositi e fondazioni per l’aumento di capitale di Popolare Vicenza. Ma il governo ha troppi fronti aperti
di Carlo Di Foggia e Giorgio Meletti, da Il Fatto Quotidiano
C'è un missile a testata multipla puntato contro Palazzo Chigi. Vale tra i 7 e gli 8 miliardi. È il fabbisogno di capitale delle grandi banche malate. Il rischio di contagio finanziario minaccia la reputazione finanziaria e la stabilità del Paese. Il missile ha almeno cinque testate: Popolare di Vicenza, Veneto Banca, Monte dei Paschi, Carige, Banco Popolare. La più preoccupante nel breve termine si chiama Popolare di Vicenza.
L'amministratore delegato Francesco Iorio deve collocare entro il mese di aprile un aumento di capitale da 1,75 miliardi per fronteggiare la voragine lasciata dal ventennale padre-padrone Gianni Zonin. I vecchi azionisti, che hanno perso quasi tutto, non sembrano impazzire dalla voglia di sottoscrivere.
Con il cerino in mano rischia di restare l'amministratore delegato di UniCredit, Federico Ghizzoni. Quando una società lancia un aumento di capitale c'è sempre il sostegno di un consorzio di garanzia, che si impegna a sottoscrivere le nuove azioni lasciate eventualmente "inoptate" dai soci. UniCredit ha preso questo impegno per Bpvi prima del 22 novembre, prima cioè che il sistema bancario italiano fosse travolto dalla crisi reputazionale provocata dallo squinternato salvataggio di Banca Marche, Etruria, Carife e Carichieti.
L'eventualità che gran parte dell'aumento di capitale di Vicenza resti inoptato è molto concreta. Ghizzoni si è affrettato a far sapere al governo che, arrivati al dunque, se le adesioni all'offerta pubblica fossero troppo basse, UniCredit farebbe in modo da bloccare l'operazione. Molte volte, alla vigilia di un'offerta di azioni od obbligazioni, si registra la freddezza del mercato e si innesta la retromarcia. Nel caso di Bpvi la cosa è un po' complicata: lo stop sarebbe letale per tutto il sistema.
Analoga preoccupazione ce l'ha Intesa Sanpaolo, che ha la stessa posizione di UniCredit nella seconda testata del missile, Veneto Banca. La popolare di Montebelluna deve piazzare l'estate prossima un aumento di capitale da un miliardo, e la banca presieduta da Giovanni Bazoli ha capito che rischia di doverlo sottoscrivere quasi tutto da sola.
L'amministratore delegato di Intesa, Carlo Messina, insieme al collega di UniCredit, premono sul governo perché faccia scendere in campo la Cassa Depositi e Prestiti. L'idea è di costituire un veicolo finanziario con i crismi dell'alto profilo istituzionale, partecipato dalla Cdp, da alcune grosse Fondazioni bancarie e da Intesa e UniCredit. Per Ghizzoni e Messina il vantaggio sarebbe triplice: dividere l'onere finanziario con altri soggetti, avere una partnership pubblica, poter raccontare agli azionisti che si è intervenuti in un'operazione "di sistema" anziché spiegare che si sono spesi 2,5 miliardi in tutto per salvare due banche venete distrutte dalla mala gestione.
Per Ghizzoni il problema è particolarmente spinoso, perché coincide con il ritorno insistente di voci che lo vorrebbero promosso alla presidenza per fare posto a un nuovo amministratore delegato. L'agitazione al vertice di UniCredit è aggravata dalla grana Bpvi. Il progettato "veicolo" però non marcia, mentre il tempo stringe. Ci sarebbe da sottoporre la brillante idea alla severa commissaria europea alla Concorrenza Margrethe Vestager, per convincerla che la Cassa Depositi e Prestiti è dello Stato all'80 per cento ma ugualmente noi italiani la consideriamo privata e quindi non ci sarebbe un problema di aiuti di Stato. Ma il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan e il presidente della Cdp Claudio Costamagna non hanno ancora prodotto una bozza da sottoporre a Bruxelles.
Il premier Matteo Renzi, costretto dalla flemma di Padoan e del governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco a occuparsi in prima persona del pasticcio bancario, è assai preoccupato. Perché se Ghizzoni e Messina non fanno la loro parte per il soccorso alle due grandi malate venete tutto il quadro si complica maledettamente. Il governo ha già da pensare al Monte dei Paschi di Siena.
La Bce ha chiesto all'istituto senese un nuovo ulteriore aumento di capitale che potrebbe arrivare a 3 miliardi, in tempi non fulminei, ma verosimilmente entro l'anno. Difficile sperare in una reazione entusiastica da parte di una platea di soci che si è già svenata sottoscrivendo 9 miliardi di aumenti di capitale in un paio d'anni. Tra le ipotesi sul tavolo c'è che l'intervento di Cdp e Fondazioni sia fatto per Monte Paschi, e che il "veicolo" sia costituito insieme a Ubi Banca, la grande popolare bergamasca designata per un complicato matrimonio con Siena.
In tutto servono non meno di 7 miliardi entro quest'anno per rattoppare i conti delle grandi banche malate. Il governo non li ha, la Cdp forse li ha. Ma la strada, da tutti ormai considerata inevitabile, dell'intervento statale sulle banche è una durissima salita.
Accedi per inserire un commento
Se sei registrato effettua l'accesso prima di scrivere il tuo commento. Se non sei ancora registrato puoi farlo subito qui, è gratis.
Vorrei precisare che è lo stesso giornalista che ha scritto l'articolo a dire di essere stato frainteso, affermando che non è vero che unicredit potrebbe interrompere la sua garanzia all'aumento (v. il suo profilo facebook https://pbs.twimg.com/media/CeetLbrWsAEfcth.jpg ). Non solo, ma vorrei ricordare che UCG ha firmato un contratto di garanzia scadenza aprile (che significa semplicemente che se il mercato non sottoscrive le nuove azioni entro tale data, sia quelle di IPO, sia quelle in opzione ai già soci), tutte quelle non assegnate le deve comprare Unicredit. Per questo unicredit viene pagata circa il 5% per prestare tale garanzia irrevocabile. Al massimo BPV e Unicredit potrebbero decidere di comune accordo con la banca di rinviarlo, ma mantenendo la medesima garanzia da parte di Unicredit. Ma nulla di più. Nell'odierna assemblea Iorio di BPV ha ribadito il fatto che lui ritiene che UCG terrà fede agli impegni presi.