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Bail-in di BPVi e Veneto Banca, l'altra lettura: il disinteresse del "veneto" Gilberto Benetton e il "negazionismo" di Pier Carlo Padoan

Di Giovanni Coviello (Direttore responsabile VicenzaPiù) Martedi 13 Giugno 2017 alle 19:44 | 0 commenti

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Nel giorno in cui, in attesa del miracolo del salvataggio, a che pro poi non si sa, si è riunito il Cda di Banca Popolare di Vicenza e in attesa dell'analoga riunione di quello di Veneto Banca se mai qualcuno pensasse che per l'imprenditoria veneta il destino delle due banche di "territorio" conti qualcosa, ora che sono state spolpate, legga questa dichiarazione di tal Gilberto Benetton, l'ec "capo" di Gianni Mion, interpellato a margine di un convegno in Bocconi su un possibile intervento a sostegno delle banche venete, e si metta l'anima in pace, lui con tutti gli zaioti e variatioti di turno: "Hanno il buon senso di non chiedercelo. Non credo che le risorse per salvarle arriveranno dal territorio, penso che la soluzione si troverà ma non so quale, è il governo che deve trovarla".

Detto della veneticità del grande imprenditore trevigiano, che non ha il buon senso di stare zitto, che delle due banche di certo non si è disinteressato in passato, che di certo lo Stato non ha svantaggiato con le sue concessioni autostradali e aereoportuali e che si propone ora come faro, e schermo, per tutti gli altri venetissimi "uomini", poco, di "affari", molto, torniamo al can can dei banchieri che, ognuno per i suoi problemi e con solo Intesa SanPaolo e Unicredit (costretti) a non tirarsi del tutto fuori, respingono al mittente la cartolina con la chiamata alle armi di Pier Carlo Padoan che ha tranquillizzato sull'impossibilità del bail in... confermandone il rischio.

Ora, rispieghiamolo visto che dietro i termini inglesi (dopo il tremendo debutto di spending review!) spesso si cela il... baratro, il bail in, salvataggio delle banche per via interna ("bail" è garanzia, "in" è interno) col denaro degli azionisti, prima, degli obbligazionisti, poi, e dei correntisti più danarosi in ultima ipotesi, è diverso dal bail out, il salvataggio esterno storico delle banche a carico dello Stato (quello ad esempio per 250 miliardi e passa di euro fatto dai teutonici prima che scattassero le nuove norme e quando Mario Monti giurava, come oggi insiste Ignazio Visco, sulla solidità del sistema bancario italiano).

Ma il bail in non vuol dire "risoluzione" tout court, cioè fallimento, degli Istituti, ma anzi, ove possibile, il loro salvataggio sacrificando le risorse interne prima elencate.

In parole povere la banca in crisi e a rischio fallimento attinge prima ai denari degli azionisti, azzerandoli, se basta, poi procede con quelli degli obbligazionisti junior (che hanno sottoscritto bond a rendimenti e, quindi, a rischi più elevati), quindi "succhia" i sottoscrittori dei bond "mezzanini" (a tassi e rischi intermedi).

Solo se tutto questo non basta a rimetterci saranno, in sequenza, gli obbligazionisti senior e, infine, i correntisti con depositi superiori ai 100.000 euro.

Affermare, quindi, come ha ripetuto oggi Pier Carlo Padoan che "la soluzione (in via di definizione con la UE, ndr) non contemplerà alcuna forma di bail-in e che obbligazionisti senior e depositanti saranno in ogni caso pienamente garantiti" può voler dire che il bail in ci potrà essere ma fermandosi alle prime due fasi, quelle di azzeramento degli azionisti attuali (Fondo Atlante incluso, e da qui nasce anche la fuga dei suoi sottoscrittori da ipotesi di nuovi impegni di capitali) e dei sottoscrittori di bond più rischiosi, che, nel caso delle due ex Popolari venete sono essenziamente obbigazionisti junior), mentre non servirà prosciugare anche le obbligazioni senior e i conti correnti non garantiti dal Fondo di garanzia dei depositi valido per legge sotto i 100.000 euro.

Oggi, in sostanziale e simbilica contemporanea col cda della BPVi, si è tenuto un cda anche di Intesa Sanpaolo, il cui consigliere di amministrazione Giovanni Costa, lasciando la sede dell'istituto, ha dichiarato "il nostro presidente, il nostro amministratore delegato e l'intero cda stanno seguendo il dossier delle banche venete con attenzione istituzionale, con competenza e con senso di responsabilità" aggiungendo, però, in merito ai tempi del dossier, che ci vorrà "il tempo necessario"... Quello la cui scansione, ora lontanissima per i "tempi rapidi" della finanza, oggi ancora disattesi, è iniziata quando le due più grandi banche italiane, e tra le maggiori in Europa, Unicredit, prima, e Intesa, dopo, si sganciarono dalle garanzie di sottoscrizione dell'aumento di capitale in Borsa della popolare vicentina e di quella montebellunese, dimostrandosi, così, più avvedute o meglio informate di Alessandro Penati sulle reali condizioni da horror story dei due istituti veneti, ma spingendoli sul ciglio del baratro e "incassando" nel frattempo (un tempo troppo lungo, e necessario a nulla se non a fare i propri affari) decine di miliardi di raccolta e di "buoni" impieghi da chi, cambiando banca, ha ulteriormente allargato la bocca del baratro.

Domani, mercoledì, intanto, Il ministro dell'Economia risponderà al question time della Camera a un'interrogazione sulla crisi delle banche venete presentata dal Pd, che vuole conoscere in particolare, alleluja!, "quale sia lo stato attuale delle trattative con le autorità europee nella definizione dello schema di ricapitalizzazione  precauzionale di Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca, anche in relazione all'eventuale soluzione di sistema che  prevede il coinvolgimento delle banche nazionali maggiori, al fine di scongiurare qualunque ipotesi di messa in risoluzione tramite ricorso alla procedura del bail-in".

Nell'attesa della risposta di Pier Carlo Padoan forse non farebbe male ai vari parlamentai, tra cui quelli del PD, informarsi meglio su bail in e risoluzione e, se non basterà leggere quanto appena da noi scritto, consigliamo la lettura del capitolo "Risanamento e risoluzione delle banche" sul sito del Consiglio europeo...


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