Il licenziamento di Ario Gervasutti: la storia vera che iniziamo a raccontarvi è il segno del degrado vero di Vicenza, quello dei vertici
Giovedi 8 Settembre 2016 alle 00:33 | 4 commenti
Non siamo mai stati teneri con Ario Gervasutti, il direttore de Il Giornale di Vicenza repentinamente "licenziato" da Confindustria Vicenza, nè, tranne alcune occasioni in cui l'abbiamo scritto o detto in redazione, condiviamo la sua visione di Vicenza e le sua chiavi di lettura dei fenomeni sociali ed economici. Ma non è indegno averlo licenziato in tronco, come è diritto di ogni editore, anche "impuro", come l'associazione ora presieduta da Luciano Vescovi, nei confronti di ogni direttore di un qualunque giornale, ma è il segno del degrado totale dei vertici della società vicentina averlo fatto non dandogli neanche la possibilità di comunicarlo col classico saluto a chi lo ha letto per sei anni. Anche Roberto Zuccato, che a Palazzo Bonin Longare ha preceduto l'attuale presidente, della sua stessa "filiera" di potere, di cui nell'intermezzo ha assunto la guida Giuseppe Zigliotto e che tutta intera ha trascorsi non troppo da esibire oggi nei cda della BPVi o di Banca Nuova targati Gianni Zonin, mandò a casa lo "sgradito" direttore Giulio Antonacci.
Ma a lui, silurato perchè non seguiva la nuova linea degli industriali post Amenduni, Zuccato concesse l'onore delle armi col tradizionale editoriale di saluto, lo strumento con cui anche, e soprattutto, i lettori sono rispettati in quanto tali e in quanto destinatari degli effetti del cambio di direzione.
Invece colui che col suo atto di due giorni fa si è subito dimostrato il più debole dei tre ultimi presidenti di Confindustria Vicenza (già lo sembrava per peso specifico aziendale, ora lo è per scelta personale) ha trasformato il suo abituale belare, quello per cui gli è affezionato anche il molto più navigato Achille Variati, in un ruggito (semel in anno, una sola volta in un anno?) con chi, Gervasutti, era stato da lui stesso contattato per sostituire Antonacci.
E l'ora ex direttore per sei anni aveva confezionato un Giornale di Vicenza, che lui ha sempre negato fosse il giornale degli industriali suoi proprietari, rappresentando le sue idee che ben si sposavano, per la fortuna del suo ex editore che da lunedì ci ha rinunciato, con le politiche, di certo quasi mai da noi condivise, dell'Associazione degli industriali di un'area una volta fiorente e ora ridotta sul lastrico dalla parte peggiore della loro filiera complessiva.Â
Questa "non eccellenza" vicentina è fatta di pochi, ma determinanti, cosiddetti imprenditori che hanno lucrato su affari gestiti con le armi della corruzione (un nome su tutti quello dei Maltauro) e da alcuni sedicenti banchieri (il nome identificativo è Zonin) spesso, se non sempre, guidati, anche se magari ambientalmente e per stile, dai corruttori.
Sono questi rappresentanti della mala gestio locale, aziendale e bancaria, quelli che hanno azzerato con i loro imbrogli le speranze di un popolo di lavoratori (di braccia, di mente e di capitali) che per anni lunghissimi dovrà ora combattere con un fenomeno che pensava di aver sconfitto grazie a padri e nonni industriosi: la povertà .
Abbiamo raggiunto telefonicamente oggi (7 settembre, ndr), dopo aver recuperato il suo cellulare, l'ex direttore de Il Giornale di Vicenza, Ario Gervasutti, e solo oggi, dopo aver parlato, a lungo, con lui, molto per capire oltre che per sapere, cominciamo a scriverne di persona, con dati di fatto e sensazioni dirette.
Dopo che gli abbiamo rivolto l'ovvia domanda su cosa fosse avvenuto per interrompere un rapporto che non era (sembrava) minacciato, Ario Gervasutti ci ha detto, di virgolettabile, solo questo: «ciò che è avvenuto è sotto gli occhi di tutti, ed è sconcertante nel merito e nel metodo. Ciascuno è libero di agire come crede in base alle proprie qualità . Sono fiero dei risultati ottenuti in questi sei anni, il resto sono chiacchiere e miserie che non mi interessano».
"Ciò che è successo è sotto lo sguardo di tutti" e tra questi tutti, in primis, ci sarebbero i suoi ex redattori, una squadra di 36 giornalisti assunti e 80 collaboratori esterni, una squadra quasi tutta eccezionale, diceva Gervasutti ai suoi referenti, a cui il direttore ormai ex ha raccontato tutto quello che sapeva e aveva capito prima di uscire con i suoi scatoloni, che raccolgono le carte di sei anni di lavoro.
Che dire, intanto, se non affermare pubblicamente, dopo averlo detto a lui stesso, che se immaginavo un Gervasutti "prono" alle volontà della proprietà oggi per telefono ho scoperto un ex direttore del Giornale di Vicenza in consapevole e libera piena sintonia per sei anni con Confindustria Vicenza, che, grazie al belato ruggente di un Vescovi, che alla mia richiesta di incontro dopo la sua elezione neanche aveva avuto il coraggio di rispondermi, ora ha saputo perdere un direttore convintamente leale: questo non scalfisce di una virgola la mia sostanziale disapprovazione della sua linea editoriale ma, per quello che conta la mia opinione, dà spessore al collega professionista Gervasutti.
Detto questo non posso che ringraziare chi, Ario Gervsutti, spesso mi ha dato lo spunto per articoli dissacratori e oggi mi ha dato la traccia per sapere, prima, e raccontarvi, poi, i veri motivi del suo siluramento: mi ha detto che li conoscono i suoi 116 collaboratori, tra assunti e free lance.
Su quei 116 ne ho trovati abbastanza per pensare di sapere ora anche io quello che il loro ex direttore gli ha raccontato lunedì di ritorno, non da Verona, ecco la prima notizia raccolta sul campo grazie alla sua "soffiata", ma da Palazzo Bonin Longare dove oltre a Vescovi e all'amministratore delegato di Athesis, Alessandro Zelger, c'era un altro personaggio chiave: Alberto Luca, tesoriere con la delega alle società partecipate...
Il seguito covielliano (non del monarchico Covelli) arriva... Grazie
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